Coronavirus, dalla biodinamica una “ricetta” per far fronte alla crisi

Emanuele Tellini
«La nostra resilienza prende forza dall’indipendenza dell’agricoltura biodinamica dai fattori esterni» afferma Emanuele Tellini che gestisce la Fattoria Cuore Verde in provincia di Arezzo. Un modello basato sulle produzioni d’eccellenza e la giusta remunerazione del lavoro

L’agricoltura non si ferma col coronavirus né tanto meno quella biodinamica che continua a risponder alle richieste del mercato. A questo proposito abbiamo sentito per telefono Emanuele Tellini, che conduce l’azienda Cuore Verde a Castel Focognano in località Corniolino (Ar) al quale abbiamo chiesto qualche impressione sull’attuale situazione.
Tellini coltiva principalmente piante aromatiche, officinali e ortaggi. Nella sua azienda sono presenti anche olivi per olio Evo e piante da frutto.

Tellini, secondo lei il coronavirus riesce a fermare l'agricoltura biodinamica?

«Il Coronavirus, con tutta la sua tragedia, ha rafforzato e aumentato in me la consapevolezza della grande fortuna di essere un contadino biodinamico.
La creazione di organismi agricoli chiusi su sé stessi, vere e proprie individualità agricole dove il contadino lavora duro ogni giorno è la chiave della nostra resilienza.
In un periodo di restrizioni generali come questo si evidenzia come il nostro modello di organismo agricolo, spesso deriso dall’agricoltura convenzionale, dimostra tutta la sua efficacia e forza vitale anche per il territorio circostante. In una situazione estrema come questa, dove in pochi attimi si evince tutta la fragilità del sistema, ci rendiamo conto invece di come il modello sia forte e attuale, privo di cordoni ombelicali con l’esterno, autosufficiente e in grado di poter rappresentare una sicurezza e un punto di riferimento per gli alimenti nelle comunità circostanti».

Rispetto all'agricoltura convenzionale (ed eventualmente quella biologica) la biodinamica, dunque, avrebbe qualche chance in più. Ma qual è il principale punto di forza della biodinamica in questa situazione?

«Nell’agricoltura convenzionale l’agricoltore ormai non vive più a contatto diretto con la natura ma si comporta un semplice operatore che distribuisce prodotti chimici. Ma proviamo a pensare per un attimo se si dovesse fermare la commercializzazione dei fertilizzanti chimici? In un attimo si “sgonfierebbe” tutto quel modello che è opinione diffusa ritenere invincibile, mostrando la fragilità di un’impostazione basata esclusivamente sulle rese elevate, non sempre funzionale.
Fra l’altro con il blocco totale delle industrie, il primo dato che balza agli occhi è come l’aria sia improvvisamente ritornata respirabile, per cui è fondamentale rivedere concretamente l’industrializzazione anche dell’agricoltura rilanciando la vita e il futuro delle persone e del pianeta.
All’interno della nostra fattoria in questo periodo nulla è cambiato rispetto al nostro standard di produzione. Da noi le sementi e le piante sono autoprodotte e la fertilità del terreno viene mantenuta attraverso il compostaggio del letame dei nostri animali. In questo modo l’equilibrio naturale del sistema ecologico del nostro organismo agricolo non ha risentito di nessuna restrizione del Governo ma sta iniziando a far esplodere tutta la sua vitalità primaverile. Questa “normalità” rappresenta un punto di forza rispetto all’agricoltura convenzionale e anche biologica, dove si sono intensificati gli sforzi per reperire fertilizzanti e materiali esterni».

Ma qual è il problema più grande che avete dovuto affrontare? Come vede l'uscita da questa situazione?

«Il problema principale, all’inizio di questa emergenza, lo abbiamo avuto nel collocare i prodotti, con i magazzini pieni di prodotti e la logistica e i trasporti rallentati. Siamo però riusciti a sbloccare la situazione iniziando ad effettuare la consegna diretta ai consumatori. Questa è sicuramente una nuova opportunità commerciale per realtà come le nostre. Io credo che si debba ripartire dal creare circuiti più diretti e locali di distribuzione dei prodotti e impegnandoci di più nel creare reti di distribuzioni più locali e per l’Italia. Anche se non dobbiamo dimenticare che l’Italia è il primo Paese per export biodinamico.
L’agricoltura biodinamica può diventare sicuramente un nuovo modello su cui ripartire per uscire dall’attuale situazione ricordandoci che questa pandemia sta creando un gran numero di disoccupati. L’agricoltura, in generale, produce beni essenziali per cui si può sicuramente ripartire da qui, per assorbire una bella fetta della disoccupazione. Però è fondamentale cambiare il paradigma, cambiare la visione del modello agricolo, basandosi non più sulle quantità, che troppo spesso dietro nascondono un sottopagamento del lavoro e bassa qualità alimentare. Il nuovo modello agricolo si deve basare sulle produzioni di eccellenza, su modelli agricoli agroecologici, immettendo denaro e dando accesso ai finanziamenti a chi è realmente virtuoso in questa direzione. Quindi occorre ripartire incentivando un settore che può assorbire la disoccupazione e contemporaneamente migliorare la salute delle persone e del Pianeta».

Tellini ci ha anche detto che il modello biodinamico sarebbe stato praticamente perfetto se non ci fosse stato il bisogno di dover attingere, al di là del sistema chiuso, alla fonte energetica del gasolio per far funzionare le macchine agricole.

Una volta per le lavorazioni si utilizzavano gli animali ma oggi il loro utilizzo è diventato, per vari motivi, improponibile. Ma questo  è sicuramente un buon compromesso affinché l’agricoltura biodinamica possa guardare avanti...

Coronavirus, dalla biodinamica una “ricetta” per far fronte alla crisi - Ultima modifica: 2020-04-04T20:18:04+02:00 da Alessandro Maresca

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