Olivo in cima alla lista delle preferenze dei visitatori della quinta edizione di Agrilevante. A Bari, dal 12 al 15 ottobre, l’interesse per gli impianti superintensivi ha dato un forte contributo al boom della manifestazione barese. Un’innovazione che, a conti fatti, può favorire la redditività e la professionalità nella gestione di questa coltura, con la possibile implementazione di sistemi di precision farming. Un tema al centro del primo, frequentatissimo, workshop organizzato da Edagricole presso lo spazio del tunnel dell’innovazione di Nova Agricoltura.
Impiantare un oliveto superintensivo con varietà italiane è però difficile, perché prive dell’indispensabile carattere della bassa vigoria. «Numerose sono le ricerche per individuare varietà dalle dimensioni contenute, ma questo carattere, se manca, non lo si può certo inventare!». Per Salvatore Camposeo (Università di Bari) riconoscere la difficoltà di realizzare una via italiana all’olivicoltura superintensiva, tecnica messa a punto in Spagna e basata finora quasi esclusivamente su varietà straniere, è la premessa per un ragionamento serio sulle sue prospettive in Italia.
Espansione in tre poli
Questo modello sta comunque prendendo piede nei tre poli dell’area nord barese, Barletta Trani Andria e soprattutto nel foggiano (in attesa che si aprano le prospettive post-Xylella in Salento). Lo hanno testimoniato i numerosi olivicoltori e anche i contoterzisti intervenuti all’evento, perché, come hanno evidenziato Antonio Russi, contoterzista di San Severo (Fg), e Roberto Guidotti del Cai, il nuovo sistema apre le porte dell’olivicoltura alle imprese agromeccaniche professionali.
«Di fatto le varietà oggi realmente proponibili sono le stesse di 15 anni fa: le spagnole Arbequina, Arbosana, Oliana e Sikitita, caratterizzate da dimensioni contenute e, se raccolte precocemente, capaci di produrre oli dai profili chimici superiori a quelli di numerose varietà autoctone». Pare che quest’anno, nel Foggiano, le loro olive vengano quotate un po’ meno di quelle di varietà locali, ma ciò non toglie nulla ai vantaggi economici del superintensivo, il cui punto di forza risiede nel forte contenimento dei costi di gestione annuali, in primo luogo di raccolta e potatura. La greca Koroneiki è invece, fra le varietà storiche, la peggiore, perché più vigorosa.
Nociara e FS17, le dolci promesse
«Quanto alle italiane- sostiene Camposeo -, gli esiti si sono rivelati quasi sempre incerti», Le varietà Carolea, Cima di Bitonto, Frantoio, Leccino e Maurino presentano infatti medio-alta vigoria, con danni alla vegetazione durante la raccolta, ritardo nell’entrata in produzione e bassi livelli produttivi. La Coratina, pur mantenendo discreta produttività, evidenzia un vigore vegetativo e problemi di gestione della chioma tali da richiedere interventi manuali di potatura, e quindi aumento dei costi. La Peranzana non manifesta problemi di gestione della chioma, si presenta bene in termini di architettura dell’albero e di accrescimento vegetativo, tuttavia mostra livelli produttivi inferiori a quelli standard. L’unica promettente sembra la Nociara, per le buone prestazioni vegetative e produttive, ma occorre ancora valutarla bene».
Invece tra le varietà frutto del miglioramento genetico italiano, la Fs-17, brevettata dall’ex Istituto di ricerche sull’olivicoltura del Cnr di Perugia, è adatta. «È una varietà molto precoce, a metà ottobre è già molita, ha però il difetto di una scarsa consistenza di polpa: quindi, benché adatta, non è ideale per il superintensivo, ma, poiché manifesta il maggior grado di tolleranza alla Xylella, risulta eccellente per i territori pugliesi dove si è insediato il terribile batterio. Sono inoltre in arrivo nuove varietà brevettate, risultato di incroci di genotipi italiani e spagnoli, attualmente in fase sperimentale, che fanno ben sperare perché si possono adeguare al modello superintensivo senza accusare perdite di plv».
Il potenziale dei vitigni minori
Quella varietale è anche una delle chiavi che consentono di fare fronte all’effetto del climate change sulla vite da vino. In Puglia gli effetti delle perduranti ondate di calore dell’estate 2017 hanno causato una forte diminuzione delle rese e l’anticipo della vendemmia. «La qualità - precisa Riccardo Lonigro di Assoenologi - è però migliore rispetto all’anno scorso, gli unici problemi sono quelli relativi all’acidità». «Il tema della carenza d’acqua - commenta Gianni Cantele di Coldiretti - è particolarmente sentito in Puglia e occorrono azioni incisive: quello che c’è nella Misura 16.1 del Psr non è sufficiente». «I vitigni - informa Pierfederico Lanotte del Cnr - che soffrono di più sono quelli a ciclo precoce. Le ricerche sul germoplasma pugliese hanno permesso di individuare due varietà, Marchione e Maresco, con forte adattabilità ai mutamenti del clima». «L’adozione - illustra Alberto Palliotti dell’Università di Perugia - di agrotecniche flessibili come l’aspersione con caolino consente di ridurre di 4-5° la temperatura di foglie e acini evitando l’effetto scottature». «Occorre ripensare in toto - è l’analisi di Luigi Tarricone del Crea di Turi - l’impostazione degli impianti, con portinnesti meno vigorosi e una gestione più sostenibile dell’interfilare».
La svolta digitale
Una migliore gestione della risorsa idrica che è anche uno degli obiettivi dell’agricoltura 4.0 applicata al grano duro, il tema che ha concluso la tre giorni di workshop presso il nostro stand. «Sensori, microprocessori, wi-fi e internet - testimonia Pasquale De Vita del Crea di Foggia - consentono una gestione sitospecifica assicurando risparmi di mezzi tecnici e maggiore efficienza» «Ci sono diversi livelli di applicazione - spiega Matteo Tamburrelli, contoterzista del Cai - una possibilità che sta prendendo piede nella Capitanata è quella del livellamento dei terreni con Gnss, che consente di evitare difformità di maturazione risparmiando notevolmente il volume di terra spostata».