I surplus produttivi conseguenti alla fine del regime delle quote latte iniziano a far sentire i propri pesanti effetti. E non solo sull’entità del prezzo alla produzione. Oggi, ha detto l’assessore lombardo Gianni Fava a Mantova al termine di un tavolo interprofessionale, «la maggiore preoccupazione degli allevatori rischia di non essere più il livello del prezzo, ma addirittura la possibilità stessa che il latte venga o meno ritirato alla stalla».
Siamo di fronte dunque a un salto di qualità, purtroppo in negativo e purtroppo molto drastico, del dibattito sulla redditività della produzione del latte. Sinora si era sempre parlato del prezzo alla stalla, al limite dei costi di produzione, ma non del rischio estremo che il latte munto non venga ritirato da nessuno e rimanga in azienda. «Circa cento aziende zootecniche lombarde rischiano di non veder ritirato il proprio latte in stalla dal prossimo aprile, Nei prossimi giorni valuteremo gli esuberi produttivi e vedremo, assieme all’industria, dove ricollocarli. Gli industriali hanno dichiarato di essere intenzionati impegnarsi su questo problema, abbiamo registrato una inedita disponibilità da parte loro».
Ma al di là della situazione contingente, della cronaca, sembra di trovarsi di fronte a un peggioramento strutturale della posizione degli allevatori. Perché sembra destinato a continuare, se non a peggiorare, il problema del surplus produttivo rispetto alla domanda. Fava ha spiegato: «I dati ministeriali indicano un aumento della produzione lattiera lombarda pari al 2,5%, ma la percezione che abbiamo è che l’incremento sia stato maggiore, anche un +8%; una percentuale molto alta ma non tale da giustificare eventuali disdette. In più le quote latte del grana padano non hanno aiutato, dirottando materia prima dalla trasformazione al mercato libero».
Le conclusioni di questa sua analisi l’assessore le ha espresse con tono sconsolato: «Questa sovrapproduzione rispetto alla domanda sfocerà nel tempo a un calo dell’offerta anche da parte degli allevatori. Ma penso che questo ridimensionamento avverrà lentamente, nel lungo periodo, e non con interventi bruschi come abbattimenti di bestiame. Certo è che questa riduzione di interesse verso il latte lombardo avrà i suoi effetti anche a livello delle stalle».
Le risposte? Sono da scartare per Fava soluzioni «sconsiderate» di politica comunitaria come appunto l’abbattimento dei capi, metodo applicabile al limite ad altri paesi Ue ma non all’Italia: «Sono contrario perché noi produciamo il 70% del nostro fabbisogno. L’abbattimento lo facciano eventualmente altri paesi, come l’Irlanda, che produce il 140% del proprio fabbisogno». Molto più indicata sarebbe piuttosto un’altra strada: «Il mio auspicio è che per qualche mese l’import di latte dall’estero venga sostituito dal latte lombardo e nazionale, per evitare che le nostre stalle debbano gettare il proprio latte».
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