Editoriale – La partita aperta della gestione delle acque

Arundo donax reed in blue water, Camargue national park, France

La bonifica che verrà di Beatrice Toni

Ironia del destino: destinati a soccombere con passaggio di funzioni alle Province, i Consorzi di bonifica si candidano ora a riempire parte del vuoto di competenze lasciato dalla tormentata riforma, tuttora in itinere, dell’ordinamento locale. Sono pronti a coprire un ruolo di governo intermedio per servizi agricoli (l’irrigazione) e paesaggistici sul territorio. Funzioni che non possono essere né troppo frammentate (nei Comuni) né troppo accentrate (nelle Regioni). Da coprire con urgenza visti i danni del clima, con i suoi cicli siccità-alluvioni, e del dissesto idrogeologico.

Anzi, i Consorzi si rilanciano come motori del cambiamento. Perché acqua è agricoltura, quindi produzione di cibo, o perché il “cibo è irriguo” come recita lo slogan adottato da Anbi (l’Associazione nazionale bonifiche) alla sua ultima assemblea.

E se è vero che i Consorzi governano una rete di 200 mila km di canali, strategica al pari di un elettrodotto, quella rete ha bisogno di un lavoro enorme di “efficientamento” delle infrastrutture irrigue. Dietro l’angolo vi sono i fondi messi a disposizione dall’Europa. Misure in primo piano sia nel Psr nazionale sia nei vari Psr regionali. Destinate alle innovazioni tecnologiche e all’aumento della competitività delle imprese. I consorzi si candidano e sarà una bella prova di efficienza nell’utilizzo delle risorse, e una prova di coordinamento in sintonia con le regioni e il mondo della ricerca.

Sempre che la burocrazia, comunitaria e anche nazionale, non rallenti tempi e processi di approvazione. Come per quei 300 milioni del Piano nazionale di sviluppo rurale destinati alle opere irrigue. Che sono pochi a detta di tutti, ma soprattutto sono fermi al palo

 

Burocrazia permettendo di Francesco Vincenzi

Presidente ANBI

Candidare i consorzi di bonifica a ente intermedio, per le competenze specifiche, non è sovrastimare la loro capacità operativa, ma solo occupare operativamente uno spazio lasciato libero dall’abolizione delle Province, mettendo a frutto le esperienze maturate sul campo. D’altronde a chi vanno in capo le competenze idrogeologiche, laddove vengono soppresse le Comunità montane? E con chi si convenzionano i Comuni o le loro Unioni per la manutenzione dei piccoli alvei locali o la stesura dei Piani delle acque? Con i consorzi di bonifica.

Il rilancio del nostro Paese, insomma, è sì affidato a opportune scelte politiche, ma anche a uno snellimento ed efficientamento della macchina burocratica.

L’Italia, ad esempio, rischia ora l’infrazione comunitaria per la mancata applicazione della Direttiva sulle Acque a causa di un contrasto di interpretazione sul “recupero dei costi idrici” fra Mipaaf e ministero dell’Ambiente; ora finalmente si stanno redigendo le linee guida, ma intanto i 300 milioni del Piano irriguo nazionale sono fermi e i conti delle aziende agricole a rischio.

Un altro esempio: il primo risultato dell’Unità di missione contro il rischio idrogeologico è stato “recuperare” miliardi di euro “dimenticati” nelle more dei bilanci pubblici a causa di una firma mancante o di una commissione non riunita. Intanto si spendono centinaia di milioni all’anno per riparare i danni da alluvioni e si sono perse decine di impagabili vite umane. Una cosa però è certa: il susseguirsi delle stagion; così, a causa dell’assenza di un’adeguata rete di invasi, l’Italia è per sei mesi a rischio inondazione e per altrettanti a rischio siccità. Si può continuare così?

Editoriale – La partita aperta della gestione delle acque - Ultima modifica: 2015-08-03T09:48:45+02:00 da Sandra Osti

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