I contoterzista, in Italia, non è un semplice prestatore d’opera ma si trasforma, molto spesso, in un consulente a tutto tondo dell’azienda agricola, soprattutto se quest’ultima è di piccole dimensioni e magari gestita da un proprietario un po’ in là con gli anni. In quest’ultimo caso, anzi, non è raro che l’agricoltore affidi al contoterzista la gestione “chiavi in mano” dell’attività. Al proprietario terriero, a fine anno, arrivano i proventi del raccolto, tolte ovviamente le spese di coltivazione.
Alla luce di questo stato di cose, è abbastanza evidente che i contoterzisti devono essere informati sulla normativa Pac, almeno quanto i loro clienti. Non parliamo poi del caso, frequente per la verità, in cui questi ultimi sono anche proprietari o affittuari di terreni coltivati.
È il caso, per esempio, di Agostino Bonizzi di Dovera (Lo), un contoterzista che oltre a lavorare il terreno dei clienti ha una propria azienda agricola. «Sulla quale ho seminato soia: sempre meglio del set-aside». Dopo aver valutato le opzioni, ci spiega, la decisione è stata praticamente obbligata: «La soia dà comunque un reddito e mi sono limitato al 7% della superficie, quella richiesta dalla Pac. Lo stesso hanno fatto molti nostri clienti: qualcuno ha preferito la medica, qualcuno ha fatto come noi. Pochi hanno scelto l’incolto».
Di fronte a una politica agricola tutta da capire, i produttori più anziani si rivolgono spesso ai contoterzisti. «Sempre ammesso che siamo in grado di aiutarli: con tutti questi cambiamenti, la Pac non è chiara nemmeno alle associazioni di categoria, figuriamoci a noi».
Nuova mietitrebbia
Anche Claudio Ricotti, contoterzista alessandrino, conferma il parere del collega lombardo: «In tanti ci hanno chiesto cosa fare, questa primavera. Anche per questo abbiamo partecipato a diversi incontri di aggiornamento, con tecnici che hanno provato a spiegarci, per quel che si capiva, la Pac. Lo abbiamo fatto sia per la nostra azienda agricola sia per essere sicuri di non dire cose sbagliate ai clienti. Oggi una parte del nostro lavoro è anche fare consulenza e quindi cerchiamo di farla al meglio» spiega.
Nello specifico, l’Alessandrino ha subito, nel 2014, un piccolo shock: la cancellazione, per la seconda volta in pochi anni, della bieticoltura: dopo la chiusura del vicino zuccherificio di Casei Gerola, infatti, il settore si era parzialmente ripreso portando le bietole fino a San Quirico (Pr), ma le ultime disposizioni sulla distanza massima ammissibile per le coltivazioni hanno nuovamente decretato l’abbandono della coltura. «Per la nostra azienda abbiamo sostituito la bietola con mais e soprattutto soia, che richiede meno spese di coltivazione e ha un prezzo più stabile. Questo, come scelta colturale specifica. Per il greening, invece, per fortuna da noi si coltiva molta medica, quindi la maggior parte delle aziende agricole deve modificare soltanto parzialmente, o per nulla, le proprie abitudini». In ogni caso, continua Ricotti, il nuovo cambio di coltura ha spinto l’azienda ad attrezzarsi con una seconda mietitrebbia, per far fronte alla prevedibile impennata delle superfici a cereali e oleaginose.