Le denominazioni cambiano pelle

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Martelli (Comitato vini): «L’origine come criterio di qualità: una scelta che va difesa»

La qualità è legata alla tradizione e al territorio. Da mezzo secolo per il vino è così. Negli ultimi cinque anni però (dal D.lgs. 61/2010) Docg, Doc e Igt italiane sono entrate nel vortice di un cambiamento che non ha ancora finito di manifestare i suoi effetti. Il decreto 61, recependo l’Ocm del 2008, ha infatti equiparato il vino a tutti gli altri prodotti agroalimentari a denominazione protetta (Dop e Igp). Un cambiamento che ha costretto i consorzi di tutela ad adeguare significativamente i disciplinari. Un tour de force soprattutto per il Comitato nazionale vini Dop e Igp del Mipaaf. Un organo tecnico, scientifico e propositivo il cui ruolo è diventato ancor più strategico per la tutela delle nostre produzioni, considerato che il nuovo sistema di registrazione e protezione delle Dop e Igp avviene a livello comunitario. Un comitato che è stato recentemente rinnovato per il triennio 2015-2017. Alla presidenza è stato confermato per il terzo mandato successivo Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi. Dopo l’imponente lavoro dei primi due mandati, con le oltre 500 pratiche di adeguamento dei disciplinari istruite e mandate a Bruxelles in tempi record nel biennio 2010-2011 e i decreti di aggiornamento per i disciplinari oggetto delle osservazioni comunitarie negli anni successivi, sarà un triennio più tranquillo?

Quasi cinquant’anni
«Abbiamo festeggiato i 50 anni delle Doc – risponde Martelli – nel 2013 nell’edizione numero 47 del Vinitaly perché in Italia sono state istituite con il decreto 930 /1963 grazie all’impegno del senatore Paolo Desana, primo firmatario di quella legge. Il Comitato vini è stato però istituito un anno dopo e il riconoscimento della prima denominazione di origine, quella della “Vernaccia di San Gemignano” è del 1966, ad opera del Comitato presieduto dallo stesso Desana. Di fatto i Vqprd (vini di qualità prodotti in regioni determinate) e il Vinitaly sono coetanei, e proprio come la kermesse veronese, nonostante il mezzo secolo di età, le denominazioni non hanno mai smesso di essere uno dei settori più vivaci dell’agroalimentare italiano: non sarà un triennio tranquillo».
In effetti le “turbative” in corso non sono di poco conto: sul fronte normativo i Consorzi di tutela dovranno dall’anno prossimo metabolizzare il passaggio dai diritti d’impianto alle autorizzazioni. Sul fronte commerciale occorre fare i conti con un mercato sempre più globale che impone un certo grado di semplificazione, almeno in etichetta. E sul fronte climatico, il riscaldamento globale induce ad apportare modifiche nei disciplinari.
«Le modifiche richieste sono le più varie, dettate dalla continua evoluzione di un mercato sempre più esigente, anche in chiave sostenibilità. Nell’ultima riunione del 4 febbraio il Comitato ha ad esempio valutato positivamente l’istanza di modifica del disciplinare di produzione della Docg “Asti” che riguardava, tra l’altro, la riduzione del peso per le bottiglie di spumante nel caso di utilizzo di vetro riciclato. Solo nell’ultimo mandato il Comitato ha espresso in tutto 62 pareri in merito al riconoscimento e modifica dei disciplinari di vini dop ed igp, inoltre sono stati formulati 10 pareri su questioni sottoposte dalle diverse Direzioni ministeriali. Ogni pratica ha avuto il parere entro un mese dalla presentazione».

Le dimensioni contano
Alcune modifiche hanno riguardato l’accorpamento o allargamento di alcune importanti Doc. La nascita di denominazioni così ampie è positiva o negativa?
«Le denominazioni nate negli ultimi anni sono quella del Prosecco Doc, che non è più il nome di un vitigno ma una menzione geografica e il cui areale si estende da Trieste a Padova. Si tratta della denominazione italiana più venduta al mondo (si veda tab), e le modifiche normative ne hanno aumentato la possibilità di protezione commerciale. Nel corso dell’ultimo mandato del Comitato è stata poi consolidata la Doc Sicilia,con la modifica dei disciplinari delle doc Eloro, Contessa Entellina, Vittoria, ecc che di fatto diventano “sottozone” della doc isolana, il cui nome è certamente più riconoscibile sui mercati. L’ultima “espansione” in ordine di tempo è quella del Pignoletto, che cerca di seguire l’esempio (e la fortuna) del Prosecco. Il Pignoletto dei Colli bolognesi è diventata una Docg, mentre la Doc si estende da Modena a Faenza. Si tratta di evoluzioni positive e in controtendenza rispetto alla politica dei mille campanili che aveva portato negli anni al moltiplicarsi di piccole denominazioni oggi non più sostenibili, alla luce di una evoluzione normativa che, tra l’altro, ha introdotto la terzietà dei controlli. Il ruolo dell’origine comunque non è compromesso: la normativa consente di valorizzare sottozone e cru, ed è questa la strada che seguono le denominazioni di maggiore pregio».

I vincoli delle Igt
Una “territorialità” che è stata esasperata nel caso delle Igt.
«È vero: la riforma normativa ha di fatto spostato verso l’alto il sistema di classificazione accostando, dal punto di vista regolamentare, le produzioni Igp a quelle Dop. L’introduzione del principio della corrispondenza tra l’area di produzione delle uve Igt a quella di vinificazione o elaborazione ha causato problemi nelle aree non attrezzate, abituate ad effettuare tagli, presa di spuma, dolcificazioni, ecc fuori zona. Per correggere il tiro i Consorzi hanno ottenuto la possibilità di introdurre nei disciplinari deroghe per effettuare queste operazioni in aree limitrofe. Nel corso dell’ultimo anno il Comitato ha provveduto ad inserire queste deroghe in 31 disciplinari Igt. Una soluzione che non risolve il problema ovunque. Ma come spesso capita nel settore del vino, questo limite può tramutarsi in un’occasione per migliorare la filiera produttiva».
Una perdita di flessibilità che non sembra che si possa recuperare con la categoria dei vini varietali, finora non decollata.
«Nel caso dei varietali l’Italia paga forse un eccesso di cautela. Abbiamo infatti riservato per questa categoria solo un numero limitato di vitigni, tutti internazionali. Un limitato bacino produttivo, considerando che spesso gli stessi sono utilizzati anche per molte Doc e Igt. Ciò non ha consentito uno sviluppo consistente della categoria, stretta tra generici e Vqprd. I dati del 2014 rilevano il forte ritardo che accusiamo nei confronti della Francia, dove i Vin de cèpage arrivano al 25% dei volumi. Una situazione che potrebbe migliorare con l’entrata in questo settore di alcuni produttori italiani leader, le cui etichette sono diventate in pochi mesi le più vendute. Cavalcare la forte richiesta “varietale” dei nuovi mercati non significa tradire l’approccio territoriale su cui è costruita la nostra qualità».

La continuità paga
Il Comitato vini rimane uno dei pochi organi tecnici “salvato” dal ministero in tempi di “spending review”.
«La spending review l’abbiamo anticipata con il dimezzamento dei membri del Comitato. Il criterio dell’origine, ossia la sua sinergica armonizzazione con il territorio e le sue tradizioni come discriminante per la qualità dei nostri vini, è un concetto che si è affermato grazie alla lungimiranza delle personalità che hanno voluto le denominazioni d’origine. I membri del Comitato sono consapevoli dell’impegno che comporta l’eredità di questa tradizione».

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Le denominazioni cambiano pelle - Ultima modifica: 2015-03-16T12:00:08+01:00 da Sandra Osti

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