Cura maniacale degli aspetti agronomici senza cercare scorciatoie che possono pagare nell’immediato ma danneggiare nel lungo periodo. E poi specializzazione e ricerca continua di nuove soluzioni, oltre a essere inseriti in un contesto che favorisca l’ottimizzazione delle attività. Questa la formula magica per praticare un’agricoltura biologica moderna e redditizia secondo Enrico Cancellieri, giovane agronomo marchigiano di 29 anni, titolare assieme al padre Marino, al fratello Andrea e allo zio Luigi di un’azienda che si estende per 470 ettari nella zona del Montefeltro, tra Pesaro e Urbino, a 40 Km dalla costa adriatica. Gli appezzamenti sono distribuiti da un’altitudine di 200 metri sul livello del mare fino a 450: si va dalla pianura irrigua della vallata del fiume Foglia, fino a particelle collinari anche con pendenze importanti che rendono difficoltose le lavorazioni. Sono in maggioranza terreni argillosi, esclusi quelli di fondovalle che hanno matrice sabbiosa. Si coltivano principalmente cereali, leguminose e in parte foraggio.
L’innovazione come stella polare
L’azienda è nata nella prima metà degli anni Novanta e dal 1996 è biologica. Fu una delle prime a convertirsi nella provincia di Pesaro Urbino e nelle Marche. L’ente certificatore è Suolo e Salute. Si trattò di una scelta lungimirante, dettata sia da motivi etico-ambientali che prettamente economici: «Allora io ero piccolo, a decidere per la conversione furono mio padre e mio zio – racconta Enrico – la motivazione principale che li spinse fu il fatto che io e mio cugino non potessimo avvicinarci ai campi dopo i trattamenti, ma anche una considerazione più pratica: si resero conto che la conformazione delle nostre terre non permette di competere con l’agricoltura convenzionale della pianura padana, mentre si adatta molto bene alle produzioni di qualità, perché non ci sono ristagni idrici e non c’è umidità». E non si può certo dire che la scelta del padre e dello zio di Enrico sia stata incentivata da contributi comunitari: «Allora aderirono a un programma di basso impatto ambientale – ricorda – e i contributi per la conversione al biologico erano circa un decimo di quelli attuali». A confermare la predisposizione all’innovazione della famiglia Cancellieri anche l’acquisto, nel lontano 1994, di una seminatrice da sodo e la ricerca costante delle migliori tecniche e tecnologie per ridurre i costi. E anche dopo oltre vent’anni di agricoltura biologica la sperimentazione e l’innovazione non si fermano: i Cancellieri impiegano stabilmente il 5-10% della superficie agricola per sperimentare nuove varietà o nuove tecniche agronomiche, nuovi mix da sovescio, nuovi tipi di concimazione organica e nuovi metodi di semina.
Tecnica e applicazione
Sbaglia chi pensa che fare biologico in queste condizioni sia una passeggiata. «Bisogna essere capaci dal punto di vista agronomico – precisa Cancellieri – bisogna praticare le corrette rotazioni e mettere sempre in competizione le colture con le malerbe: chi cerca scorciatoie può godere per un anno dei benefici, ma poi pagherà dazio per almeno tre. Se lavoro bene in campo con il biologico riesco a non far oscillare troppo le rese – continua il giovane imprenditore – dopo 22 anni di conduzione in biologico nei nostri terreni le rese sono circa il 20% più basse rispetto al convenzionale, mentre su un terreno appena convertito, abituato a essere diserbato e trattato, le rese calano anche del 50%. All’inizio è dura, perché la terra si ribella per tutte le “violenze” che ha subito, ma dopo qualche anno si raggiunge un equilibrio più che soddisfacente».
Lavorazioni e sovesci
I Cancellieri sono grandi sostenitori delle minime lavorazioni: «Per fare biologico bisogna mantenere la sostanza organica del terreno a livelli elevati – afferma Enrico – l’agricoltura convenzionale nutre le piante, quella biologica deve nutrire il terreno». Difatti, dopo quattro lustri di conduzione biologica nei terreni dell’azienda marchigiana la sostanza organica è aumenta di un terzo. «Pratichiamo la concimazione organica con letame pellettato o pollina pellettata – spiega il giovane imprenditore – poi facciamo arature a 25 centimetri di profondità ogni quattro anni. Mantenendo il terreno molto carico, molto pronto, non abbiamo problemi con le colture. Inoltre, teniamo il suolo sempre coperto per contrastare le malerbe. Ad esempio, tra un cereale che raccogliamo a luglio e una leguminosa che seminiamo ad aprile (come pisello o fagioli), mettiamo una coltura intercalare come un prato o una leguminosa che poi generalmente interriamo. Se per qualche motivo non riusciamo a interrarla la raccogliamo e teniamo i semi per il prossimo sovescio».
Sementi, semine e rotazioni
A proposito di semi, per le colture principali i Cancellieri di solito tendono a non praticare la propagazione per evitare di diffondere malattie: «Se ho un focolaio di qualche patologia usando i semi dell’anno precedente Ce lo portiamo dietro, quindi preferiamo acquistarle da ditte di fiducia con le quali lavoriamo da vent’anni. Inoltre, conciamo le sementi con metodo biologico con micorrize. La concia è importante per sementi di varietà antiche o nel grano tenero, perché sono più soggette alla carie. Facciamo anche molte false semine. Importante è anche la dose di semina – specifica Cancellieri – è il più efficace diserbo per l’agricoltura biologica. Aumentiamo la dose dal 10 al 25% a seconda della velocità di emergenza della coltura. Se poi la malerba emerge lo stesso si passa al controllo meccanico con gli erpici strigliatori». Altro aspetto importante per avere successo nel biologico è il compattamento del terreno: l’azienda Cancellieri si serve di mezzi cingolati per ridurlo.
Non bisogna lasciare nulla al caso con il biologico. Ecco allora che con una lunga esperienza i Cancellieri si sono accorti che allungando un po’ le rotazioni rispetto a quelle dei disciplinari si riduce il rischio di diffusione di malattie fungine che poi sarebbero difficili da eliminare. «È un aspetto molto importante – rimarca Enrico – perché peccare di avarizia alla lunga produce un effetto boomerang».
Si stava meglio quando si stava peggio...
Secondo Cancellieri in passato era più facile fare biologico, perché con la sempre maggiore richiesta di alimenti biologici e la maggiore competizione che si sta ingaggiando tra le aziende, si sta tentando di selezionare colture che rendano di più, ma questo va a scapito della rusticità: «Ad esempio, negli ultimi anni stiamo coltivando grani e farri con rese superiori alle varietà del passato, ma che hanno un minor accestimento, una levata più contenuta, con un colmo più basso. Secondo me è la cosa più sbagliata da fare – lamenta – perché è la rusticità che difende la coltura in un campo biologico. Il biologico non può scendere ai compromessi del convenzionale, altrimenti muore».
Contributi e mercato
L’azienda Cancellieri conferisce i raccolti a ditte che lavorano direttamente le materie prime per realizzare prodotti destinati in gran parte al mercato estero. «Le quotazioni sono sicuramente più alte rispetto a quelle delle borse merci – confessa Enrico – i prodotti agricoli dovrebbero essere quotati in base alla qualità e al rapporto di fiducia che si crea tra produttore e acquirente. Il biologico dovrebbe rimanere un mercato parallelo rispetto al convenzionale: non può sottostare alle fluttuazioni delle quotazioni».
Oggi l’azienda riceve i contributi per il biologico garantiti dal Psr: «Credo che all’inizio siano fondamentali – afferma Enrico – ma devono essere investiti per specializzarsi, per imparare a fare il biologico e non intascati. Se un imprenditore agricolo non capisce questo meglio resti al convenzionale».
L’importanza della “rete”
Altro aspetto molto importante per far tornare i conti di un’azienda biologica è la capacità di fare rete con il contesto che la circonda. «Prima di tutto noi abbiamo la fortuna di essere dentro un distretto – dice Cancellieri – tutti i nostri appezzamenti confinano con terreni di altre aziende biologiche. Inoltre, produciamo prodotti di punta e prodotti secondari come le leguminose che servono per le rotazioni, per ingrassare il terreno. Sono raccolti con meno appeal ma hanno comunque uno sbocco di mercato, cosa che sarebbe più difficile se fossimo isolati».