Drupacee, il ritorno della maculatura rossa

Diffusi focolai, quest’anno su ciliegio

La maculatura rossa, altrimenti conosciuta come “nebbia” o “seccume fogliare” è una malattia piuttosto comune su ciliegio e albicocco, in particolare nelle zone collinari e pedecollinari ma, generalmente, non arreca gravi danni produttivi, se non in particolari annate caratterizzate da piogge e temperature miti durante il mese di aprile.
La malattia è segnalata anche su pesco e susino senza peraltro causare particolare danno. Il 2014, proprio in seguito all’andamento climatico particolarmente piovoso nei mesi di aprile e maggio, ha fatto registrato numerose segnalazioni di disseccamenti fogliari ai danni della coltura di ciliegio. Vale pertanto la pena riprendere alcune nozioni di biologia ed epidemiologia di questa malattia che saltuariamente torna a causare danno.

Macchie, “bucherellature” e defogliazioni
I sintomi fogliari cominciano a presentarsi in giugno come aree rossastre, inizialmente visibili solo in trasparenza, dai contorni indefiniti ma delimitate da un ampio bordo decolorato o giallastro.
Col tempo tali aree si allargano sino a confluire portando la foglia dapprima ad imbrunirsi e successivamente a piegarsi su se stessa e a cadere a terra. Facilmente l’area colpita si distacca dal restante lembo fogliare, lasciando delle lesioni che possono essere confuse con quelle originatesi dall’attività trofica di insetti. Su albicocco, le foglie maggiormente colpite cadono precocemente e, in caso di gravi infezioni, non è difficile trovare in estate piante completamente defogliate: in questo modo viene compromessa non solo la produzione dell’anno in corso ma anche quella dell’anno seguente.
Su ciliegio invece, pur seccandosi, rimangono fortemente ancorate alla pianta fino alla stagione successiva. Sulle foglie cadute a terra si formano alla fine della stagione i periteci, piccoli corpiccioli nerastri e organi di riproduzione sessuata del fungo, che gli permettono di trascorrere l’inverno in forma quiescente.

Infossature sui frutti
I frutti di ciliegio vengono molto raramente interessati dall’infezione ma, quando avviene, questi arrivano a presentare infossature e deformazioni, e disseccano restando anch’essi ancorati alla pianta per molto tempo. Su albicocco invece i sintomi sui frutti si manifestano con aree rossastre, a contorno anulare, inizialmente molto superficiali ma tali da rendere il prodotto, già in questa fase non più commercializzabile.
Con il progredire dell’infezione poi, i primi strati dell’epidermide del frutto in corrispondenza delle aree rossastre necrotizzano e si screpolano talvolta rimanendo attaccati al frutto, altre volte staccandosi da questo.

Epidemiologia
L’agente responsabile di questa malattia è l’ascomicete Apiognomonia erythrostoma (sin. Gnomonia erythrostoma) la cui forma imperfetta è Phomopsis stipata (sin. Libertina stipata). La conservazione invernale del fungo avviene per mezzo dei periteci, piccoli corpiccioli nerastri, a forma di fiasco, che si differenziano all’interno delle foglie infette cadute a terra l’anno precedente. All’inizio della primavera, i periteci all’interno della matrice fogliare maturano, al loro interno le ascospore binucleate. Il processo di maturazione viene influenzato prevalentemente dalla temperatura.
Le ascospore mature vengono rilasciate in primavera in corrispondenza di eventi piovosi e la loro fuoriuscita si può protrarre per circa un mese (in genere da metà aprile a metà a maggio) in funzione dell’andamento climatico. In presenza di acqua, le spore germinano emettendo un tubetto germinativo che perfora la cuticola delle foglia, causando l’infezione. Il processo infettivo del fungo tuttavia è abbastanza lento: dall’infezione alla comparsa dei sintomi possono intercorrere anche più di 20 giorni.
Nel corso dell’estate, sulla pagina inferiore delle foglie, in corrispondenza delle aree necrotiche, compaiono le fruttificazioni agamiche del fungo (picnidi) che, tuttavia, non sembrano in grado di dare origine a infezioni secondarie.
Ciò può essere dovuto in parte alla minore capacità dei conidi di provocare infezione sugli organi vegetativi dell’albicocco, in parte più probabilmente, ciò può essere legato ad una resistenza ontogenica di foglie e frutti all’infezione. Infatti, generalmente, si osserva che sono le foglie più giovani in accrescimento ad essere interessate dalla malattia, mentre quelle più vecchie lo sono in misura minore.
Pertanto la gravità della malattia, sia su ciliegio che su albicocco è in funzione sia del potenziale di inoculo del fungo all’interno del frutteto e dalle piogge primaverili che in genere si susseguono dalla fase di scamiciatura in avanti per un periodo di tre-quattro settimane.

Il clima conta più della varietà
Non sembrano emergere suscettibilità varietali sia su ciliegio che su albicocco, e pertanto sembra che le differenze di gravità e di incidenza della malattia che di anno in anno si registrano sulle due specie e sulle diverse cultivar siano più probabilmente imputabili alla loro precocità o tardività e alle condizioni climatiche che si verificano in corrispondenza della fase di post-scamiciatura e di accrescimento di foglie e frutti (periodo in cui giungono a maturazione le ascospore  contenute nei periteci presenti nelle foglie) per poi diminuire verso la seconda settimana di maggio. Il patogeno quindi, almeno nei nostri areali, è in grado di arrecare danni solo durante il ciclo di infezioni primarie ascosporiche.
La difesa integrata
In produzione Integrata, due trattamenti con fenbuconazolo (sono ammessi un massimo di 3 trattamenti con triazoli) correttamente posizionati nel periodo di maggior rischio infettivo e almeno 48 ore dopo la pioggia infettante, sono solitamente sufficienti a contenere questa avversità. Nel biologico, l’attenzione deve essere rivolta al posizionamento delle applicazioni con prodotti rameici che devono essere effettuate esclusivamente in maniera preventiva in base alla previsione di pioggia e ripetute seguendo l’andamento climatico per tutto il periodo di infezione primaria ascosporica.
Un valido contributo al contenimento della malattia è inoltre rappresentato dalle pratiche agronomiche a carattere estintivo volte a diminuire il potenziale di inoculo svernante. Ciò può essere fatto o asportando meccanicamente i residui di foglie infette cadute l’anno precedente o, in maniera più pratica, interrando i residui colturali.
Alcuni autori hanno inoltre dimostrato, analogamente a quanto studiato per le pomacee, di ridurre fino al 90% la gravità degli attacchi di seccume trattando con urea la lettiera fogliare. Nelle aree collinari e pedecollinari, con presenza di ciliegi selvatici la pratica della sanitazione potrebbe essere tuttavia vanificata dall’inoculo che potrebbe arrivare accidentalmente dalle foglie infette trasportate dall’azione del vento all’interno dei frutteti.  Pertanto, in situazioni normali, con un inoculo basso o assente, gli interventi eseguiti per corineo con prodotti rameici e ditiocarbammati sono sufficienti a controllare questa malattia.
Al contrario, In aziende, dove si sono verificate infezioni (presenza di foglie disseccate rimaste sulle piante del frutteto) o nelle zone collinari maggiormente esposte (presenza di aree boschive con ciliegi spontanei infetti) possono essere indispensabili interventi specifici. In questi casi si può intervenire con fungicidi triazolici (particolarmente attivo risulta il Fenbuconazolo) o Dodina (su ciliegio sono ammessi un massimo di 2 trattamenti in post-fioritura).
Una volta comparsi i sintomi dell’infezione ulteriori trattamenti non sono di nessuna utilità.
Il Servizio Fitosanitario della Regione Emilia-Romagna, in questi anni ha predisposto e messo a punto, nell’ambito di un “Servizio di previsione e avvertimento”, un modello di previsione della maturazione delle ascospore in funzione della temperatura. L’informazione sul periodo infettivo maggiormente a rischio viene inglobata all’interno dei Bollettini Provinciali settimanali di Produzione Integrata col fine di posizionare in maniera corretta i trattamenti fitosanitari contro questa avversità.n

(*) Gli autori sono del Servizio Fitosanitario – Regione Emilia-Romagna

Drupacee, il ritorno della maculatura rossa - Ultima modifica: 2015-03-06T11:40:21+01:00 da Sandra Osti

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