Proprio mentre l’olivicoltura si sta risollevando (nel 2015 si prevede una buona produzione con 400mila t, circa il 30% rispetto alla campagna precedente), ecco che il buon nome del made in Italy subisce un altro brutto colpo. I rappresentati legali di sette aziende (Carapelli, Bertolli, Santa Sabina, Coricelli, Sasso, Primadonna e Antica Badia) sono stati iscritti nel registro degli indagati per frode in commercio dal procuratore Raffaele Guariniello. L’accusa è di aver venduto come “extravergine” un olio “vergine” (classificazione dichiarata in etichetta), quindi di categoria inferiore e meno costoso. L’inchiesta della procura di Torino, supportata dall’analisi di campioni prelevati dai Nas in alcuni supermercati, è poi stata trasferita con un provvedimento del procuratore capo Armando Spataro, alle procure di Firenze, Genova, Spoleto e Velletri (luoghi di produzione dei prodotti) sulla base di una nuova ipotesi: il problema potrebbe non essere una semplice questione di etichettatura, ma dipenderebbe dalla produzione di olio con materia prima proveniente dall’estero, Il trasferimento è stato motivato per “competenza territoriale”, con l’aggiunta al reato di frode in commercio quello previsto dall’articolo 517 del codice penale che punisce la vendita di prodotti industriali con segni mendaci e che prevede una reclusione fino a due anni per “chiunque pone in vendita o altrimenti mette in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto”. Si aggiunge poi l’avvio di sette istruttorie per presunte pratiche commerciali scorrette nei confronti delle aziende sotto inchiesta da parte dell’Antitrust. La decisione dell’autorità garante della concorrenza e del mercato deriva dalle segnalazioni pervenute da un’associazione di consumatori.
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