Oltre undici ettari di filari, una decina di aziende: il luppolo mette radici nel Cuneese, lanciando la Granda fra le aree emergenti nel panorama nazionale della coltura. Con sei ettari coltivati nel comune di Busca, Luca Bonelli, un passato di studi in Pianificazione urbanistica al Politecnico di Torino, è il maggiore produttore della provincia. Per gestire gli impianti, nel 2018 ha dato vita, assieme a sette soci, alla cooperativa agricola Hopera, realtà che si è specializzata nella fornitura di luppolo alle realtà brassicole, attraverso accordi di filiera. «L’80% del raccolto viene assorbito dal birrificio Baladin di Piozzo, nel Cuneese, alfiere di una filosofia della birra 100% italiana, ottenuta da materie prime locali».
Il primo impianto, un ettaro in tutto, messo a dimora nel 2017, è stato una sfida, gli altri sono seguiti nel tempo. «Siamo partiti da zero. Ho acquistato in Inghilterra e testato 60 varietà di luppolo per arrivare a capire quali fossero le più indicate: alla fine hanno prevalso le cultivar americane - Cascade, Cahsmere, Chinook, Comet e Newport su tutte - che allignano meglio di quelle tedesche e sono più resistenti alle fitopatologie». I pali lunghi 7 metri, utilizzati come tutori nei filari dell’impianto, sono stati reperiti direttamente nei boschi: «Non c’era nulla di così lungo e durevole in commercio», spiega Bonelli.
Clima ideale
La pianura pedemontana di Busca, nella bassa valle Maira, presenta le caratteristiche climatiche e pedologiche ottimali per la coltura. «Un’elevata escursione termica, specie fra i mesi di agosto e settembre, è essenziale per lo sviluppo di Alfa acidi e oli essenziali delle infiorescenze. Al contrario il calore e temperature costanti al di sopra dei 34 gradi possono risultare dannose per i fiori». I rizomi, piantati a una distanza di 140 centimetri sulle file, distanti tre metri le une dalle altre, «possono durare anche 25 anni. Col tempo l’apparato radicale si sviluppa fino a due metri di profondità». A patto che i terreni siano drenanti e consentano irrigazioni frequenti.
Gestione meccanizzata
La gestione degli impianti è in larga parte meccanizzata: «In primavera si taglia il rizoma all’altezza del colletto per evitare l’insorgenza di patologie, ritardare la crescita della vegetazione e la fioritura», facendola coincidere con i mesi più propizi. I ricacci selezionati – di norma 6 per ciascuna pianta - vengono sistemati su fili metallici verticali sospesi ai cavi sommitali del filare. «A fine giugno i tralci raggiungono i 7 metri di altezza. Per le operazioni di diserbo si utilizzano erpici a disco e trinciatrici», precisa Bonelli.
Oidio e peronospora sono le principali problematiche fitosanitarie, contrastate con trattamenti a base di rame e zolfo. «Prodotti concessi in deroga, visto che non ci sono formulati specifici registrati per la coltura: fortunatamente il luppolo è molto resistente. Fra maggio e giugno si eseguono anche alcuni interventi con Bacillus turingensis contro gli afidi».

Coltura redditizia
La raccolta avviene nell’arco di un mese, a partire dalla fine di agosto. «Una macchina recide i tralci, infilati manualmente in una trebbia che separa il fiore dal resto della pianta, tritata e usata come compost. Le rese oscillano fra i 10 e i 18 quintali per ettaro, con picchi di 23 quintali in alcuni campi». Il 2024 è stato, per gli addetti ai lavori, l’anno da ricordare: «Le piogge primaverili e un settembre fresco hanno accresciuto le rese del 30%». La quotazione, «fra i 10 e i 12 euro al chilo per il prodotto in fiore», rappresentano una buona prospettiva di remunerazione e compensano gli investimenti iniziali, richiesti per la messa a dimora. «Circa 40mila euro per ettaro», precisa Bonelli che all’azienda agricola ha affiancato un vivaio e realizza impianti “chiavi in mano”.
La fase più delicata della lavorazione inizia dopo la trebbiatura dei fiori: «Il luppolo dev’essere essiccato nel più breve tempo possibile, per evitare l’avvio della fermentazione». Le infiorescenze vengono portate a una temperatura di 60 gradi per 6-7 ore, «lasciate raffreddare, tritate e confezionate». La celerità è la chiave per la buona riuscita del processo: «Nei grandi centri di trasformazione, fra l’essiccazione e le fasi successive trascorrono, di norma, mesi, a noi bastano poche ore. In questo modo il nostro Cascade può competere con quello prodotto negli Stati Uniti».
Eccellenza nel post raccolta
Per garantire elevati standard di qualità, Hopera si è dotata di attrezzature all’avanguardia: «Il nostro laboratorio è l’unico certificato in Italia per la pellettizzazione del luppolo». La cooperativa è un punto di riferimento per le aziende del comparto anche al di fuori della regione. «Alcune conferiscono il luppolo per le sole lavorazioni, lo stesso vale per alcuni birrifici agricoli che si producono le materie prime utilizzate». Oltre al confezionamento l’ente consortile si occupa anche di fornire macchinari, difficili da reperire in Italia: «La trebbia è stata acquistata in Germania, come parte delle attrezzature per il laboratorio».
Teo Musso, presidente del Consorzio birra italiana produce col marchio Baladin 27 mila ettolitri di birra artigianale, realizzata a partire da materie prime coltivate in Granda. Il suo luppoleto, un ettaro e mezzo, piantumato a Piozzo, comune nel Cuneese dove ha sede il birrificio, è, per dimensioni, il secondo impianto nella provincia. Un campo all’avanguardia in fatto di soluzioni d’irrigazione: «Un sistema di nebulizzazione consente di programmare le irrorazioni di acqua in base alle esigenze della singola pianta e, al contempo, di somministrare micro-elementi».
La selezione delle cultivar messe a dimora – l’85% dei rizomi appartiene alla varietà Cascade, il restante a Magnum – è il risultato di lunghi studi, condotti in collaborazione con l’istituto agrario Umberto I di Fossano: nei terreni dell’azienda sperimentale della scuola (in frazione Cussanio) venne realizzato, nel 2009, il primo campo varietale. «Mezzo ettaro di superficie nel quale fu possibile testare e mettere a confronto le performance di 4 varietà europee tradizionali – East Kent Golding, Hallertau Mittelfruh, Magnum e Saaz – con la cultivar Cascade».

Nel 2025 la peronospora rovina la festa
Il raccolto 2025, nel luppoleto di Piozzo, paga dazio alla peronospora. «L’infezione si è propagata durante la fase del ricaccio dei tralci, quando i germogli erano lunghi circa tre centimetri ed è stata favorita dalla combinazione fra pioggia e calore primaverile», riprende Musso. Nonostante gli interventi con i prodotti in deroga la crescita si è bloccata per due settimane, in un momento cruciale per lo sviluppo del luppolo: «Contiamo di raccogliere 700 grammi di fiori per ciascuna pianta anziché 1,2 chilogrammi. Se avessimo avuto fitofarmaci registrati a disposizione avremo risolto la problematica in breve».
Le difficoltà dell’annata non riducono le opportunità di sviluppo della coltura: «Puntiamo a raddoppiare le superfici coltivate nella Granda in un quinquennio, raggiungendo i 20 ettari». Una prospettiva concreta, sostenuta dai consumi di Baladin che, oltre a quello dei propri campi, assorbe gran parte del luppolo prodotto nel Cuneese, attraverso la cooperativa Hopera della quale Musso è cofondatore. «Utilizziamo ogni anno fra le 8,5 e le 9 tonnellate di fiori essiccati e pellettizzati. I nostri consumi sono in crescita e, di conseguenza, lo sono anche le opportunità di mettere a dimora nuovi impianti». Un ulteriore fattore di attrazione è rappresentato dalla Plv, «quantificabile fra i 25 e i 30mila euro per ettaro».
Ricerca per migliorare
Il progetto Filo, acronimo di Filiera del luppolo e dell’orzo, promosso nel 2024 dal Consorzio birra italiana e Coldiretti, finanziato con 20 milioni di euro dal Masaf, mira a fornire le coordinate scientifiche e tecniche per l’evoluzione della filiera brassicola, con riflessi anche per il Cuneese. «L’attività di ricerca coinvolgerà, fino al 2029, le università di Parma e Udine e l’Istituto superiore Sant’Anna di Pisa. Udine si focalizzerà sul processo di maltazione, il tema luppolo verrà affrontato a 360 gradi dall’ateneo di Parma e dal polo pisano con un focus sulle varietà italiane, le pratiche di coltivazione sostenibili e le procedure di lavorazione», prosegue Musso, che è una delle menti del progetto.
In questo quadro alla Granda tocca un ruolo di primo piano nella geografia nazionale della coltura: «Potrebbe diventare, attraverso la cooperativa Hopera, il polo di riferimento del nascente distretto piemontese del luppolo». Una realtà che sta prendendo forma, proprio come l’areale umbro, «il più promettente, nel quale è in corso da tempo la riconversione produttiva dal tabacco o, ancora, l’Abruzzo. Zone che si affiancano al Modenese, contesto nel quale la coltura è ormai consolidata». Le possibilità di espansione della coltivazione sono legate, secondo Musso, non solo a fattori agronomici, ma a due nodi cruciali: «L’attenzione dei consumatori per il prodotto italiano e la sensibilità del mondo politico per la valorizzazione dei prodotti Made in Italy».










