Analisi di filiera

OLIO D’OLIVA. Per il made in Italy occorre subito una nuova strategia

C’è ancora il cartello di lobby gestito dalla Spagna e capace di determinare sul mercato mondiale i prezzi molto bassi di tutte le categorie dell’olio di oliva. L’Italia deve valorizzare il prodotto attraverso l’alta qualità e l’origine garantita.

Anche la campagna in corso conferma le profonde contraddizioni che attengono al comparto dell’olio di oliva. Lo scenario mondiale dimostra, infatti, che a fronte di nuovi investimenti produttivi, anche in nuove aree molto distanti dall’originario bacino del Mediterraneo, i consumi crescono e si spostano sempre più sul segmento dell’extravergine. Un settore quindi in equilibrio dove dovrebbe valere la legge della domanda e dell’offerta.

Ad esempio, nella campagna 2009/10, a fronte di una notevole contrazione delle produzioni, amplificata dalle pessime condizioni climatiche dei primi mesi dell’anno (–20% in Spagna, –15% in Grecia e in Italia) non si assiste a un corrispettivo aumento dei prezzi; anzi, il perverso andamento dello scorso anno si sta propagando anche alla nuova produzione.

La domanda mondiale si sposta sempre più verso il consumo dell’olio extravergine. Eppure, mai come quest’anno sui grandi mercati dell’Andalusia è stato così ridotto il differenziale di prezzo tra olio extravergine, olio lampante e olio di oliva raffinato. Una manciata di centesimi dividono categorie di prodotto che hanno notevoli differenze dal punto di vista qualitativo, nutrizionale e sensoriale, nonché costi di produzione profondamente diversi. Soprattutto, categorie che non dovrebbero trovarsi mai miscelate insieme nella stessa bottiglia.

Tra le novità registrate nel corso dell’anno passato vi è certamente da ricordare l’entrata in vigore del Reg. 182/09 che introduce l’obbligo dell’indicazione in etichetta dell’origine delle olive.

Evoluzione dei prezzi medi annuali(clicca per ingrandire)

Una conquista dovuta al forte impegno del ex ministro Luca Zaia per assicurare una maggiore trasparenza al mercato. Come si ricorderà la maggior parte delle imprese italiane è stata acquistata negli anni passati dal Gruppo Sos dei fratelli Salazar. Un gruppo che nello scorso anno ha vissuto una fortissima crisi finanziaria interna che ha portato all’orlo del fallimento la società determinando la cessione di molti marchi e imprese tra le quali il noto marchio italiano Dante e quelli detenuti dalla Minerva Oli. Un elemento positivo in questa vicenda è costituito dall’acquirente di tali marchi: l’industriale italiano Biagio Mataluni. I fratelli Salazar sono stati allontanati dalla gestione del Gruppo Sos, che nel nostro Paese, attraverso i marchi Carapelli, Bertolli e Sasso, controlla quasi il 40% del mercato dell’olio di oliva e poco meno del 30% di quello degli oli extravergini.

È chiara l’esigenza in un momento di difficoltà di un gruppo di questo genere di poter contare su un aumento dei margini di profittabilità realizzati con acquisti di prodotto a bassissimo prezzo, forte spinta promozionale sulla grande di distribuzione e grandi volumi di vendita. Una scelta che ha immediatamente condizionato anche i comportamenti delle altre industrie di confezionamento, tenendo conto della propria posizione dominante sul mercato. Un vero e proprio cartello di lobby capace di determinare sul mercato mondiale i prezzi molto bassi di tutte le categorie di qualità dell’olio di oliva.

Export in attivo

Il risultato economico del 2009 evidenzia un ennesimo ossimoro del settore dell’olio di oliva. Prezzi molto bassi e quindi grandi difficoltà di reddito per le aziende agricole. Secondo i dati diffusi dall’annuario ESG89, oltre il 50% delle imprese di confezionamento ha infatti chiuso il bilancio del 2009 con un incremento dei volumi di fatturato e sopratutto con maggiori profitti. Per la prima volta negli ultimi anni si è avuto un saldo attivo della bilancia dei pagamenti. Il valore delle esportazioni ha superato quello delle importazioni con un avanzo positivo di 12 milioni di euro. Il consumatore mondiale è quindi ancora disposto a dare un maggior valore all’olio made in Italy.

Produzione, import ed export(clicca per ingrandire)

Le imprese confezionatrici nel nostro Paese, fortemente a rimorchio del modello spagnolo e condizionate dalle vicende interne del Gruppo Sos, non sembrano però aver colto tutte le opportunità nella crescita dei mercati mondiali. Secondo l’Ismea, negli ultimi anni la Spagna, con un prodotto fortemente standardizzato e omologato, ha conquistato oltre il 50% dell’export mondiale dell’olio di oliva. Mentre l’Italia ha visto la sua fetta assottigliarsi al 24%. Nell’ultimo anno questa tendenza è ancora più evidente: le esportazioni di olio spagnolo hanno registrato un aumento del 5% in quantità a fronte di una flessione del 3% di quelle italiane.

Spagna dinamica
La Spagna si sta rivelando molto più dinamica di noi nel conquistare nuove aree di consumo, soprattutto nel popoloso bacino asiatico dalla Corea alla Cina, dall’India a Singapore. Così come avviene in Russia e Brasile. L’attuale fase di mercato conferma l’esistenza di una precisa strategia spagnola che, nonostante le gravi difficoltà del Gruppo Sos, si fonda su precise scelte: bassi costi di produzione grazie a una forte azione di ammodernamento e razionalizzazione degli impianti produttivi, forte standardizzazione del prodotto attraverso la riduzione delle varietà coltivate a 4-5, riduzione dei costi di trasformazione con forte concentrazione dei frantoi oleari di poco superiori ai 1.500 a fronte dei 6.000 italiani, in grado di ottenere notevoli ricavi dall’utilizzo delle sanse e acque di vegetazione. E una commercializzazione in mano a 4-5 gruppi con il controllo non solo del mercato spagnolo ma anche di parte di quello italiano e portoghese.

Esiste una strategia alternativa per il made in Italy? Il nostro Paese è caratterizzato da un sistema olivicolo diverso da quello spagnolo per tipologia delle aziende, alto numero delle varietà coltivate, qualità degli oli extravergini che ne derivano, forte richiamo della vendita diretta al frantoio e  in azienda che continua a rappresentare in Italia oltre il 30% del canale di vendita. La recente normativa sul made in Italy, anche grazie a un riuscito spot televisivo promosso dal Mipaaf, ha spostato in maniera significativa i consumi verso l’extravergine di produzione nazionale, facendogli compiere un notevole balzo in avanti anche presso la grande distribuzione. Si tratta quindi di mirare a una precisa strategia di qualificazione della nostra produzione attraverso l’adesione a un disciplinare dell’alta qualità italiana in grado di garantire al consumatore una doppia certezza: la qualità e l’origine del prodotto.

Un percorso che può oggi contare sulle notevoli risorse che attraverso i Psr, i programmi del Reg. 867/08 e di quelli della promozione possono arrivare al settore e non vanno disperse, ma orientate ad ammodernamento degli impianti, razionalizzazione delle operazioni colturali e di raccolta e del sistema di trasformazione, tracciabilità e comunicazione al consumatore. A questo fine potrebbe concorrere, insieme a un’efficace campagna di controlli e repressione delle frodi, quel Piano di settore che il Mipaaf ha predisposto raccogliendo il parere favorevole della Conferenza Stato Regioni. Il Piano potrebbe fungere da cabina di regia per la finalizzazione delle risorse destinate al settore verso tre grandi obiettivi: la tutela paesaggistica-ambientale degli oliveti storici e caratteristici del territorio, l’aumento della competitività attraverso l’ammodernamento delle strutture produttive di trasformazione e la comunicazione al consumatore anche attraverso il coinvolgimento dei canali horeca, delle scuole e degli esperti in nutrizione e dietologia.

OLIO D’OLIVA. Per il made in Italy occorre subito una nuova strategia - Ultima modifica: 2010-09-14T17:52:40+02:00 da Redazione Terra e Vita

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