Perderemo la guerra contro i parassiti?

Difesa sostenibile: quali strumenti per la gestione fitosanitaria nel XXI secolo

La media mondiale delle perdite di risorse alimentari a causa degli attacchi di malattie e parassiti in campo supera oggi il 30%
Tea, RNAi, peptidi microbici, nanotecnologie. La fitoiatria del futuro si basa su innovazioni che in Europa incontrano difficoltà registrative 

Dopo oltre 70 anni di ricerca nel campo della fitoiatria, è evidente che non stiamo vincendo la “guerra contro i parassiti”.

In tutto il mondo le perdite pre-raccolta nelle principali colture alimentari raggiungono infatti una media del 30%, aggravata dalla conseguente perdita di energia, acqua e altre risorse (vale a dire input agricoli), relativa a quella quota di colture “consumate” da parassiti e malattie. D’altra parte, è ampiamente accettato che in assenza di agrochimici e resistenza della pianta ospite (comprese le colture geneticamente modificate), tali perdite raggiungerebbero livelli dal 50 all’80%.

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Anche agrofarmaci evoluti come i neonicotinoidi sono stati frenati per gli effetti sugli impollinatori

L’impiego tradizionale degli agrochimici di sintesi, grazie alla loro impareggiabile ampiezza di applicazioni, rimane la base della gestione dei parassiti nella maggior parte dei sistemi di produzione alimentare visto che gli strumenti sostitutivi, presi a sé stanti, al momento, non riescono a realizzare una sufficiente protezione delle colture.

Nanotecnologie e biostimolanti

Una prima risposta a questo problema può venire dai progressi tecnologici nella formulazione dei principi attivi antiparassitari, sia convenzionali chimici, sia biologici. La formulazione, infatti, può migliorare l’efficacia dei prodotti fitosanitari e ridurre gli effetti negativi nei confronti dell’ambiente.

La microincapsulazione delle singole sostanze attive e la formulazione di nanoparticelle, ad esempio, sembrano essere particolarmente promettenti a questo riguardo. Allo stesso tempo sta aumentando in maniera esponenziale l’impiego dei biostimolanti che potrebbero contribuire a recuperare l’efficacia dei prodotti fitosanitari, in una logica di gestione olistica dei parassiti delle colture.

tab. 1 Strumenti e tattiche di gestione integrata dei parassiti

Categoria Esempio
Protettivi esogeni delle colture Prodotti fitosanitari (incluso i biopesticidi)
Agenti di biocontrollo (BCA)
Biostimolanti
Protettivi endogeni delle colture Organismi geneticamente modificati (OGM)Tecniche di evoluzione assistita (TEA)Miglioramento genetico classico per la resistenza
Manipolazione dell’habitat/ingegneria ecologica Gestione dell’acqua, cover-crops, pacciamatura, consociazione colturale
Coltivazione protetta Serre, tunnel, coltivazione verticale
Soppressione della popolazione del fitofago/patogeno Confusione e/o disorientamento sessuale mediante feromoni, Tecnica dell’insetto/sterile, silenziamento genico (RNAi etc.), Peptidi microbici

 

La (scarsa) fiducia nel breeding

Secondo molti ricercatori anche l’introduzione delle colture alimentari geneticamente modificate (Ogm) è necessaria se si vuole avere qualche speranza di produrre i volumi di cibo necessari per soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale in rapida crescita. Il principale ostacolo per lo sviluppo e successiva implementazione delle colture ogm è però rappresentato dall’accettabilità pubblica. La fiducia dei cittadini su questa tipologia di strumenti di gestione dei parassiti è infatti molto scarsa e questa contrarietà si riflette sulle scelte delle agenzie governative incaricate di regolarne l’uso.

Una possibile soluzione potrebbe venire dall’utilizzo delle Tecniche di evoluzione assistita (Tea) con le quali è possibile realizzare velocemente nuove varietà resistenti ad alcune fra le più importanti avversità delle piante coltivate.

Purtroppo, col tempo, queste resistenze geneticamente indotte potranno essere bypassate dai parassiti e questo porterà inevitabilmente ad un continuo lavoro di ricerca e di miglioramento (le resistenze vanno difese con strategie adeguate).

Orizzonte Tea

La valenza rivoluzionaria delle Tea sta nella capacità di indurre in maniera mirata, veloce e poco costosa variazioni genetiche specifiche in grado di aumentare anche la resistenza delle piante.

Il miglioramento genetico tradizionale richiede tempi molto lunghi e ingenti risorse sia umane sia economiche: si stima che il tempo medio tra l’inizio di un programma di miglioramento genetico classico e la commercializzazione di una nuova varietà sia intorno ai 10 anni. La valenza rivoluzionaria delle Tea sta nella loro capacità di modificare in maniera mirata, veloce e relativamente poco costosa l’informazione genetica che controlla le caratteristiche di una pianta inducendo variazioni genetiche specifiche. La modifica di singoli nucleotidi, tra i miliardi che compongono il genoma, può determinare nella pianta l’insorgenza delle caratteristiche desiderate. Utilizzando il complesso Cas9-gRNA possono essere così indotte mutazioni nei geni di interesse con effetti molecolari del tutto identici, ma mirati, rispetto a quelli prodotti dalle mutazioni spontanee.

Questo approccio è, ad esempio, particolarmente efficace per inattivare un gene necessario all’infezione di un patogeno, producendo così una pianta resistente. Le Tea offrono in questo caso la possibilità di inserire una nuova informazione genetica in modo preciso (genome editing), sostituendo solo piccole porzioni di DNA. Un’altra strada percorsa dalle Tea è quella della cisgenesi, che è particolarmente efficace per valorizzare la diversità genetica presente nelle specie selvatiche, senza l’incertezza e i tempi lunghi dei programmi di miglioramento genetico.

Silenziamento genico

Il principio di funzionamento dell’Rna interferente: piccole molecole di Rna degradano un Rna messaggero

Una tecnologia simile è quella del silenziamento genico mediato o Interferenza dell’RNA (RNAi). Mediante l’applicazione esogena di un doppio filamento RNA (dsRNA), opportunamente ingegnerizzato per silenziare i geni di una pianta che codificano per la suscettibilità ad una determinata avversità, si è in grado di ottenere una pianta a questa resistente. Una tecnica altamente specifica e potenzialmente dotata di grande efficacia, che condivide tuttavia, pregi e limiti delle varietà, per esempio, di mais codificanti l’espressione della tossina Bt.

Un’altra tecnica potenzialmente impiegabile nel prossimo futuro è basata su specifici formulati da distribuire sulla vegetazione come fossero normali agrofarmaci, a base di dsRna opportunamente ingegnerizzati in grado di silenziare la codifica di determinati enzimi digestivi di alcuni importanti fitofagi o di specifiche caratteristiche vitali di agenti patogeni fungini. Una limitazione dell’RNAi come strumento di gestione dei parassiti è che questi devono ingerire una dose sufficiente di dsRNA per essere eliminati e quindi devono essere sviluppati sistemi di trasporto all’interno del parassita che facilitino tale l’acquisizione. Utilizzando questa tecnologia, è stata sviluppata la prima coltura di mais progettato per gestire la diabrotica del mais (Diabrotica virgifera virgifera).

Questa cultivar, contenente dsRNA e la proteina tossica del Bt, è stata approvata per alimenti e mangimi negli Stati Uniti e Canada. Finora gli organismi dannosi più suscettibili a questa tecnica sembrano essere i coleotteri come appunto la Diabrotica del mais o Leptinotarsa decemlineata (Dorifora della patata) mentre sui principali lepidotteri finora si hanno pochi effetti. Questa tecnologia può anche rivelarsi vantaggiosa per la gestione degli emitteri ad alimentazione floematica che non sono direttamente suscettibili o non esposti a tossine Bt come, ad esempio, la cicalina marrone (Niliparvata lugens), il parassita predominante del riso.

Peptidi ciclici microbici

Le preoccupazioni del pubblico circa i potenziali effetti collaterali sulla salute umana e sull’ambiente dei fungicidi chimici di sintesi, ha stimolato la ricerca e lo sviluppo di nuovi agenti antimicrobici che soddisfino gli standard di salute e sicurezza. I peptidi ciclici antimicrobici prodotti microbiologicamente destano oggi molto interesse per lo sviluppo di una nuova classe di fungicidi. Ciò è in parte dovuto al fatto che la loro struttura possa rompersi nei suoi derivati amminoacidici in seguito all’impiego nell’ambiente agricolo, che ne impedirebbe l’accumulo in composti residuali potenzialmente dannosi. La ciclizzazione di un peptide conferisce una notevole rigidità rispetto alla sua forma lineare.

Questo cambiamento strutturale fornisce un legame migliorato e stabile con i siti target e di tolleranza all’idrolisi da parte delle proteasi a causa dell’assenza di terminali amminici e carbossilici. Queste caratteristiche assicurano che le molecole ciclizzate abbiano un’attività migliore e più affidabile e un’adeguata residualità. I peptidi ciclici antimicrobici lavorano prendendo di mira le caratteristiche fondamentali dell’involucro della cellula fungina. Si pensa che tali modalità di azione riducano il rischio di sviluppo di resistenza nelle popolazioni microbiche.

I peptidi ciclici antimicrobici sono prodotti come metaboliti secondari composti da un massimo di 50 residui di amminoacidi, le cui molecole complesse sono legate, tra le altre, in modo covalente da catene di acidi grassi (lipopeptidi). I peptidi ciclici antimicrobici di origine microbica sono sintetizzati non ribosomicamente da peptidi sintetasi non ribosomiali (NRPS), utilizzando aminoacidi sia codificati che non proteinogenici. Sono stati segnalati un discreto numero di peptidi ciclici con una varietà di strutture attive contro funghi e batteri fitopatogeni. Questi peptidi mirano principalmente a componenti presenti nell’involucro cellulare microbico come chitina, glucano e sfingolipidi. Inoltre, recentemente è stata sviluppata una vasta gamma di peptidi ciclici con proprietà migliorate in termini di attività, specificità, biodegradabilità e tossicità, sintetizzati utilizzando la chimica combinatoria.

Il freno del principio di precauzione

Per avere disponibili in tempi brevi queste novità di fitoiatria molecolare occorre considerare con attenzione anche l’aspetto regolatorio, fermo restando il “principio di precauzione” cardine della politica Ue. Per molte delle tecniche potenzialmente impiegabili non vi sono infatti ancora sufficienti studi sia ecotossicologici sia sul destino ambientale dei formulati, in grado di garantirne l’innocuità. Prima di un loro impiego su larga scala è pertanto necessario che si sviluppino tecniche adeguate in grado di monitorare la loro presenza nell’ambiente e gli effetti, sia acuti che cronici, che potrebbero arrecare all’uomo, agli animali e all’ambiente. Dei formulati chimici di sintesi conosciamo pregi e difetti, la loro efficacia, come e quando applicarli ma soprattutto sappiamo come poterli rintracciare nell’ambiente e sulle derrate alimentari per minimizzare la loro tossicità. È necessario che le stesse conoscenze siano acquisite anche per questi nuovi prodotti biotecnologici prima di un loro impiego su larga scala.

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1. L’illusione della rivoluzione verde

Dopo la seconda guerra mondiale l’avvento degli insetticidi chimici di sintesi inaugurò un nuovo paradigma nella protezione delle colture, facendo entrare l’agricoltura in una dimensione “industriale”. Negli anni ’70 vi era più di una contromisura agrochimica per quasi tutti i principali parassiti delle colture e si studiavano sempre nuove applicazioni per gestire anche quelli secondari con l’illusione di realizzare un completo controllo di tutte le possibili avversità delle piante. I benefici derivanti dall’impiego degli agrofarmaci erano facilmente misurabili: ad ogni somma spesa per la gestione chimica dei parassiti corrispondeva un consistente aumento della resa produttiva e quindi un importante ritorno economico.

Ma l’euforia è stata di breve durata. Già un paio di decenni dopo l’introduzione, sono emersi gli impatti deleteri sulla salute umana e sull’ambiente provocati dall’uso intensivo di questi prodotti. Costi difficili da valutare in termini economici anche per le agenzie di regolamentazione nate nei Paesi industrializzati che dovevano soppesare gli evidenti benefici dell’uso di agrochimici con questi rischi nascosti.

2. La nascita della difesa integrata

Dopo i problemi emersi con i primi insetticidi di sintesi (v. riquadro sopra), l’industria agrochimica rispose scoprendo nuovi principi attivi con aumentata selettività mirata verso i parassiti e diminuzione della tossicità per i mammiferi. Tuttavia, anche i nuovi prodotti hanno mostrato criticità: la classe degli insetticidi neonicotinoidi, ad esempio, introdotta negli anni ‘90 e fino a poco tempo fa diffusissima ed ampiamente impiegata, ha subito severe restrizioni d’uso a causa degli effetti negativi sugli impollinatori. Inoltre, se l’obiettivo iniziale della gestione dei parassiti in agricoltura era la riduzione delle perdite produttive prima della raccolta, le crescenti preoccupazioni dei cittadini ha generato un obiettivo secondario, vale a dire che la riduzione dei danni da parassiti deve essere ottenuta riducendo al contempo l’uso di sostanze chimiche di sintesi. Questo obiettivo è stato al centro dello spostamento verso la gestione integrata dei parassiti delle colture (Integrated Pest Management o Ipm). Gli strumenti e le tattiche di gestione dei parassiti secondo questo paradigma possono essere suddivisi in 5 categorie (v. tab.1).

3. La stretta normativa

Il processo di ripensamento sull’uso degli agrofarmaci ha avuto il suo apice con la Dir. Ue 128/2009 sull’uso sostenibile.

Che ha promosso pratiche di utilizzo dei prodotti fitosanitari capaci di ridurne l’impatto nelle aree agricole, extra agricole (aree verdi urbane, strade, ferrovie ecc.) e aree naturali protette e che, fra le altre conseguenze, ha messo in atto un processo di revisione e riduzione del pacchetto degli agrofarmaci disponibili sul mercato. Negli ultimi anni l’arrivo di nuovi agrofarmaci ha subito un brusco arresto. Le attuali regole per la registrazione di nuovi formulati nell’Ue, infatti, sono così stringenti da scoraggiare le società produttrici. Soprattutto se le nuove molecole, quand’anche efficaci, non sembrano soddisfare in fase di screening i criteri di basso rischio ecotossicologico e di destino ambientale. Il naturale risultato di queste dinamiche è stato un crescente deficit fra i prodotti revocati e i nuovi prodotti che entrano nel mercato. Una mancanza di formulati disponibili che è già impattante per un’agricoltura complessa e variegata come quella italiana, spesso condizionata da un’opinione pubblica lontanissima dalle problematiche produttive..

4. L’impatto della Farm to fork

Recentemente la Commissione europea ha pubblicato la strategia “Farm to Fork”. Tra gli strumenti applicativi si inserisce la proposta del nuovo regolamento sugli usi sostenibili che, fra le altre cose, prevederebbe di ridurre del 62 % l’impiego degli agrofarmaci entro il 2030 in Italia. Se consideriamo che per lo sviluppo di un nuovo prodotto chimico sono necessari oltre 250 milioni di dollari di investimento e più di 10 anni di lavoro è chiaro che nei prossimi anni dovremo aspettarci un’ulteriore massiccia riduzione degli agrofarmaci disponibili.

Perderemo la guerra contro i parassiti? - Ultima modifica: 2023-05-09T15:26:59+02:00 da K4

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