Editoriale: Dna-editing

Tagliare, cucire e sostituire una parte del gene. Per gli Usa non sono ogm. Ma l'Europa non si esprime

Arriva l'editing del dna di Beatrice Toni

Ultima affascinante tecnologia: il dna-editing.

Sviluppata negli ultimi due-tre anni, taglia e cuce (semplificando tanto) per sostituire non un gene quanto una sua parte specifica (un nucleotide): molto più mirata come tecnica, molto più potente per i risultati raggiungibili.

Applicata in ambito umano fa molto sperare per la lotta a malattie incurabili. Nelle piante coltivate consentirebbe di ottenere cambiamenti altrettanto precisi oltre che rapidi e interessanti come la resistenza ai patogeni.

Per la sua efficacia sta creando notevole interesse e negli Usa è stata classificata “tecnica non transgenica”. L’Europa deve ancora esprimersi. Imbrigliata o forse sguarnita rispetto alla rapidissima evoluzione della tecnologia che pure, ogni giorno di più, promette miglioramenti buoni e importanti anche per il cittadino, dalla qualità alla salubrità di quello che ingeriamo.

Siamo alle solite: da una parte la tecnologia che “rende liberi e felici”. Nonché sazi. Dall’altra, le preoccupazioni, i timori, non tanto verso la ricerca quanto nei confronti dei suoi prodotti, il cibo in particolare percepito come più rischioso perché “più manipolato” e meno controllabile.

E se cominciassimo a dire che nulla è neutro, a inserire nel dibattito le condizioni complessive dell’agricoltura, come sono influenzate dalla tecnologia più avanzata e non, le interdipendenze tra ricerca e applicazioni tecnologiche, le risorse ad essa destinate e le normative?

A informare (davvero) di più, magari ci si guadagna. Tutti quanti.

Europa batti un colpo di Roberto Tuberosa*

Le tecniche di dna-editing stanno rivoluzionando la modificazione diretta del dna, ma reclamano a gran voce una loro identità legislativa ancora assente in Europa, nonostante il parere espresso dall’Efsa. Questo vuoto impedisce di fatto l’uso commerciale delle piante ottenute e aumenta la difficoltà del loro percorso giuridico nella selva dei regolamenti europei. Da qui nasce il vero dilemma: tali piante saranno considerate ogm? La sigla scatena reazioni prevalentemente negative: si temono rischi, mai materializzatisi, derivanti dall’inserimento nel genoma della specie di interesse di uno o più geni di una specie diversa.

La manipolazione indiretta del genoma all’interno della stessa specie è stata da sempre attuata con successo, prova ne sia lo spettacolare aumento produttivo dal neolitico ad oggi. L’introduzione della cisgenesi che coinvolge geni della medesima specie non ha mitigato di molto l’opinione pubblica e dei legislatori in materia ogm. L’augurio è che presto l’Ue ponga fine a questo limbo legislativo e non classifichi le piante ottenute con dna-editing come ogm. L’avversione è ormai talmente radicata che anche la modificazione mirata di un singolo nucleotide del dna (evento omologabile alle mutazioni naturali alla base dell’evoluzione di tutte le specie, Homo sapiens incluso) rischia di esporre queste piante alla stessa gogna mediatica subita dai “veri” ormai obsoleti ogm di prima generazione. La scienza si muove, ma non l’Ue, con buona pace dell’H. sapiens europeo. Ovvie le conseguenze nefaste per la competitività futura dell’agricoltura europea.

(*) Docente di Genetica agraria-Università di Bologna

 

Editoriale: Dna-editing - Ultima modifica: 2015-04-23T11:10:23+02:00 da Sandra Osti

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