Viticoltura sprint & stop, un comparto a due velocità

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In rampa di lancio: test con varietà resistenti o autoctone, diserbo meccanico e cantine condivise

Vinitaly fa cinquanta. A mezzo secolo della prima edizione del 1967 la kermesse veronese festeggia gli exploit dell’export e del fatturato del vino italiano con un’edizione da record. Il barometro dell’osservatorio veronese sembra volgere al bello stabile. Il mercato interno sembra essersi stabilizzato dopo le recenti scivolate. Il nostro modello di produzione incernierato su un patrimonio inimitabile di vitigni regionali continua a riscuotere successo anche nei mercati più lontani.

 

La metà oscura

La tensione sui metodi di produzione sostenibili sembra produrre una nuova piramide della qualità in base alla propensione green delle diverse cantine, che si interseca con la tradizionale classificazione per vitigno. Il comparto delle vendite digitali inizia ad aumentare il suo peso. Il passaggio dal sistema dei diritti d’impianto a quello delle autorizzazioni ha provocato il boom delle sostituzioni e dei nuovi impianti nelle aree vitate che hanno concesso l’ampliamento delle superfici. Esiste però anche l’altro lato della medaglia, la metà oscura del cielo. «Più della metà delle aziende viticole italiane – denuncia Angelo Gaja, produttore che da sempre è un punto di riferimento del settore – è costretta a vendere vino sfuso ad un prezzo inferiore a 0,4-0,5 € litro». Piccole aziende senza sbocchi, senza futuro, senza eredi a cui lasciare il proprio fazzoletto del vigneto. Oppure aziende più strutturate ma inserite in zone non blasonate che non hanno saputo conquistare uno straccio di appeal nei confronti dei consumatori internazionali. Aziende che hanno già raschiato il fondo del barile svendendo tutti i titoli e i diritti di impianto detenuti, superfici vitate che rischiano di essere perse per sempre interrompendo la continuità del vigneto italia da Bolzano a Lampedusa.

 

Prodotto, processo e organizzazione

L’unica soluzione possibile per queste aziende in difficoltà, in attesa che il boom della produzione spagnola si stabilizzi portando un po’ di ossigeno nel mercato dello sfuso, l’ha indicato lo stesso Gaja in un recente convegno a Susegana (Tv): razionalizzare i costi e migliorare la produzione puntando sull’innovazione. Di prodotto, di processo e di organizzazione aziendale. Il momento, come si suol dire, sarebbe propizio. Tra fine marzo e inizio aprile scadono infatti i primi bandi della misura Cooperazione, la numero 16 dei Piani regionali di Sviluppo Rurale. È la novità dello scioglilingua dei Pei-Agri e Goi. Partenariato europeo e gruppi operativi per l’innovazione: i nuovi strumenti Ue che spingono le aziende a fare rete e a mettersi insieme a gruppi di ricerca. La viticoltura potrebbe giocare un ruolo importante in questa misura , un po’ come è capitato con l’antesignana misura 124 della precedente programmazione, attivata in alcune Regioni come l’Umbria. La prima scandenza del 31 marzo riguarda l’Emilia Romagna, una delle più munifiche con quasi il 5% del budget Psr stanziato per questa misura e 116 Goi previsti da Bruxelles. Almeno un decimo di questi dovrebbe essere attivato con il primo bando (ma i progetti presentati sono centinaia) Una tranche da oltre dodici milioni di euro sono destinati a progetti per sostenere la competitività aziendale (70% di cofinanziamento), o a carattere ambientale, cui è riconosciuta una particolare rilevanza per la collettività e arriva a coprire il 100% della spesa ammissibile nel caso di interventi che abbiano come obiettivo il sequestro di carbonio. Per un’ulteriore fetta da 5 milioni si concentrano interventi previsti per: sviluppo di nuove varietà e tipologie di prodotto, meccanizzazione, robotica, agricoltura di precisione, nuovi modelli di commercializzazione. Altrettanti per migliorare la gestione delle risorse idriche, dei fertilizzanti e dei pesticidi.

 

Sopra e sotto il Po

È su queste misure che si concentrano le principali proposte che hanno la viticoltura nel mirino: dai test sulle nuove varietà resistenti oppure su vitigni autoctoni come i romagnoli “Famoso” e Ruggine, sperimentazioni sulle macchine distributrici a rateo variabile o a recupero prodotti, verifiche su trince e falciandanatrici per evitare il ricorso a erbicidi, oppure il ricorso a mezzi fisici come la macchina diserbante a vapore. Insistono su queste misure però anche progetti relativi alla fase di trasformazione, come quello di una cantina nella cantina, ovvero uno spazio di condivisione per aziende che non hanno lo spazio e la possibilità di provvedere in proprio. Il 4 aprile poi anche la riva sinistra del Po è chiamata a dare il suo contributo al Pei-Agri. Scade infatti in tale data il bando della Lombardia che ha stanziato una quota minore (1,5% del Psr) ma ha previsto un maggior numero di gruppi operativi (25). L’operazione finanzia la realizzazione di progetti di sviluppo sperimentale1, in fase precompetitiva, compresi i progetti pilota, finalizzati ad introdurre soluzioni innovative per lo sviluppo di processi, prodotti o servizi nuovi o migliorati, prima dell’immissione sul mercato. Interventi destinati ai soliti noti? Di buono nella nuova misura cooperazione c’è il fatto che le innovazioni testate non sono di esclusiva proprietà dei Goi che le sperimentano. Il partenariato europeo ne prevede la condivisione dei risultati, non si sa se sotto forma di album di figurine o come rivista periodica come Terra e Vita. Conviene provarci (o fare l’abbonamento).

Leggi l'articolo completo su Terra e Vita 12/2016 L’Edicola di Terra e Vita

Viticoltura sprint & stop, un comparto a due velocità - Ultima modifica: 2016-03-25T08:00:04+01:00 da Sandra Osti

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