Setti: «Finalmente buono il prezzo del latte, ma ora piano con la produzione»

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Giorgio Setti
In altre parole cosa può fare l’allevatore per difendere i conti aziendali? Razionalizzare i costi di produzione

È un momento positivo per gli allevatori italiani di bovine. Il prezzo del latte alla stalla ormai supera quasi in ogni regione i 38 centesimi al litro, più spesso si attesta intorno a quota 40, in Lombardia ha raggiunto picchi di 42-43 centesimi. Per non parlare del latte spot, quello venduto fuori dagli accordi, che supera i 45 cent. E per chi conferisce a caseifici che producono formaggi dop la stessa quotazione diventa ancora più alta.

Non è tutto perché all’attivo l’allevatore può mettere anche i ricavi della vendita dei vitelli e delle vacche a fine carriera, i premi Pac, i premi del caseificio per la qualità…

In conclusione è da qualche mese ormai che i ricavi unitari della produzione aziendale di latte si attestano stabilmente, e in modo quasi generalizzato, al di sopra del livello dei costi di allevamento.

Le motivazioni di questo periodo felice si possono cercare fra l’altro anche nei trend del mercato internazionale. A livello globale la domanda di lattiero caseari è maggiore che in passato, aumenta il valore della panna e del burro (il prezzo di quest’ultimo è aumentato del 300% da aprile 2016 ad aprile 2017), l’export italiano dei migliori formaggi dop tira come non accadeva da anni. Solo i consumi nazionali ancora stentano a dare grandi soddisfazioni, pur con qualche eccezione.

Gli allevatori italiani insomma oggi sono ben lontani dalla crisi degli anni scorsi, quando le consegne di latte fruttavano solo 30 centesimi al litro, prezzo drammaticamente al di sotto del costo di produzione, che ha portato molte stalle alla chiusura e molte altre comunque a lavorare in perdita rinunciando agli investimenti. Un periodo di tensione che nessuno ha dimenticato. Ma è proprio il fattore memoria che molti osservatori indicano ora come strategico.

C’è il rischio infatti che proprio a causa del buon livello dei prezzi la produzione italiana di latte si impenni, con i noti effetti negativi proprio sulle quotazioni. Una reazione comprensibilissima a livello della singola azienda, ma indesiderabile a livello macroeconomico. Tanto che, per dirne una, i consorzi dei maggiori formaggi dop insistono sui propri meccanismi di regolamentazione dell’offerta di latte.

Di qui l’importanza per i produttori di ricordare cosa succedeva fino a pochi mesi fa, di rimanere consapevoli. Di contribuire a evitare un nuovo picco dell’offerta totale. Per non ripiombare a quota 30.

In altre parole cosa può fare l’allevatore per difendere i conti aziendali? La logica, ma anche l’opinione di molti protagonisti del settore, vede possibili almeno due tipi di reazioni.

Continuare a spingere sulla produzione di latte nella propria azienda, disinteressandosi delle ripercussioni macro; scelta inevitabile e comprensibile, ma praticabile a patto di non appartenere a un consorzio che impone la regolamentazione dell’offerta. Scelta inoltre in grado di sbilanciare la gestione dell’allevamento esponendolo a problemi nel caso il vento improvvisamente cambiasse e il prezzo tornasse a posizionarsi sotto i costi.

Oppure razionalizzare i costi di produzione. Scelta che ha lo stesso effetto della precedente sull’unico parametro che conta per il bilancio di un’azienda zootecnica: non il totale dei ricavi ma la differenza tra i ricavi e i costi. Ma che è più prudente e lungimirante.

 

di Giorgio Setti

Giornalista, Edagricole - New Business Media

giorgio.setti@newbusinessmedia.it

Setti: «Finalmente buono il prezzo del latte, ma ora piano con la produzione» - Ultima modifica: 2017-10-02T12:27:21+02:00 da Barbara Gamberini

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