Generalmente è al convegno di Sana (quest’anno il pomeriggio dell’8 settembre) che il ministero delle Politiche agricole presenta ufficialmente i dati elaborati dal suo servizio Sinab sulla base dei dati forniti dagli organismi di controllo in riferimento alla numerosità delle aziende biologiche, all’entità delle superfici e alla consistenza degli allevamenti dell’anno precedente.
Non possiamo quindi valutare qui i dati ufficiali (dati provvisori 2016), ma le stime più ragionevoli che FederBio elabora sulla base delle informazioni fornite dagli organismi di controllo suoi aderenti, che comunque controllano il 90% delle aziende italiane e costituiscono, quindi, un campione più che robusto.
La superficie condotta con metodo biologico è passata da 1.493.000 ha del 2015 a 1.625.000 del 2016, con un incremento del 9%, superiore a quelli registrati nel 2015 (+7,5%) e nel 2014 (+5,8%).
Il dato sta a dire che se nel 2015 era biologico il 12,6% della Sau italiana, per una superficie pari a quella totale di Toscana, Umbria e Marche messe assieme, nel 2016 si è aggiunta la Sau di Valle d’Aosta e Liguria.
A guardarla, la mappa colorata di verde fa una certa impressione e rende percepibile anche visivamente che il settore biologico interessa ormai una quota di assoluto rispetto nell’agroalimentare italiano.
L’incidenza sulla Sau complessiva non è omogenea a livello nazionale: è di scarsissimo rilievo in Veneto e Piemonte, ma in Calabria supera il 30%, in Lazio e Sicilia è a cavallo del 20%, in altre 8 regioni è comunque sopra il 10%. In parallelo alle superfici, aumenta il numero delle aziende. Le poco meno di 60mila del 2015 sono balzate a quasi 75mila, con un incremento netto di oltre il 24% (la crescita era stata dell’8% nel 2015). Se negli anni precedenti aumentava di più il numero delle imprese di trasformazione e distribuzione, nel 2016 la variazione di queste ultime è stata del 16.6%, ma quella delle imprese agricole è stata del 26%.
La garanzia della sicurezza
Difficile pensare si tratti solo di un tardivo sviluppo di una maggior sensibilità ambien-tale o di massicci primi insediamenti di giovani imprenditori, generalmente più vocati a multifunzionalità e biologico.
«Il modello delle filiere agroalimentari convenzionali sta mostrando sempre più la cor-da, con industria e, in misura minore, distribuzione che propongono prezzi vergognosamente bassi, inferiori ai prezzi di produzione. La ricerca da parte delle aziende di alternative in grado di fornire maggior sicurezza si affianca quindi all’attenzione verso un mercato in continuo sviluppo e agli incentivi della Pac -, considera Paolo Carnemolla, presidente di Federbio -. Venire a contare un quarto di aziende in più in un solo anno impone al sistema di controllo un forte impegno per garantire le necessarie efficacia e efficienza, ma in un quadro in cui la formazione e in particolare l’assistenza tecnica in agricoltura sono state smantellate, rende necessario anche sviluppare servizi che accompagnino nel modo migliore le imprese».
Non è un caso che nell’estate l’organizzazione abbia dato vita assieme a AssoBio e ad altre organizzazione del settore, Federbio Servizi, che anche in partnership con società esterne specializzate offrirà formazione professionale e manageriale, servizi per l’informatizzazione dei sistemi di produzione, della logistica, del controllo e della gestione delle piattaforme commerciali.
Ma anche consulenza per interventi gestionali, auditing di progetti, processi e prodotti, analisi di mercato, definizione di strategie di marketing, gestione dei processi dalla certificazione, organizzazione della partecipazione a manifestazioni fieristiche e promozionali, iniziative di aggregazione e di progetti di rete e di internazionalizzazione.
Senza dimenticare l’assistenza alla ricerca di risorse finanziarie e alla razionalizzazione produttiva, organizzativa e commerciale.
«Anche se a qualcuno piace ancora dipingere il biologico a tinte folcloristiche – continua Carnemolla – e nonostante la debolezza e la mancanza di coordinamento del suo sostegno in ambito nazionale e regionale, siamo il comparto produttivo dell’agroalimentare non solo più in salute, ma che continua a crescere.
Ma ha bisogno di servizi per sostenere questa crescita, e se manca la loro organizzazione a livello pubblico, non ci rimane che rimboccarci le maniche e gestirli in proprio».
Mercato in fermento
Anche sul versante del mercato i segni sono positivi. I numeri sull’export saranno svelati dall’ormai tradizionale Osservatorio Sana curato da Nomisma (solo un paio di anticipazioni: l’export di prodotti biologici pesa per il 5% sul totale dell’export agroalimentare, quello di vino bio nel 2016 è aumentato del 40%, l’81% delle imprese conta di aumentarlo nel prossimo triennio, il 19% conta di mantenere le quote, nessuno si attende una contrazione delle vendite).
Quelli sul mercato interno sono, ancora una volta in crescita.
AssoBio presenterà a Sana i dati Nielsen sulle vendite di prodotti biologici nella grande distribuzione: circa 1,12 miliardi nell’anno di dodici mesi chiuso a fine giugno 2017, con oltre 71 milioni di uova (primo prodotto in valore, pesa per il 17% del valore complessivo delle uova vendute in Italia, in crescita di quasi il 10%), 61 milioni di frutta confezionata a peso imposto (in crescita del 24%, pesa ormai per il 6.5% delle vendite di frutta) e altrettanti di ortaggi tra standard e quarta gamma (quest’ultima in crescita del 34%), 38 milioni e mezzo di latte (in prevalenza fresco, in crescita di oltre il 9%).
Senza dimenticare l’exploit dei prodotti espressione delle nuove tendenze di consumo (oltre 44 milioni di euro di bevande sostitutive del latte, a base di soia, riso e altri ce-reali, in crescita del 6.4%; 31 milioni di alimenti pronti a base soia).
Rallenta, invece, la crescita nel canale del dettaglio specializzato: la rete è rimasta so-stanzialmente costante, così come l’andamento delle vendite.
«In un quadro del genere è ormai indispensabile che Ministero, Regioni e Organizzazioni della filiera si siedano attorno a un tavolo e decidano assieme cosa fare di questo giocattolo, delineando politiche e strategie – afferma Carnemolla –. Non fosse altro perché in Spagna, il nostro maggior competitor sul mercato globale per quanto riguarda le produzioni tipicamente mediterranee, lo stan già facendo».
«Prevedendo che la domanda si svilupperà almeno per i prossimi dieci anni, è stato avviato un piano per l’aumento delle superfici biologiche: si parla già di investimenti in frutticoltura e orticoltura per 10mila ettari. È urgente prendere misure per evitare di consegnare il mercato, nel quale da trent’anni siamo protagonisti, a chi si muova prima e meglio di noi» conclude Carnemolla.
LA FILIERA SI ORGANIZZA
Alce Nero (rete di imprese che commercializza i prodotti di dodici soci che contano su una base produttiva di un migliaio di aziende agricole e cooperative, 61 milioni di fatturato), Brio (la società che commercializza il prodotto biologico del sistema Agrintesa, Alegra e Apo Conerpo) e La linea Verde-DimmidiSì (leader nelle verdure di quarta gamma, con un fatturato di 225 milioni) hanno annunciato la costituzione della joint venture Alce Nero Fresco spa, che a Sana presenterà un assaggio della gamma (6 insalate pronte in busta, 3 insalatone pronte per il take away e 4 zuppe fresche pronte), che si prevede di allargare a yogurt, latticini, succhi, piatti pronti.
L’accordo è stato preceduto da due anni di confronto e di analisi del mercato, che hanno confermato il forte potenziale di crescita del biologico nel comparto del fresco ad alto contenuto di servizio.
GLI ORGANISMI DI CONTROLLO ADERENTI A FEDERBIO
IT BIO 013 Abcert srl
IT BIO 007 Bioagricert srl
IT BIO 005 Bios srl
IT BIO 009 CCPB srl
IT BIO 006 Icea
IT BIO 014 QC srl
IT BIO 012 Sidel CAb spa
IT BIO 004 Suolo e Salute srl
IT BIO 015 Valoritalia
Leggi l’articolo su Terra e Vita 25/2017 L’Edicola di Terra e Vita