Si alza il tono del confronto istituzionale a Bruxelles. In una bozza di lettera visionata da Politico, i quattro principali gruppi del Parlamento europeo – Popolari (Ppe), Socialisti e Democratici (S&D), Renew Europe e Verdi – hanno chiesto alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen di modificare in modo sostanziale la proposta di bilancio pluriennale per il periodo 2028-2034. L’obiettivo è chiaro: correggere l’impianto dei cosiddetti piani nazionali, lo schema con cui la Commissione vorrebbe accorpare in un fondo unico le risorse destinate a politiche agricole e regionali – circa la metà dell’intero bilancio Ue, pari a 1,8 trilioni di euro – affidandone la gestione ai governi dei 27 Stati membri.
Un’impostazione che, secondo i deputati, rischia di ridurre il controllo democratico e di indebolire il ruolo del Parlamento europeo nell’orientamento della spesa pubblica europea.
“Poiché l’attuale proposta sui piani nazionali non tiene conto delle nostre richieste fondamentali, non può costituire una base per i negoziati”, recita la bozza. “Auspichiamo che le nostre richieste chiave trovino riscontro in una proposta modificata della Commissione, che consenta di proseguire il confronto istituzionale”.
Agricoltura e sviluppo regionale tornano al centro
Tra i punti più contestati figura l’assenza di fondi specificamente dedicati allo sviluppo rurale e alle politiche di coesione, due pilastri storici dell’integrazione europea.
La proposta di accorparli in un unico fondo nazionale viene percepita come un passo indietro rispetto alla tradizionale visione comune di politiche europee solidali e coordinate, fondate su obiettivi condivisi e su un controllo comunitario della spesa.
Altro tema sensibile è il modello del “cash-for-reforms” – denaro in cambio di riforme – mutuato dal Recovery Fund, che secondo molti deputati crea “un deficit democratico intrinseco”, spostando il baricentro decisionale dall’istituzione eletta, il Parlamento, verso la Commissione e i governi nazionali.
Una critica che, seppur tecnica nella forma, tocca la sostanza della governance europea: chi decide, oggi, sulle grandi priorità economiche e sociali dell’Unione?
Fondo unico: il test di novembre
Il Parlamento ha già inserito un dibattito sul quadro finanziario pluriennale nella sessione plenaria del 12 novembre. Quella data sarà decisiva: entro allora Commissione e Parlamento dovranno trovare un’intesa, oppure l’Eurocamera potrebbe davvero votare per respingere la parte del bilancio relativa ai piani nazionali.
Sarebbe un gesto politico forte, che segnerebbe la volontà del Parlamento di non limitarsi più a ratificare decisioni prese altrove.
Un nuovo equilibrio istituzionale
Dopo anni di crisi ed emergenze che hanno visto la Commissione al centro della scena – dal Covid alla guerra in Ucraina – il Parlamento sembra voler ristabilire un equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo europeo.
Non si tratta di una battaglia formale, ma di una questione di rappresentanza: riaffermare che la gestione del bilancio Ue, e in particolare delle risorse per agricoltura e coesione, deve restare ancorata a un processo democratico e trasparente.
Il valore del confronto democratico
Il messaggio che arriva da Strasburgo è inequivocabile: l’Unione europea non può essere costruita solo attraverso l’efficienza amministrativa, ma deve restare fondata sul principio di equilibrio tra istituzioni e sulla responsabilità politica di chi rappresenta i cittadini.
Il bilancio europeo non è un semplice esercizio contabile, ma la traduzione concreta delle priorità comuni: agricoltura, territori, coesione sociale, innovazione.
Il confronto aperto tra Parlamento e Commissione, se gestito con equilibrio, può diventare un passaggio di crescita per l’Europa. Non una crisi, ma un segnale di vitalità democratica: la prova che il Parlamento europeo intende contare davvero nelle scelte che plasmeranno il futuro dell’Unione.










