Scrivo in merito all’articolo di Eros Gualandi (Terra e Vita 35/2015). Nel bilancio economico della coltura del frumento tenero (a nord del Rubicone credo) si evidenzia che i costi di produzione tra sodo e lavorato differiscono di -8,8% da lavorato a sodo (o, invertendo la base, del +9,7% da sodo a lavorato).
In entrambi i casi è suggerita comunque “l’acquisizione degli elementi di conoscenza e padronanza tecnico-applicativa in grado di aumentare significativamente le rese … introdurre innovazione … forse l’unico strumento a disposizione della filiera cerealicola”. Un plus per la redditività!
Nella somma dei costi colturali di entrambe le tecniche c’è una voce però consistente che non subirà l’effetto dell’innovazione tecnologica, vale il 28% dei costi “lavorato” e il 33% del “sodo”, capace da sola di determinare la perdita o il profitto colturale. L’autore giudica questa voce di costo priva di logica economica. E dice bene.
Questo costo, il beneficio fondiario, come tutti i beni in un libero mercato trova il suo equilibrio tra domanda e offerta; se qualcuno è disposto a pagarlo due volte e mezzo il valore del titolo Pac (600 euro rispetto a 250) la colpa non è del mercato…
Ma il mercato in agricoltura non è libero bensì “condizionato” dalla Pac che sostiene il reddito, una forma di paracadute al rischio colturale (resa, prezzo, calamità)… più efficace di qualunque tecnica di “precision farming”.
L’agricoltore che usa il sostegno Pac per pagare l’utilizzo del fondo che coltiva sbaglia. Sbaglia nel mercato libero, sbaglia nel mercato a lui favorevolmente condizionato.
La voce di ricavo Pac è una componente attiva del bilancio e come tale agisce da “ammortizzatore” capace di attutire la perdita (lavorato) da -346 euro a -96 o di evitare la perdita (sodo) da -109 a +141; chi ha voglia di seguirmi nei numeri vedrà che la componente passiva “Affitto” non è stata calcolata perché già in un bilancio preventivo non c’è spazio per tale voce quindi non dovrebbe esserci domanda di fondi da coltivare, titoli da accoppiare, fitti da pagare “fuori da qualsiasi elementare logica di semplice buon senso”.
C’è qualcuno disposto ad offrire molto (biodigestori)? Si accomodi.
Una politica condizionatrice del mercato dovrebbe minimizzare la componente fondiaria del reddito ed esaltare quella che subisce il rischio d’impresa. Credo che la nuova Pac abbia agito in questo senso.
Ecco un esempio con i numeri della mia zona (collina litoranea di Ancona).
Titolo Pac ante 2015: 350-400 €; affitti “sentiti dire”: 400-450 €; redditività media delle colture possibili (e qui il frumento per fortuna è duro) 100-300 € ai quali vanno detratti gli extra Pac riconosciuti per avere il fondo in conduzione.
Titolo Pac dal 2015: 220 € tendente a 180 € quello riferibile al beneficio fondiario perché, secondo me, la componente greening e l’accoppiato (duro e proteol.) sono del coltivatore e delle sue libere scelte colturali non del fondo semplicemente disponibile.
La Pac ha agito bene nell’intenzione di “aiutare” i coltivatori piuttosto che le famigerate proprietà assenteiste: adesso sta al coltivatore decidere se vuole molta terra e perdere soldi offrendo alla proprietà 180+90+ 70 (cioè tutta la componente sicura delle voci di ricavo) o limitarsi al “base” di 180 €; da 450 a 180 (-60% per i proprietari) non sarà una trattativa facile, forse sarà opportuno riflettere e inventarsi qualche altra soluzione…
Chi interpreta la Pac – le Regioni con i loro Psr – ha in mano le leve per condizionare il rapporto tra proprietà del fondo agricolo e impresa coltivatrice e se non si fa strattonare a destra e a manca, con la sua sola capacità di fare “Polis” può condizionare l’agricoltura dei fondamentali (quelli che danno da mangiare, non quelli che gustati si dimenticano) per farla sopravvivere con soddisfazione di tutti, dal proprietario del fondo che vive con un mestiere diverso, al coltivatore (spesso giovane speranzoso) che vuole fare impresa.
Il proprietario del fondo deve rischiare con il coltivatore, il coltivatore dev’essere sostenuto dalla Pac insieme al proprietario del fondo. Non basta che i titoli siano in mano al conduttore se questo li gira alla proprietà per acquisire spazi di lavoro. Proprietà e conduzione facciano impresa insieme con l’accomandita semplice; un’impresa modello per queste colline asciutte vocate al frumento duro dovrebbe avere a disposizione 600 ha (non a macchia di leopardo) per ammortizzare mietitrebbia autolivellante, irroratrice semovente, guida satellitare per lo spandiconcime e altre innovazioni per il plus di redditività, di cui parla Gualandi.
Per dotarsi di macchine al massimo dell’efficacia e magari anche di un locale ove stoccare 1.500 t di frumento per gestire la fase commerciale del prodotto, quest’impresa ha bisogno di 600-900mila €, cioè 1.000-1.500 €/ha che i diversi proprietari, stimolati ad aggregarsi, sono in grado di fornire quale capitale sociale quindi meritevoli (più di altri) di ricevere in conto capitale l’aiuto della misura Psr. Qualcuno salirà sui trattori per eseguire i lavori, uno o più dei proprietari o meglio un accomandatario, magari già “terzista”. L’utile dell’impresa deriverà dal m.o.l. delle colture (100-300 €), dal premio accoppiato (60+80 €)/2, dal rispetto della condizionalità (90 €) e dal titolo base (180 € a regime): in totale il reddito d’impresa si stima tra 440 e 640 €/ha (Pac 72,27% su 440 e 53,13% su 640) e la stima deve tener conto che il reddito deriva in maggior parte ancora dagli aiuti Pac (altro che mercato). Chi lavora sul trattore (ipotizzo 3.000 ore/anno) e si occupa della gestione troverà la sua retribuzione dentro i costi di meccanizzazione (riferimento alle tariffe dei terzisti); se l’annata è buona la soddisfazione è per tutti, se l’annata è negativa tutti sopportano l’eventuale perdita; per il proprietario accomandante il suo provento sarà il riconoscimento del capitale conferito insieme al terreno, per il “conduttore” il suo provento oltre il compenso del lavoro sarà il premio per la sua professionalità. Sbagliato?
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