Presidente di Confagricoltura Cosenza e amministratrice dell’azienda Torre di Mezzo, azienda calabrese che si occupa di frutticoltura e produzione di latte, Fulvia Caligiuri, ha accettato di rispondere a qualche domanda sul mondo dell’imprenditoria agricola calabrese.
Luci e ombre. Possiamo dire così?
Sì. I giovani per esempio sono una nota positiva. Come Confagricoltura abbiamo molti giovani associati: l’Anga (Associazione nazionale giovani imprenditori agricoli) è composta solo da giovani sotto i 40 anni, è un bel gruppo. C’è tutto un mondo di giovani che si stanno riaffacciando all’agricoltura non solo con il ricambio generazionale all’interno delle aziende familiari; ci sono ragazzi che si affacciano da neofiti all’agricoltura, che scelgono l’agricoltura come futuro, che vogliono portare innovazione, idee nuove, si aprono scenari interessanti con i quali è bello avere a che fare. Per il resto, possiamo dire, per lo più ombre.
Di cosa ci sarebbe bisogno per dissiparle?
Tre cose: “sburocratizzazione”, accesso al credito e attenzione da parte delle istituzioni, capacità di “fare rete”.
Partiamo dalla burocrazia che ostacola la crescita delle aziende.
Uno studio di Confagricoltura ha calcolato che noi imprenditori perdiamo 4 mesi all’anno per compilare scartoffie inutili. Siamo stanchi di redigere migliaia di registri che sono doppioni gli uni degli altri, potremmo impiegare molto meglio questo tempo. E siamo stanchi della corruzione che affligge questo ambiente, abbiamo denunciato più volte le irregolarità, ma nulla è cambiato.
L’accesso al credito, quali sono le criticità?
Pensi solo a questo: se si potesse prendere un’azienda calabrese e spostarla così com’è al nord solo per questo spostamento avrebbe dieci punti in meno sul costo del denaro. Perché? Non è accettabile. Dobbiamo poterci misurare alla pari con le altre aziende sia che ci troviamo a Milano, in Svizzera o in Inghilterra. Noi non possiamo e non vogliamo delocalizzare. Siamo aziende agricole, legate alla terra in maniera strutturale, non possiamo abbassare una saracinesca e andare via dopo aver preso incentivi, finanziamenti. Questo dovrebbe essere considerato dalle istituzioni, noi forniamo garanzie che altre aziende non possono fornire. Ma questo non ha nessun peso né presso le istituzioni né presso gli istituti di credito.
E per quanto riguarda le istituzioni?
L’ultima programmazione in materia di imprenditoria agricola è stata fatta “a porte chiuse”. Nessuno è stato interpellato, niente concertazioni, associazioni di categoria bandite, imprenditori idem. Questa amministrazione, per l’ultimo Psr, almeno, ha ascoltato le nostre richieste. Alcune sono state messe nero su bianco e portate a Bruxelles, così almeno ci è stato detto, non possiamo sapere cosa effettivamente sia stato portato al vaglio dell’Europa, ma siamo fiduciosi.
Cosa vuol dire “fare rete” e perché le aziende agricole calabresi dovrebbero farlo?
In Confagricoltura puntiamo molto sul concetto di rete, cercando di far capire alle aziende che è il futuro. Le reti oggi consentono di raggiungere obiettivi che una singola azienda non potrebbe raggiungere, sia a livello di mole di produzione (abbastanza rilevante da consentire di raggiungere mercati grandi e lontani) ma anche per la riduzione dei costi. Condividere le attrezzature e altro può ridurre sensibilmente i costi e consentire di puntare a mercati che altrimenti non sono conquistabili. Ma “fare rete” significa anche mettere da parte campanilismi e guerre di territorio pseudo politiche. Sono atteggiamenti insensati per un territorio piccolo e fragile come quello calabrese. Ultimamente, un famoso esperto del settore vitivinicolo, nel corso di un convegno ha detto, se non si mettono d’accordo tutti i produttori di vino e non nasce una Doc calabrese non si va da nessuna parte. Siamo troppo piccoli per poter crescere, siamo una goccia nel mare. Stare insieme è l’unica arma possibile, l’individualismo deve essere messo da parte.
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