Extravergine “made in”. Una crescita di valore

Etichetta d’origine delle olive, analisi del contenuto in alchil esteri e controlli sistematici. Ecco i tre fattori che sostengono il mercato

Un profumo di fruttato dolce, intenso e delicato si sprigiona nei primi frantoi che hanno iniziato l’attività di molitura. Sono le prime splendide, irripetibili fragranze dell’olio novello. Un gusto legato alle varietà delle olive, ai territori dei mille oliveti italiani, dovuto alla presenza di componenti aromatiche e organolettiche, all’amore dei produttori che rendono il made in Italy dell’olio extravergine di oliva un prodotto di eccellenza inimitabile e incomparabile, gradito sempre di più dai consumatori che attendono con impazienza le campagne come “frantoi aperti”che tra pochi giorni consentiranno a un pubblico sempre più vasto di apprezzare e acquistare l’olio novello.

L’anticipo della stagione di raccolta e molitura, che ha obbligato produttori e frantoiani a sforzi eccezionali per farsi trovare pronti al nuovo appuntamento, è dovuto alle bizzarre vicende di una stagione caratterizzata prima da una primavera lunga, fresca e piovosa e poi da un periodo caldissimo in agosto e settembre.

 

QUALITÀ MOLTO ELEVATA

La produzione si presenta secondo le primissime fonti di rilevazione (rete Ismea, Unaprol, Cno e Aifo/For) in linea con quella degli anni precedenti con il grande ritorno dell’area nord della Puglia (province di Foggia e Bari) che lo scorso anno registrò una classica annata di scarica. Il resto dell’Italia appare a macchia di leopardo con una buona produzione nelle ottime grandi aree produttive della Sicilia e del nord della Calabria e qualche riduzione di produzione nel centro nord dell’Italia, salvo l’areale del Garda che appare in buona fase di carica.

La qualità complessiva del nostro prezioso oro verde dovrebbe mantenersi come sempre molto elevata anche per gli sforzi e la professionalità dei nostri olivicoltori impegnati a contenere gli attacchi di mosca olearia, il peggior nemico della qualità. L’anticipazione della raccolta in alcune aree è anche la risposta migliore per salvaguardare la qualità magari a scapito di qualche punta percentuale nelle rese che quest’anno, anche a causa della recente ondata di caldo, saranno forse più contenute che in passato.

 

IL MERCATO

Le aspettative dei produttori si concentrano come sempre sull’andamento del mercato. Riusciranno i prezzi di vendita del nostro splendido prodotto a compensare gli sforzi di una stagione capricciosa e a far quadrare i costi aziendali? Che ne sarà del reddito delle nostre imprese?

Nella scorsa campagna (vedi figg. 1 e 2) l’olio made in Italy si è dimostrato ancora una volta leader assoluto del mercato mondiale schiacciando sotto il proprio tallone l’extravergine spagnolo.

Rispetto alla campagna precedente il nostro extravergine, nelle grandi aree di produzione, ha avuto un incremento medio del 20% e surclassa di poco meno del 50% l’omologa categoria di prodotto iberico.

Un fenomeno che vale esclusivamente per l’extravergine mentre per il lampante il nostro prodotto non solo si trova sotto il valore di quello spagnolo, ma ormai anche di quello tunisino. Un segnale sul quale sarebbe bene riflettere e aprire una fase di proposte precise. Il lampante italiano è una commodity che ha perso nel tempo appeal ed è schiacciato da un mercato internazionale dominato dalla Spagna. Sarebbe intelligente ridimensionare la quantità di lampante prodotta dal nostro Paese che è sempre fin troppo rilevante (quasi il 40% del totale dell’olio prodotto). Le soluzioni potrebbero essere una maggior produzione di extravergine, come il mercato oggi peraltro richiede, l’uscita di alcuni oliveti da una destinazione di (pessimo) mercato inserendoli in una programmazione di misure ambientali prevista nei Psr e nella nuova Pac e attuando un progetto di trasformazione del lampante a scopo energetico.

La crescita di valore dell’extravergine italiano e il massimo divario con il prodotto spagnolo non è un fatto casuale. Si tratta della combinazione congiunta di tre fattori chiave. L’entrata in vigore effettiva dell’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine delle olive, l’approvazione di disposizioni sul contenuto massimo di alchili esteri e l’attuazione di una politica dei controlli seri, efficaci e sistematici.

L’obbligo di indicare l’origine del prodotto ha dato chiarezza al mercato e una maggiore tutela alle scelte di acquisto del consumatore. Il nuovo regolamento comunitario 61/2011, che fissa i limiti massimi degli alchili esteri negli extravergini, se pure ancora troppo alti (il doppio dei valori presenti negli oli made in Italy) ha tolto dal mercato buona parte delle pessime produzioni di olio iberico le cui olive aspettano al sole, all’acqua e al gelo settimane intere prima di essere molite nei mega stabilimenti iberici. Infine i controlli condotti da azioni combinate e coordinate dell’Ispettorato centrale per la qualità (ex repressione frodi), dai Nac e Nas dei Carabinieri, dal Corpo Forestale dello Stato e dalla Guardia di Finanza hanno severamente scoraggiato lo scorso anno i furbetti del quartierino di casa nostra.

Il consumatore italiano e straniero ha apprezzato una situazione di maggiore trasparenza del mercato. Nonostante un pessimo anno per il reddito delle famiglie, in Italia e nel mondo, i consumatori hanno privilegiato l’acquisto di olio extravergine preferendolo alle altre categorie e le stesse esportazioni italiane sono tornate a crescere spesso con valori a due cifre nel mercato internazionale.

 

CRESCERE NONOSTANTE LA CRISI

Insieme all’extravergine ne hanno beneficiato anche quei prodotti di eccellenza della nostra produzione (Dop, Igp, biologico, monovarietali, alta qualità made in Italy, ecc.) l’Italia delle Dop è cresciuta (vedi fig. 2 e seguenti) e soprattutto oggi in molte aree la stessa ristorazione e le enoteche in maniera sempre più diffusa promuovono il consumo degli splendidi extravergini Dop dei nostri territori.

Nella nuova campagna, accanto a elementi indubbiamente positivi si nascondono profonde insidie dietro le quali si agitano, mescolando nel torbido, le forze che nell’ultima campagna hanno dovuto subire i grandi successi del made in Italy e i controlli.

Queste componenti della filiera, molto facilmente individuabili, vedono con grande interesse la deriva dell’olio spagnolo, i suoi bassissimi prezzi, la disperazione dei produttori iberici e come sempre provano a giocare la carta della speculazione. Importare a basso costo olio iberico e poi “rinazionalizzarlo” come prodotto italiano può far guadagnare molti soldi facili.

Per questa operazione servono tre cose sulle quali si sta accanendo la strategia dei nemici del made in Italy. La prima cosa è diffondere la voce che di olio italiano ce n’è pochissimo, addirittura meno della Grecia, dimenticando che abbiamo quasi il doppio delle piante del paese ellenico. Una tesi suggestiva tesa a giustificare il ricorso a importazioni sempre più massicce.

Il secondo boatos è legato alla voce allarmistica quanto infondata che il mondo sta per essere sommerso da una produzione immensa proveniente dalla solita Spagna nonché da alcuni paesi nord africani, in preda alle tempestose quanto imprevedibili derive della “primavera araba”. Una tesi a cui non crede nemmeno l’Unione europea che ha concesso alla Spagna un modestissimo quantitativo di olio da avviare all’ammasso privato. 100mila t di oliva vergine per 180 giorni, rispetto alle giacenze ventilate di 800mila di t dello scorso anno e di 1.400.000 t di presunta produzione di quest’anno sono un’inezia. E vi saranno motivi ben fondati per cui la Ue non crede alla Spagna e ai suoi interessati amici di altre filiere nazionali.

Il terzo e ben più pericoloso tentativo della speculazione nazionale è teso a far saltare la politica dei controlli minando dalle fondamenta l’impalcatura che rende possibile il riscontro dei quantitativi di olive prodotte, trasformate e commercializzate nel nostro paese. Uno strumento che si chiama registro degli oli ed entrerà in funzione in questa campagna.

Già alcuni agitatori, molto noti alle autorità di controllo per precedenti malversazioni nel settore, si aggirano per le campagne chiamando a una resistenza passiva i frantoiani dietro le solite obsolete tesi dell’aggravio amministrativo, della perdita di competitività, della privacy, e chi più ne ha più ne metta. Anche in questo caso la mala fede è palese. Basterebbe vedere le intense comunicazioni intercorse tra alcune organizzazioni di tutela e rappresentanza delle imprese frantoiane, come Aifo/For e l’Agea che hanno ottenuto importanti semplificazioni nell’applicazione del registro degli oli salvaguardandone la funzione e le possibilità di utilizzo.

È bene peraltro che i controlli restino, non guardino in faccia a nessuno e investano le nuove aree di rischio che interessano il settore come ad esempio: dai frantoiani e le altre imprese di confezionamento che non aderiranno all’invio telematico dei dati nel Registro oli, alle dogane, alle raffinerie.

Sarebbe un peccato per l’extravergine made in Italy arretrare proprio adesso mentre il mercato e le scelte di acquisto dei consumatori sembrano apprezzare sempre più il nostro oro verde. Proprio nel momento in cui sono a disposizione strumenti finanziari importanti dai Psr ai contratti di filiera, dalle misure sulla qualità e tracciabilità che saranno rinnovate nel trienno 2012-2014 e la stessa ricerca scientifica nel Convegno di Spoleto dell’Accademia dell’Olivo ha presentato importanti soluzioni per l’innovazione, l’ammodernamento, la competitività della nostra olivicoltura.

Extravergine “made in”. Una crescita di valore - Ultima modifica: 2011-10-26T16:59:02+02:00 da Redazione Terra e Vita

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