La meglio gioventù per l’agricoltura Ue

Diana Lenzi, neopresidente di Ceja, nella sua Fattoria di Petroio a Castelnuovo Berardenga (Si)
Parla Diana Lenzi, prima donna al vertice Ceja, i giovani agricoltori europei. Prezzo elevato dei terreni, accesso al credito, sostegni inadeguati: le principali difficoltà che interessano i giovani imprenditori agricoli in Italia e in tutta Europa al centro dell'intervista di Terra e Vita

Diana Lenzi, romana, classe 1983, una laurea in Scienze politiche, è la nuova presidente del Ceja, l’Organizzazione dei Giovani Agricoltori Europei che raccoglie 30 associazioni agricole e due milioni di produttori Ue (ne avevamo dato notizia qui).

Lenzi, già delegata dei Giovani di Confagricoltura (Anga), succede a Bruxelles al giovane presidente francese Samuel Masse.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile

A capo dal 2008 dell’azienda vitivinicola di famiglia, la Fattoria di Petroio a Castelnuovo Berardenga (Si), Lenzi da anni si occupa di temi legati ai SDGs (Sustainable Development Goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile lanciati dall'Onu) in agricoltura e delle attività legate alle politiche europee.

«Ho sostenuto – afferma Lenzi – e sostengo con forza la centralità della politica europea come strumento di supporto ai giovani agricoltori. Lavorerò per mettere al centro le posizioni e gli interessi dei giovani agricoltori europei».

Prima donna al vertice Ceja

Diana Lenzi

La prima donna alla presidenza del Ceja. Un ruolo importante carico di responsabilità. Quale saranno le tematiche prioritarie che porterà avanti nel suo mandato?

«Essere la prima donna presidente del Ceja è una grande vittoria. Il lavoro svolto negli anni ha premiato. È stato un percorso dal basso, un traguardo non imposto».

«Il fatto che ci fossero quattro candidate alla vicepresidenza e due alla presidenza è un segnale importante, forse qualcosa sta cambiando. Le donne stanno emergendo e si stanno affermando con le loro forze».

«Quanto alle tematiche, su tutti c’è la sostenibilità a base agricola ossia come i parametri di sostenibilità della farm to fork possano essere integrati, implementati nelle aziende gestite dai giovani imprenditori agricoli. Partiremo dal suolo, preservare la biodiversità e incrementare la biocapacità dei suoli è una priorità, e lo faremo in sinergia con il mondo della ricerca».

Il valore della competenza

«Dobbiamo rendere i giovani agricoltori più competenti dandogli conoscenze sia tecniche che pratiche. A riguardo sarà fondamentale accrescere le competenze finanziarie dei giovani, necessarie per sviluppare dei sistemi economicamente sostenibili».

«Altra tematica centrale del mio mandato sarà lo sviluppo rurale, dobbiamo attrarre persone in agricoltura e per farlo dobbiamo lavorare sulle infrastrutture fisiche e digitali coprendo tutti i territori. E ancora, il supporto alle nuove tecniche genomiche. Infine punterò molto sul tenere vivo il concetto di membership, all’interno del Ceja e non solo.

Il freno dell'accesso al credito

Quali sono le difficoltà più urgenti che i giovani imprenditori agricoli devono affrontare?

«Abbiamo una Pac e delle ambizioni ambientali che, anche attraverso lo strumento della condizionalità, renderanno la pressione sull’accesso alla terra sempre più forte. E per un giovane che vuole aprire un’azienda, o svilupparne una, diventa molto difficile poterlo fare».

«Tra i maggiori ostacoli che frenano i giovani agricoltori nell’avviare la propria attività c’è sicuramente la questione dell’accesso al credito».

«Questa è una problematica complessa e presente in tutte le regioni europee. È chiaro che un’azienda agricola gestita da un giovane non ha quelle garanzie che spesso sono chieste dalle banche per accedere al credito. Quindi andrebbero creati dei sistemi, delle linee di credito, dei prodotti su misura, in cui le banche si adoperino in un lavoro di affiancamento, investendo sullo sviluppo finanziario di quella azienda».

«Ad oggi senza una fideiussione del genitore non è possibile nemmeno avviare l’attività. Abbiamo un’opportunità che non dobbiamo sprecare: ci sono tante risorse finanziarie che verranno allocate per lo sviluppo dell’Europa forse una buona parte andrebbero investite sui giovani, che poi sono quelli che per i prossimi 30-40 anni lavoreranno e manderanno avanti le aziende».

«Sarebbe più saggio investire risorse sul futuro che tenere in piedi dinosauri».

Farm to fork, una formula con risultati incerti

Diana Lenzi

Tornando sulla sostenibilità e sulla strategia farm to fork, gli obiettivi fissati dall’Europa li condivide? Pensa siano concretamente attuabili?

«La farm to fork è una somma algebrica che fatico a far tornare sul risultato».

«Non è un’agricoltura che può funzionare in quei parametri, salvo che non si integri tanta innovazione e tecnologia sviluppando contemporaneamente ampie competenze sia imprenditoriali che agricole. Bisogna aumentare l’intelligenza per ettaro per arrivare a un risultato del genere e quindi ad oggi è una ricetta non facilmente applicabile. La mia posizione sulla farm to fork è di forte scetticismo».

«Abbiamo bisogno di continuare a produrre a livello europeo cibo sano, sicuro e disponibile, dobbiamo continuare a nutrire una popolazione in crescita, e questo tipo di agricoltura vede delle riduzioni endemiche, come faremo? Andremo ad acquistare alimenti necessari per la sopravvivenza fuori Europa? E a che prezzo? A quali regole? A quali condizioni? Perché imporci standard che ci mettono fuori mercato?»

«Certamente ritengo giusto l’obiettivo finale, ossia la salvaguardia del pianeta, noi agricoltori siamo i primi a volerla, ma credo che questa strada fatta con l’accetta non sia percorribile, a meno che qualcuno non me la spieghi con un’analisi costi benefici, ma purtroppo ancora non c’è uno studio di fattibilità a riguardo».

«Per questi motivi dico che noi agricoltori vorremmo stare in prima linea per lavorare su come meglio efficientare le nostre aziende. Inoltre a livello europeo quello che si può fare in alcune regioni non è attuabile in altre, ogni territorio ha le sue specificità. Ci sono zone in Europa, per esempio, in cui sarà impossibile fare agricoltura biologica senza andare ad incidere fortemente sulla produttività in modo insostenibile».

Ricambio generazionale improcrastinabile

Altro nodo è la questione relativa al ricambio generazionale che in Italia non funziona. Come intervenire? In Europa il passaggio del testimone è più agile?

«In Europa ci sono le stesse difficoltà che abbiamo in Italia. Affiancamento e affitti agevolati, sono misure che trovano difficile applicazione. Serve un corposo lavoro politico in merito. Dobbiamo ripartire da zero».

«Abbiamo un’Europa vecchissima, un sistema agricolo in cui circa il 5% degli agricoltori europei ha un’età inferiore a 35 anni e l’11% ha meno di 40 anni».

«È evidente che continuando su questa linea non c’è richiamo per il settore. È un settore che richiede sacrifici, condizionato da enormi variabili, il nostro rischio d’impresa è subordinato agli eventi climatici, quindi un rischio che difficilmente si riesce a integrare in un piano finanziario».

«Oggi se eredito un’azienda agricola mi conviene venderla e investire in un’attività che mi può dare un reddito quotidiano».

Primo insediamento, uno su mille ce la fa

E la misura di primo insediamento in questo contesto come la giudica? È inefficace? Cosa non funziona?

«Non possiamo pensare che fare le misure di primo insediamento possa essere un modo per risolvere il problema. È un primo step, ma se non facciamo una politica di affiancamento per i primi 15 anni, quel giovane imprenditore il più delle volte si perde e chiude l’azienda. Oggi, anche a causa della lentezza burocratica delle banche e delle amministrazioni regionali, le aziende giovani si trovano ad avere reddito pari a zero per 4-5 anni con una produzione avviata. Come fanno a sopravvivere?»

Giro a lei la domanda, come intervenire? Quali misure andrebbero implementate?

«Servono misure di affiancamento che siano più attinenti alla realtà, alle specificità, alle particolarità del settore agricolo prima di tutto».

«E questo salto di visione deve essere politico. Poi bisogna creare sistemi innovativi di formazione. Dobbiamo forgiare competenze elevate negli istituti tecnici, riuscire a creare imprenditorialità, implementare strumenti finanziari che possano affiancare concretamente gli imprenditori agricoli, a quel punto avremo una macchina che inizia a muoversi».

«Serve a livello europeo un sistema di mercato, incentivi, sistemi regolatori capaci di accelerare la costruzione di un apparato agricolo competitivo. Oggi invece abbiamo strumenti che tendono a bloccare, fortemente inadatti alle reali esigenze dei giovani imprenditori. Fino ad ora è mancata la lungimiranza nelle scelte politiche, mi auguro che ci sia un cambio di rotta».

L'incognita della nazionalizzazione della Pac

Nuova Pac: i fondi destinati ai giovani agricoltori sono sufficienti? Quali sfide e prospettive?

«Si parlava del 2% allocato ai pagamenti diretti, abbiamo provato a spingere per il 4%, si è chiuso al 3%, non siamo pienamente soddisfatti ma non possiamo dirci nemmeno insoddisfatti».

«È un buon segnale e abbiamo visto che anche per quello che riguarda gli investimenti ci sono dei buoni fondi allocati nel secondo pilastro per i giovani, oltre agli investimenti a fondo perduto. Ci sono delle misure che ci incoraggiano. Quello che a me personalmente spaventa è che tutto verrà ridistribuito a livello nazionale attraverso i piani strategici. Se occorre attendere che il ministero e le regioni facciano tutto il lavoro che in passato arrivava più o meno già fatto da Bruxelles, temo che rischieremo di perdere tanto tempo in un momento in cui bisognerebbe solo correre».

La meglio gioventù per l’agricoltura Ue - Ultima modifica: 2021-07-14T13:49:22+02:00 da Laura Saggio

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