L’agricoltura italiana perde più di 320mila aziende in tre anni

Da sinistra_ Annalisa Zezza, Salvatore Parlato, Gianpaolo Vallardi, Roberta Sardone e Roberto Moro
Ma la Sau torna a crescere (+1,4%) dopo tanti anni tornando a 12,6 milioni di ettari. Sono solo alcuni dei dati dell’Annuario dell’agricoltura italiana Crea 2017 e del report Istat 2018 presentati oggi a Roma

Meno 22%. L’agricoltura italiana perde in soli tre anni più di 320mila aziende (scese ora a 1,145milioni di unità): Un dato che in qualsiasi altro settore produttivo farebbe lanciare un grido d’allarme e che invece nel comparto primario viene accolto quasi positivamente, perchè si accompagna ad una crescita della superficie aziendale media (arrivata a 11 ettari) e soprattutto al forte segnale di inversione di tendenza della Sau nazionale, che dopo decenni di decrescita recupera l’1,4%, arrivando a sfiorare i 12,6 milioni di ettari. Sono solo alcuni dei dati emersi oggi presso la sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva in occasione della presentazione dell’”Annuario dell’agricoltura italiana 2017” del Crea.

Il settore che cambia di più

Un evento, moderato da Terra e Vita, in realtà inedito perchè per la prima volta i dati del Crea sono stati messi a confronto con le prospettive Ocse per i mercati internazionali 2018-2027 e soprattutto con le anticipazioni dell’outlook Istat sul settore agricolo italiano nel 2018.

Salvatore Parlato

«Numeri – afferma Salvatore Parlato, Presidente Crea – che mostrano il forte cambiamento in atto nel comparto agricolo italiano e che consentono ai policy maker di misurare in tempo reale l’effetto delle politiche nazionali e comunitarie sul settore e gli obiettivi da raggiungere».

I nostri punti di forza

Giunto alla LXXI edizione l’Annuario dell’agricoltura italiana individua i punti di forza del nostro sistema produttivo quali:

  • la variegata offerta,
  • gli elevati standard di qualità,
  • l’apprezzamento internazionale per il made in Italy,
  • il contributo strategico alla realizzazione degli obiettivi di salvaguardia ambientale, paesaggistica e colturale.
  • Ma anche la peculiarità della struttura produttiva agricola italiana rispetto a quella dei competitor anche all’interno dell’Unione Europea.
  • Rallenta la crescita della domanda mondiale

Basta dare un’occhiata ai dati Ocse per rendersene conto. «L’aumento della popolazione mondiale – mette in evidenza Annalisa Zezza del Crea – sarà il principale fattore di crescita della domanda alimentare mondiale, malgrado si preveda un rallentamento di questa crescita nel prossimo decennio (tanto che Ocse prevede un rallentamento della crescita della produzione agricola: non più di +1,5% annuo)». A trainare l’agroalimentare italiano non è però la domanda di quantità, ma di qualità e anche di “biodiversità”. L’Ocse considera infatti l’Europa come un aggregato unico, condizionato dall’attenzione che nei paesi del centro e nord europa è dedicato in particolare ai cereali vernini (grano, orzo, segale e avena) e ai semi oleosi (colza e girasole), la cui domanda è prevista in leggero calo nel prossimo decennio. «L’Italia invece- testimonia Gianpaolo Vallardi, Presidente della Commissione agricoltura del Senato – è il Paese della biodiversità, delle centinaia di produzioni tipiche e di metodi di produzione tutti da valorizzare».

Sempre più attività connesse

«Le informazioni presentate oggi – stigmatizza Roberta Sardone del Crea -, mostrano segnali positivi per il settore agricolo, confermandone, ancora una volta, il ruolo di componente chiave dell’economia italiana».

In particolare (clicca QUI per accedere alla presentazione):

  • nel 2017, la produzione del comparto agricoltura ha superato i 54,6 miliardi di euro con un aumento del 3,1% a valori correnti, trainato dalla crescita dei prezzi dei prodotti venduti.
  • Le produzioni vegetali, rappresentano circa il 50% del valore totale, seguite per importanza dal comparto delle produzioni animali (30%). La componente più dinamica, tuttavia, si conferma quella costituita dall’insieme delle attività secondarie e di supporto all’agricoltura, che spiegano il rimanente 20%, con una crescita, pari rispettivamente a 4,9% e 1,2%.
  • Da segnalare anche la sempre maggiore diffusione di queste attività, che coinvolgono circa l’8% delle aziende agricole italiane, con uno sviluppo maggiore di quelle legate alla trasformazione dei prodotti agricoli, all’agriturismo e alla produzione di energie rinnovabili.
  • Il numero degli occupati segna una tendenziale riduzione, ma al contempo si evidenzia una maggiore professionalizzazione e specializzazione, caratterizzate dalla contrazione dell’apporto di lavoro familiare e dall’incremento (+8,2%) del numero dei conduttori con laurea o diploma universitario ad indirizzo agrario.
  • A testimoniare lo stato di salute del settore nel 2017 si riscontrano, sia la ripresa degli investimenti (+3,9%), indice di un ritrovato clima di fiducia sulle prospettive economiche di medio e lungo periodo, sia i segnali di un timido risveglio di interesse per i beni fondiari, che vedono un aumento in valori correnti dell’indice del prezzo della terra, attestatosi poco oltre i 20.000 euro/ha, sebbene con un’ampia forbice fra Nord (40.000) e il Mezzogiorno (8.000/13.000).
  • In miglioramento anche tutti i principali indicatori del commercio con l’estero di prodotti agro-alimentari, grazie anche ad un aumento delle esportazioni pari al 5,7%, che si associa al sempre più evidente riconoscimento della centralità del Made in Italy, il cui peso supera il 73% dell’export totale del settore.

I fattori d’incertezza

Un andamento tutto sommato positivo su cui però si allungano le ombre di numerosi fattori d’incertezza tra cui:

  • l’aumento dei prezzi del petrolio;
  • le politiche sui biocombustibili (Cina);
  • il climate change e le relative politiche di contrasto
  • lo sviluppo di nuove tecnologie digitali e di selezione varietale (e il loro impatto sull’opinione pubblica)
  • la crescita del protezionismo dei dazi (Usa-Cina)
  • e soprattutto la possibile forte contrazione dei contributi comunitari.

Il Parlamento europeo stima infatti che le proposte sul nuovo Quadro politico finanziario Ue 2021-2027 porterebbero a una contrazione delle risorse Pac per l’intera Ue del -11% per il primo Pilastro e del -28% per lo Sviluppo Rurale.

Budget Pac da salvare

«Ipotesi che vanno assolutamente scongiurate – afferma Paolo De Castro in collegamento da Bruxelles – L’ipotesi peggiore post-Brexit (su cui c’èà la massima incertezza dopo il voto del Parlamento inglese) è quella di una fusione dei due pilastri, con la corresponsione solo di cofinanziamenti, l’europarlamento si batte invece per l’invarianza del budget e dei contributi». In mezzo a questi due opposti ci sono tutte le diverse ipotesi che rimandano a scelte nazionali riguardo all’entità delle “perdite” dei due pilastri, considerando che lo Sviluppo rurale costituisce la politica europea che ha il maggiore impatto territoriale anche nel nostro Paese. «è comunque assolutamente da evitare – raccomanda De Castro – la nazionalizzazione della Pac e per farlo ci sono altri due anni di tempo, visto che siamo in attesa di una proroga di due anni dell’attuale Pac».

Il pregio di politiche nazionali

Una nazionalizzazione che in realtà è gia parzialmente in  atto, in particolar modo nel nostro Paese.«L’esperienza – testimonia Emilio Gatto, direttore generale allo Sviluppo Rurale del Mipaaft – dei primi due Psr nazionali sta procedendo bene, dopo le difficoltà iniziali, consentendo di armonizzare politiche decisive in tempi di cambiamenti climatici come quelle della gestione irrigua e della gestione del rischio e della tutela del reddito». E un forte elemento di armonia è stato portato anche dall’attenzione del Governo sul tema delle filiere «Un tema che ha giovato della scelta di gestire le politiche di aggregazione verticale in maniera unitaria e senza campanilismi».


L’annuario 2017  (scaricabile qui in formato pdf) segna il raggiungimento di un traguardo importante per un  prodotto che ha rappresentato nel tempo un valore identitario per il Crea, in particolare per il suo centro di ricerca su politiche e bioeconomia. La presentazione di questa edizione è frutto di una sempre più stretta collaborazione con l’Istat.


Istat: un 2018 positivo ma non per olio d’oliva e agrumi

Positiva anche  la prima stima preliminare (si veda qui)  della performance economica dell’agricoltura italiana nel 2018 diffusa oggi dall’Istat. «Nel 2018 – stima Roberto Moro di Istat – la produzione agricola italiana nel suo complesso è aumentata dell’1,5% in volume, mentre nel 2017 era diminuita del 3,2%». In crescita anche il valore aggiunto (+2%). Alcuni comparti tuttavia, come le produzioni olivicole e quelle agrumicole hanno avuto una battuta d’arresto particolarmente incisiva per l’olio (-36,9%). Così come le produzioni zootecniche registrano un calo di produzione di 0,5%.

Preoccupa il peggioramento della ragione di scambio: i costi sostenuti dagli agricoltori sono aumentati del 4,4% in termini di prezzi; mentre i prezzi dei prodotti agricoli sono aumentati solo dell’1,4% in complesso.

Primi risultati del settore agricolo italiano nel 2018
Variazioni percentuali rispetto all’anno precedente
(elaborazione Confagricoltura su dati Istat)

Produzione agricola

Di cui:

-          Olio di oliva

-          Agrumi

-          Vini

-          Zootecnia

+ 1,5%

 

-36,9%

-6,8%

+14,3%

-0,5%

Valore aggiunto +2,0%
Prezzi agricoli +1,4%
Costi (prezzi) +4,4%
Manodopera -2,2%

 

L’agricoltura italiana perde più di 320mila aziende in tre anni - Ultima modifica: 2019-01-17T20:13:18+01:00 da Lorenzo Tosi

1 commento

  1. Occorre rendersi conto che il rallentamento e la mancanza di fondi della P.A. sta pesantemente condizionando l’andamento dei PSR e la puntualità nel conferimento dei Contributi e di tutte le forme di finanziamento alle aziende agricole.
    Questo mette a rischio le aziende più fragili, e certe iniziative dei Piani di Sviluppo Rurale, tipo inserire il satellitare come prioritario anche in zone in cui è impossibile una triangolazione , rende meno efficace il sostegno alle aziende.

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