“Possiamo vivere senza carne, ma non possiamo vivere senza bambù”, diceva Su Dongpo, pittore e poeta cinese della dinastia Song. Nel sud-est asiatico, in Giappone e in molte altre località del globo, il bambù possiede una tradizione millenaria ed è celebrato e considerato come pianta sacra, oltre che vitale. Questa specie esotica era presente sul suolo patrio unicamente a scopo decorativo o inserita nel contesto di alcuni orti botanici e parchi privati. Questo succedeva fino ad alcuni anni fa, finché il bambù è diventato una vera e propria coltura agricola da reddito.
Promessa di facili guadagni
Il business della coltivazione da reddito del bambù gigante (Phyllostachys edulis) tipo Moso e altre varietà, è partita solo di recente, ossia dal 2014. Adesso sono molte le aziende che propongono questa specie alternativa e di grande interesse agricolo, alimentare e industriale di filiera. Essendo una specie rustica e che necessita di poche cure, la spinta emotiva è stata quella che con il bambù si guadagna molto e si lavora poco. Ecco perché moltissime persone non addette ai lavori si sono fatte trascinare in questa avventura imprenditoriale, mentre i veri e propri coltivatori sono rimasti alla finestra a guardare. Del resto la diffidenza di chi lavora nel primario è proverbiale.
Il sogno di diventare ricchi impiegando poche risorse e scarsa preparazione tecnica ha calamitato tanti privati cittadini a investire in questo settore di certo non tradizionale e senza un vero mercato e quindi a medio e alto rischio. L'obiettivo, peraltro lodevole, è stato convincere la gente a catapultarsi in questo progetto come pionieri di una nuova frontiera agricola ricca di sorprese e rosee prospettive.
Una situazione simile avvenne negli anni Ottanta con l'actinidia, del quale l'Italia oggi è fra i primi produttori nel mondo. Ma non è stato così per il bambù, purtroppo. Dopo dieci anni di esperienze, si può affermare che la coltivazione in Italia non abbia avuto tutta quella fortuna pronosticata alla partenza.
Il fatto che gli agricoltori veri e propri non si siano fatti ammaliare da questa nuova proposta colturale, è il segno che le perplessità sull'esito finale c'erano fin dall'inizio. Qui da noi, il bambù fa paura. È sempre stato considerato un vegetale invadente, ingombrante e addirittura infestante, molto difficile da estirpare. Una pianta che viene da troppo lontano, che non è certo indigena e quindi aliena del nostro ambiente tipico. Però, per chi mastica un po' di geobotanica, e a solo titolo d'esempio, non dimentichiamoci che il cosiddetto paesaggio toscano, fatto di olivi, viti e cipressi è composto da specie provenienti da terre remote: l'olivo dal Medio Oriente, la vite dall'Asia del sud, il cipresso dall'Iran.
Nonostante l'incertezza e l'alea di rischio, molti privati, gente comune con un terreno di famiglia o in affitto, si sono gettati a capofitto considerando solo il profitto che poteva oscillare da 30.000 a 80.000 €/ha/anno all'ottavo anno, a seconda della densità d'impianto scelta.
Il prezzo delle piante madri da vivaio oscilla da 30 fino a 50 € a esemplare, che è un costo decisamente molto elevato. Gli impianti hanno un prezzo variabile in funzione del numero di piante per ettaro: da 30.000 a 50.000 €. Nonostante la credibilità dei business plan presentati dalle aziende di settore, l'esposizione finanziaria è decisamente alta se paragonata ad altre colture tradizionali e convenzionali. Si tratta di un investimento a lungo termine con costi di manutenzione che vanno a incidere sulla spesa globale.
Le cause di questo insuccesso possono essere:
- Scelta della moltiplicazione in vivaio con piante da seme e relative performance colturali instabili e non controllabili con molte fallanze per mancato attecchimento. Il sistema di propagazione ideale è quello da rizoma o da talea;
- Mancanza di un’analisi del terreno e delle condizioni microclimatiche per avere un'indagine di fattibilità attendibile. Gli impianti sono stati fatti dappertutto e in ogni situazione;
- Assenza di un mercato consolidato che potesse recepire i prodotti (germogli e culmi);
- Alti costi d'investimento con piante madri molto costose;
- Scarsa preparazione tecnica e agronomica sia da parte dei proponenti che degli investitori che si sono improvvisati in un'avventura ad alto rischio operativo e finanziario, senza precedenti esperienze;
- Non si sono considerati gli alti costi di manutenzione, di taglio e di raccolta manuale a fronte della promessa di guadagni eccezionali già a partire dal terzo anno d'impianto.
Molti bambuseti sono stati abbandonati, o sono in stand-by o addirittura estirpati. Questo la dice lunga di come questa bolla speculativa si sia esaurita in poco tempo con tanta gente rovinata e delusa da promesse dorate e non mantenute.
Forse l'errore più grande è stato quello di aver voluto piantare bambù a tutti i costi e dappertutto con la speranza di un facile adattamento e con il miraggio di un mercato potenziale ma purtroppo latitante. Oltretutto, non è stata fatta una sperimentazione con delle prove in campo per testare la risposta agronomica di una specie mai utilizzata in Italia a livello produttivo. Sembra che il guadagno vero e proprio sia stato la vendita delle piante madri da vivaio con prezzi molto alti. Inoltre, non sempre c'è stata la garanzia di ritiro dei prodotti anche in impianti maturi per la raccolta e le consegne.
Ma il potenziale c'è
Ci sono comunque molti impianti produttivi in Italia, con imprenditori che riescono attualmente a vendere germogli e culmi sul mercato italiano che richiede questo tipo di materiale. Alcune aziende artigianali trasformano i germogli italiani con vari brand di linee produttive tutte made in Italy, molto apprezzate sul mercato alimentare specie quello vegetariano e vegano.
Il progetto bambù è comunque ancora molto allettante e con prospettive interessanti per l'economia circolare e la green economy.
Allora, ha ancora un senso investire in coltivazioni di bambù gigante in Italia?
Nelle condizioni attuali è necessario usare molta cautela se si vuole puntare sul bambù come pianta agricola da reddito, perché il mercato italiano non è ancora in grado di ricevere e trasformare i prodotti: germogli e legname.
Al momento il mercato del bambù made in Italy è solo di nicchia con canne utilizzate come tutori, tisane, germogli per molte specialità alimentari gluten free molto richiesto dal mondo vegano, la cosmesi, la farmaceutica, gli integratori, la farina, i liquori e i distillati. Non esiste ancora la trasformazione a livello artigianale e industriale del legname. Quasi tutti i prodotti vengono importati dall'estero.
Sembra invece molto conveniente coltivare per il mercato volontario dei crediti di carbonio, anche se con le relative problematiche di rendicontazione e certificazione. Il bambù è una delle piante al mondo che assorbe più anidride carbonica: 229,4 kg all’anno per una singola pianta madre. Un bambù gigante Moso in tutta la sua vita può assorbire fino a 21.105 kg di CO2 grazie a rami, foglie e culmi.
Inoltre, la pianta del bambù può essere utilizzata con successo nella decontaminazione dei suoli in quanto assorbe metalli pesanti trasformandoli in biomassa e, grazie alle sue proprietà fito-depurative, consente di bonificare e ri-mineralizzare i terreni impoveriti.
Per non parlare dell'impiego in barriere frangivento, fonoassorbenti e in quei suoli soggetti a erosione e dissesto idrogeologico.
Nonostante tutto, si stima che il mercato mondiale del bambù abbia una dimensione di 65 miliardi di dollari nel 2025 e si prevede raggiungerà i 91 miliardi entro il 2030 (Fonte: Mordor Intelligence).
Intanto c'è molta attenzione e interesse per obiettivi futuri ancora più circolari perché mirano a creare alternative alla plastica e impieghi nel settore dei derivati del legno, dell’interior design, del mondo del tessile, della moda e dell'igiene personale.
Per adesso l'Italia sta alla finestra e si lecca le ferite dopo esperienze imprenditoriali non molto fortunate, dovute principalmente a inesperienza ed eccesso di ottimismo.
Comunque, non tutto il male viene per nuocere. Le prospettive per un rilancio in grande stile della coltivazione di bambù gigante da reddito ci sono, a patto che venga creato un mercato di settore tutto italiano con bambuseti impiantati in terreni idonei e favorevoli alla crescita. Intanto in Piemonte si evidenzia un aumento delle superfici destinate a bambù, con imprenditori agricoli che sfruttano le sue proprietà uniche per produrre crediti di carbonio e diversificare le proprie attività. (fonte: Piemonte Parchi)
Mentre In Lombardia, il bambù ha registrato addirittura un raddoppio delle superfici coltivate in un solo anno, con importanti concentrazioni nelle province di Brescia, Mantova e Bergamo (fonte: Ansa).










