Sol Levante, terra promessa del nostro export agroalimentare

In un mondo che si chiude, tra muri e guerre dei dazi, la rotta del made in Italy verso il Giappone rimane tra le più promettenti per la nostra bilancia commerciale. Lo rileva Nomisma che, in occasione della quarta edizione di Agrifood Monitor, registra come l’export del Belpaese sia cresciuto del +50% in un decennio con un balzo del 13% nel primo quadrimestre di quest’anno grazie anche all’influsso dell’accordo di libero scambio con l’Ue.

Con una popolazione doppia e un Pil pro-capite superiore del 10% a quello italiano, il Giappone rappresenta un mercato di estremo interesse per il nostro export di Food & Beverage. Le esportazioni agroalimentari italiane verso questo Paese sono passate, nell'ultimo decennio, da 537 a 865 milioni di euro con una crescita del 50% seppure degli oltre 57 miliardi di euro di beni del settore importati nel 2018 dal paese del Sol Levante solamente l'1,5% sia di provenienza tricolore. È quanto emerge dai dati presentati al quarto Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e Crif.
Estremamente positivo il dato relativo al primo quadrimestre di quest'anno: le importazioni di prodotti agroalimentari italiani in Giappone sono cresciute di quasi il 13% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, rispetto ad una media di mercato che ha visto aumentare l'import totale di cibo e bevande di circa il 9%.

Bene oggi, ancor meglio in prospettiva

Denis Pantini

Il Giappone rappresenta il quinto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari. «Sebbene - rileva Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma - pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la rilevanza di questo mercato è molto più strategica per alcuni prodotti, sia oggi che in prospettiva. Basti pensare all’olio d’oliva, dove il paese del Sol Levante incide per il 7,5% sull’export di questo prodotto del Made in Italy e arriva al 17% nel caso degli olii esportati dal Sud Italia».

Olio, vino. formaggi

Bene anche l’import di vino italiano, cresciuto ad un tasso medio annuo (Cagr) del 4%, quello di formaggi del 5,9%. Usa, Australia e paesi asiatici i principali concorrenti, ma con l’accordo di libero scambio in vigore dal 1 febbraio tra Ue e Giappone i prodotti italiani diventano più competitivi, grazie all’abbattimento dei dazi e delle barriere non tariffarie.

Le regioni di provenienza

E siamo solo all’inizio: l’accordo ha portato all’azzeramento dei dazi (e delle altre barriere non tariffarie) da subito per circa il 90% delle importazioni Ue e gradualmente verrà applicato al resto dei prodotti (per alcuni prodotti bandiera del Made in Italy come il vino , la pasta e i formaggi i dazi vanno dal 15% al 40%).

Il 10 giugno il IV Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e Crif presso il Palazzo di Varignana sulle colline bolognesi ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone, di Paolo De Castro, europarlamentare, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, Daniele Salvagno, presidente di Redoro Frantoi Veneti, Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd e Miciyo Yamada,

Miciyo Yamada

giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese.

Il posizionamento di prezzo

Tra tutti i mercati di destinazione dell’olio extravergine di oliva italiano, il Giappone assieme alla Svizzera rappresentano i paesi con il prezzo medio all’export più alto (rispettivamente 5,6 e 6 euro/kg) contro una media mondo pari a 5 euro/kg. Ma anche per quanto riguarda i formaggi, l’Italia presenta il posizionamento di prezzo più alto su questo mercato rispetto a tutti i diretti competitor (7,64 €/kg di prezzo medio all’import contro 3,62 euro dell’Australia o 3,97€ degli Usa).

«Il posizionamento di prezzo più elevato dei nostri prodotti - sottolinea Pantini - riflette una composizione del paniere esportato di più alta qualità che a sua volta discende da una maggior attenzione del consumatore giapponese verso il Made in Italy». Non è infatti un caso se tra il 2013 e il 2018 l’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano in questo mercato è cresciuto a valore del 113%, quello di Gorgonzola del 109%.

La percezione del consumatore

Ma se vogliamo aumentare la nostra penetrazione nel mercato giapponese, oltre alla spinta propulsiva che può arrivare dall’accordo di libero scambio, dobbiamo capire bene come siamo percepiti presso il consumatore locale, qual è la reputazione dei nostri prodotti agroalimentari e soprattutto come possiamo conquistare la sua fiducia, chiave di volta per costruire rapporti consolidati di fornitura.

I motivi della preferenza

«La survey- evidenzia Evita Gandini, Project Manager dell’Area agroalimentare di Nomisma -che abbiamo realizzato in occasione del Forum su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese».

Non tutti i consumatori, però, si dicono pronti ad acquistare ad occhi chiusi un nostro prodotto: la stragrande maggioranza dei giapponesi, infatti, è sensibile al prezzo e razionale nelle scelte di acquisto. Si tratta dei “Tradizionalisti-cauti”, il gruppo individuato tramite la cluster analysis di Agrifood Monitor in cui ricade ben il 48% dei consumatori. Il secondo gruppo più numeroso è rappresentato dai “Millennials Sperimentatori” (36%), giovani dai 18 ai 38 anni, curiosi, aperti alle novità sono attratti dalla cultura occidentale e per questo la propensione all’acquisto di prodotti Made in Italy è più elevata della media.

I giramondo spensierati

“Ma il segmento - conclude Gandini - più interessante per il nostro Made in Italy è rappresentato dai “Giramondo spensierati” (10% della popolazione): consumatori della Generation X (39-54 anni) con alta capacità di spesa, amano viaggiare e conoscere nuove culture. Internet, degustazioni, cooking show, abbinamento cibo-vino sono le parole chiave per conquistare questo tipo di consumatori».

Gli stili di consumo

Come raggiungere questo mercato

«Nel settore agroalimentare - – commenta Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS-come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. Molto spesso per una PMI entrare in un nuovo mercato significa sostenere investimenti economici e di tempo per gestire procedure doganali, attività fieristiche, di comunicazione e distribuzione. Essendo partner di oltre 15.000 aziende in Italia, possiamo affermare che le PMI che hanno maggior successo nell’export sono quelle che riescono ad accelerare la fase di ricerca degli importatori e distributori utilizzando i canali digitali ma anche riuscendo ad individuare, avvalendosi di servizi specializzati, i potenziali partner prima ancora di investire in trasferte e attività di promozione su mercati lontani».  

Sol Levante, terra promessa del nostro export agroalimentare - Ultima modifica: 2019-06-11T08:33:04+02:00 da Lorenzo Tosi

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