Nutrire il pianeta non è solo una sfida produttiva. È anzitutto una questione etica. Garantire agli abitanti della terra cibo sufficiente, sano e abbordabile è un dovere morale, così come dovrebbe esserlo remunerare in maniera dignitosa chi lo produce. Ma come si fa a passare dalle parole ai fatti? Come dovrebbe evolvere il nostro modello produttivo? Quale può essere il contributo dell’Expo? Questo il cuore dell’incontro “Il pane del mondo. Il valore dell’etica in agricoltura”, terzo di una serie di sei appuntamenti che compongono le “Storie di cibo e di vita”, ciclo ideato da San Patrignano in occasione di Expo. L’evento è stato ospitato presso la Società Agricola Folli a Robbiano di Mediglia (Mi) e ha visto la partecipazione di Letizia Moratti, co-fondatrice della Fondazione San Patrignano, Cinzia Scaffidi, vicepresidente SlowFood Italia, Lorenzo Luciani di San Patrignano, Michele Carruba medico, Carlo Fadda di Bioversity International e Mario Vigo, presidente di Innovagri e padrone di casa. «L’agricoltura – ha affermato Vigo – è per sua natura un’attività dalla valenza etica. Purtroppo però esistono problemi, che sono anche di carattere morale, che vanno affrontati con un deciso cambio di rotta». Il primo riguarda la formazione del prezzo e la remunerazione dell’agricoltore: «su 100 € spesi dal consumatore solo 18, quando va bene, finiscono al produttore. Questo squilibrio nella filiera va superato». Il secondo riguarda il mercato e la speculazione finanziaria sulle quotazioni delle commodities agricole: «i prezzi delle commodities vanno governati. L’agricoltore non può vivere in balia delle oscillazioni e delle incertezze, che si sommano a quelle climatiche». Il terzo, per Vigo, è un certo tipo di politica comunitaria che incentiva la non produzione in un mondo in cui non c’è abbastanza cibo. Cibo, ha ricordato Carruba, che non è solo nutrimento, ma è salute, storia, cultura, convivialità: «spesso dimentichiamo il valore dell’alimentazione perché viviamo in un’epoca di grande abbondanza. E così abbiamo disimparato a mangiare». In questo contesto si inserisce il tema di Expo. Ma quanto e cosa resterà dell’esposizione universale? Quali le speranze e i desideri di chi rappresenta la filiera agroalimentare? «Vorrei – ha proseguito Vigo – un’Expo più coraggiosa, che sappia promuovere un nuovo modello di agricoltura, capace di produrre di più, con meno». Per Carruba invece «è stata un po’ mancata l’occasione di creare una Kyoto dell’alimentazione e di informare in maniera seria i cittadini». Più positiva Scaffidi, secondo la quale «Expo rappresenta un’opportunità per parlare di temi spesso dimenticati. Bisogna ripartire dalla Carta di Milano, dal reddito dei contadini e dalla tutela dei beni comuni, che vanno protetti dalla logica del mercato». Biodiversità è la parola d’ordine di Fadda, che la intende soprattutto in ottica di produttività e sicurezza alimentare. Per Luciani sarebbe invece importante puntare sulla massima tracciabilità per valorizzare la qualità e le produzioni locali, oltre che la dignità del lavoro. Infine il punto di vista di chi ha visto la nascita di questo Expo, Letizia Moratti: «credo che il tema dell’esposizione abbia colto nel segno e rappresenti per l’Italia un’occasione per valorizzare le proprie competenze. Forse mi sarei aspettata un’Expo un po’ più concreta, ma c’è tempo per recuperare. Fondamentale inoltre lo sviluppo della piattaforma Feeding Knowledge, che a mio avviso rappresenterà il lascito di questa manifestazione».
Etica, non speculazione
Al ciclo di incontri ideato da San Patrignano