Aumentano le superfici, cresce il mercato, solo l’attenzione istituzionale appare in stallo. Il bio italiano macina record ma non riesce ancora a “portare a casa” un progetto di legge fortemente voluto. Un testo che riconosce l’interesse nazionale dell’agricoltura biologica fissando misure per valorizzarne le funzioni ambientali ed economico-sociali ma che, dopo la veloce approvazione alla Camera, è fermo al Senato da più di sette mesi.
Intervista pubblicata sul numero 24 di Terra e Vita
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Politici al Sana a mani vuote?
Il Sana, da 31 anni la più importante kermesse del biologico italiano, però si avvicina (a Bologna dal 6 al 9 settembre) e un segnale per un prossimo possibile “disincagliamento” del dispositivo normativo arriva dall’audizione di FederBio in Commissione Agricoltura del Senato.
«Biologico e biodinamico – afferma Maria Grazia Mammuccini, neopresidente della federazione – sono settori economici importanti, che vanno strutturati con strumenti utili a sostenerne la crescita e a garantire il rispetto dei loro valori fondanti».
Toscana, produttrice di olio di oliva e vino bio, Mammuccini ha ricoperto importanti incarichi istituzionali, dirigendo per 15 anni Arsia, l’agenzia di sviluppo agricolo della sua Regione e come membro, per 10 anni, del Consiglio di Amministrazione del Cra (oggi Crea). È portavoce della coalizione “StopGlifosato” e coordinatrice della campagna “Cambia la Terra”. La sua recente elezione è un elemento di grande novità per un settore in cui spesso prevale una certa continuità nelle cariche e in cui raramente si trovano donne al vertice.
Continuità o rottura?
Siamo di fronte a una fase nuova per il biologico italiano?
Faccio parte dell’ufficio di presidenza di FederBio dal 2015 ed è inevitabile che ci sia una linea di continuità con le azioni strategiche sostenute nel recente passato. Quello che è accaduto nel corso dell’assemblea elettiva è però un segnale di deciso cambiamento, con la definizione di articolate linee programmatiche, con l’aumento della quota femminile (v. riquadro) e soprattutto con la crescita della rappresentanza dei produttori agricoli biologici e biodinamici.
Un segnale di forte discontinuità è certamente l’ingresso di Coldiretti.
La presenza, tra i soci, di UpBio, Associazione Italiana agricoltura biodinamica, AnaBio Cia, Bioland Italia, Aiab Emilia-Romagna e la recente adesione di Anagribios, l’Associazione di produttori biologici di Coldiretti, rappresenta un importante passo in avanti per far crescere il ruolo dei produttori e per una nuova governance del settore. Un ampliamento che è il segno che il biologico sta diventando un riferimento per tutto il sistema agricolo italiano. Una pluralità che forse renderà il confronto di merito più impegnativo, ma che darà maggiori opportunità di crescita.
Il Dday del bio italiano
Al primo punto programmatico della nuova presidenza c’è l’approvazione al Senato del progetto di legge. Una sorta di Dday per l’agricoltura biologica italiana. Perché è così decisivo?
Il bio oggi è un settore economico importante che vive una fase di crescita esponenziale. Il progetto di legge contiene proposte che consentirebbero di favorire e sostenere la fase di conversione, di garantire il rispetto dei valori fondanti del vero bio, di strutturare il sistema in maniera adeguata con strumenti che oggi non ci sono.
Quali?
Ad esempio integrazione di filiera e interprofessione. Il suo riconoscimento è un’esigenza prioritaria per evitare che anche nel bio si manifestino le stesse “patologie” del convenzionale: conflittualità di filiera e rincorsa selvaggia al prezzo più basso. Serve una struttura che abbia l’autorevolezza per districare questi nodi. Poi occorre un preciso riferimento normativo per i distretti biologici che stanno crescendo in tutta Italia, uno strumento flessibile che gestisca questa crescita senza ingessarla. Una delle esigenze più sentite è poi quella relativa alla ricerca, all’innovazione e alla formazione, elementi strategici per fare biologico bene.
Fame di ricerca
Eppure alcune delle critiche più insistite al disegno di legge sono venute proprio dal mondo della ricerca.
Il biologico ha fame di ricerca. Ne ha più bisogno perché ha ricevuto meno attenzioni e meno finanziamenti rispetto agli altri metodi produttivi. Un’azienda bio non riuscirà a superare le sfide che ha di fronte senza ricerca, a partire da quella del climate change, della riduzione dei dosaggi di rame, dell’esigenza di sementi selezionate, ecc. Serve però un modello diverso, che sappia integrare ricercatori, tecnici, imprese e territorio senza trascurare la fase del trasferimento delle innovazioni. Un modello che sembra adattarsi bene a queste esigenze è quello dei gruppi operativi del partenariato europeo per l’innovazione. Non è un caso se molti Go attivati dalla misura 16 del Psr di diverse regioni sono focalizzati sul bio. Ora attendiamo i risultati.
Potranno essere utili soprattutto per alcuni sistemi colturali. Il paradigma del bio si sta infatti imponendo in alcune colture come la vite, mentre sui cereali e in particolare sul mais ci sono più resistenze.
Cambiare metodo produttivo non significa sostituire i mezzi tecnici, ma cambiare approccio, adottando una serie di percorsi come quelli delle rotazioni che sono indispensabili, perché sono valore fondante del biologico. I problemi di fertilità dei suoli, che si riscontrano in particolare in alcune zone maidicole, testimoniano che questo cambio di approccio è necessario se vogliamo salvaguardare la produttività agricola anche nel futuro. È un problema agronomico ancor prima che ambientale.
Conversione o convivenza?
Tra gli strumenti previsti dal progetto di legge vi è quello di un logo per il bio nazionale. La distintività serve ancora? Le campagne di Cambia la terra e StopGlifosato sembrano avere l’obiettivo di avvicinare molto il convenzionale al modello del biologico, non c’è il rischio di perdere il valore aggiunto oggi riconosciuto al bio? L’intento di FederBio è la conversione totale o la convivenza con gli altri metodi di produzione?
La produzione biologica italiana può crescere ancora molto. È un impegno che occorre assumersi per fare fronte al forte aumento della domanda di bio oggi soddisfatta con le importazioni.
Rischiamo così di non cogliere un’opportunità sia agricola che ambientale e in molti casi abbiamo visto il rischio di avere qualche garanzia in meno. Occorre perciò aumentare la produzione biologica nazionale in maniera consistente: noi puntiamo al 40% di superficie nazionale da qui al 2030 ed è un obiettivo assolutamente realistico. È chiaro che, come capita già oggi, molte pratiche distintive del bio possono diventare dei riferimenti anche per l’agricoltura convenzionale, perché la necessità di ridurre gli input chimici è un obiettivo che riguarda tutti. Il bio dovrà quindi mantenere l’asticella della sostenibilità ambientale più alta rispetto al resto dell’agricoltura ed essendo l’unica pratica certificata a livello europeo dovrà assicurare sempre garanzie elevate e un sistema di valori riconoscibile per il consumatore.
Gdo, opportunità o rischio?
Grande distribuzione, opportunità o rischio? Da una parte ha contribuito alla forte diffusione del bio, dall’altra sta producendo una forte pressione sui prezzi che rischia di snaturare questo metodo di produzione.
«Uno degli impegni maggiori del documento programmatico per la presidenza – svela Mammuccini – è quello di sostenere il giusto prezzo del bio per non cadere nella trappola in cui è caduto il convenzionale. Per questo abbiamo salutato positivamente la legge approvata alla camera contro le aste a doppio ribasso e le altre pratiche commerciali sleali: mai più prodotti di qualità, bio o da filiere locali venduti sottocosto».
Due questioni sui controlli
Il rafforzamento del sistema dei controlli continua ad essere uno degli obiettivi principali di FederBio. «I casi di falso bio – denuncia Mammuccini – hanno fortemente danneggiato il settore». La soluzione secondo la presidente non può che arrivare da piattaforme digitali di tracciabilità interconnesse. «Serve innovazione anche nei controlli, siamo aperti a un confronto serio con gli organismi di certificazione per misurarsi su questioni strategiche come le garanzie per i consumatori e i cittadini».
Ma c’è anche un altro aspetto: «I produttori che puntano sulla qualità, magari sommando al bio la tutela dell’origine delle Dop, invece di avere un percorso di agevolazioni, si trovano più certificazioni e più costi, soccombendo a un’overdose di burocrazia. Un problema che va risolto».
La squadra
A fianco di Maria Grazia Mammuccini, acclamata presidente della Federazione rimane Paolo Carnemolla, past President, con la carica di Segretario Generale. Confermati i Vicepresidenti Matteo Bartolini, Andrea Bertoldi e Carlo Triarico. Nell’Ufficio di Presidenza sono stati eletti Rossella Bartolozzi, Claudia Bastia, Michele Monetta e Enrico Casarotti che affiancheranno il lavoro della nuova presidenza nello sviluppo dei diversi temi su cui la federazione è impegnata.
Entrano inoltre nel Consiglio Direttivo della Federazione il Presidente di Bioland Italia Toni Riegler e il Presidente di Aiab Emilia-Romagna Antonio Lofiego.