Sulla biodinamica sono state scritte molte inesattezze nei media italiani. “Pseudo scienza” la critica più frequente. Eppure la biodinamica, che esiste da un secolo ed è “più bio del bio”, è una pratica sostenibile ed etica. La ricerca accademica, in particolare in Italia, ha poco approfondito lo studio dell’agricoltura biodinamica e questo deficit di letteratura ha spianato la strada dei suoi detrattori.
Scientificità, sostenibilità ed economicità, sono i tre punti cardine da indagare per capire cosa significhi praticare oggi agricoltura biodinamica. Ne abbiamo parlato con la Anna Airoldi che ha recentemente discusso la sua tesi di ricerca sul campo dal titolo Biologico non basta. L'agricoltura biodinamica in tre casi studio europei per la disciplina Sociologia dell'Ambiente del Corso di Laurea in Comunicazione Interculturale dell'Università degli Studi di Torino.
Ci può illustrare i confini della sua tesi di ricerca e le tematiche affrontate?
«Ho strutturata la mia ricerca, iniziata nel maggio 2021, in seguito a riflessioni circa il dibattito parlamentare sulla legge italiana per il biologico in cui la Senatrice Cattaneo ha proposto l’emendamento della biodinamica dal testo di legge. Ho focalizzato tre temi di rilevanza strategica e come questi si sviluppino in tre nazioni europee, Italia, Grecia e Francia. La ricerca è durata circa un anno e mezzo perché volevo cercare di evidenziare gli sviluppi diacronici e non dare una mera fotografia statica. Il primo tema su cui mi sono concentrata è relativo al confronto tra scienza, pseudo scienza e post scienza. Il mio lavoro ha riguardato l’analisi delle narrazioni pubbliche in relazione a questo tema, come viene divulgato il concetto di scienza attraverso la stampa generalista, e il suo rapporto con tutto ciò che viene ascritto all’alveo pseudo scientifico. Il secondo tema ha riguardato la sostenibilità in agricoltura e in particolare il concetto di sostenibilità come oggetto complesso, come questo difficile tema venga di fatto interpretato e declinato secondo direzioni sia oggettive che soggettive e sia, quindi, diverso da contesto a contesto. Il terzo tema è una riflessione sull’agribusiness alla luce dei concetti di sicurezza e sovranità alimentare, e le strategie alternative al mercato globale neoliberista».
Come si è svolta la ricerca?
«Fulcro della mia tesi sono state le interviste raccolte nei tre paesi per analizzare i diversi approcci ai temi. In generale ho riscontrato una reticenza nei confronti dell'ambiente accademico, la stessa che l’Accademia ha manifestato, in più occasioni, nei confronti della biodinamica.
In Grecia non c'è un dibattito pubblico sul tema dello sviluppo dell’agroecologia in generale e della biodinamica in particolare, perché sono ancora a una fase di sensibilizzazione della popolazione sulla sostenibilità della produzione e del consumo.
In particolare ho potuto rilevare uno scollamento tra il mondo contadino, il mondo dei produttori, e quello della ricerca e delle istituzioni.
In Grecia ho intervistato la responsabile Food & Agriculture di Greenpeace Greece e un esperto consulente biodinamico che mi hanno restituito un quadro generale sulla situazione e diffusione della biodinamica a livello nazionale, e due aziende agricole biodinamiche, una vitivinicola a Spata, nella periferia dell'Attica e una che produce olio e mandorle a Larisa in Tessaglia.
In Francia ho trovato un po’ meno difficoltà. Ho intervistato Jean-Michel Florin del Mouvement de l’Agriculture Biodynamique, Martin Quantin di Biodynamie Recherche, un’organizzazione che ha come obiettivo quello di sostenere e sviluppare la ricerca in agricoltura biodinamica, e René Becker, presidente della Società Antroposofica in Francia, un agricoltore in pensione che però svolge ancora attività di consulenza e formazione.
Come azienda agricola ho intervistato un imprenditore agricolo biodinamico del nord della Francia in Bretagna.
In Italia invece ho trovato un po’ più di difficoltà. Un contributo importante è stato quello di Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica Italiana e quello del titolare di un’azienda agricola biodinamica di Lirano, Serralunga d’Alba, nella Langa del Barolo, che coltiva viti, alberi da frutto, erbe e cereali».
A quali conclusioni è arrivata?
«In relazione primo tema, quello relativo al rapporto tra scienza e pseudo scienza, ho riscontrato tra i miei intervistati posizioni piuttosto rigide. Tuttavia, come argomenta il filosofo Ted Benton, non può esserci una cesura così marcata tra le scienze fisiche e le scienze sociali, in quanto anche il laboratorio partecipa di dinamiche di costruzione sociale. La scienza post-normale (gergalmente “post scienza”) è quella che postula la possibilità di avvalersi di pluralità di conoscenze, siano queste scientifiche, tradizionali, locali, indigene, senza escludere i depositi di conoscenza tradizionali. Insomma comprende tutto ciò che può diventare fonte di conoscenza. Ai giorni d’oggi lasciare la scienza “pura” nella sua torre d’avorio, staccata dalla viva società, dalla cultura e dalla politica, potrebbe rivelarsi una limitazione dannosa, come suggeriva lo studioso francese Bruno Latour fin dal suo Non siamo mai stati moderni del 1998.
Per quello che riguarda il secondo tema, la sostenibilità è interessante come il concetto venga declinato in maniera diversa negli Stati interessati dallo studio. In Grecia sostenibilità viene tradotto con βιώσιμος che potrebbe essere ritradotto con il termine italiano “vitale”, mentre in Francia con durable, durevole. La sostenibilità, proprio in quanto oggetto complesso, presenta dei caratteri sia oggettivi che soggettivi e per questo viene valorizzata a seconda della specifica sensibilità delle culture, della storia e dei singoli soggetti che poi la mettono in pratica. Per esempio una definizione istituzionale di sostenibilità è quella data dall'Agenda 2030.
Si può parlare invece di sostenibilità soggettiva quando le strategie per la sua attuazione si diversificano perseguendo, per esempio, in Grecia un'agricoltura che valorizzi la vitalità della terra, degli alberi, degli ecosistemi. In Francia la sostenibilità è considerata come una tutela e un rispetto dell'ambiente per noi e per le generazioni a venire, di lungo periodo. In Italia il concetto di sostenibilità è percepito in modo letterale: si tratterebbe quindi di un peso da sostenere, una reazione al danno ambientale, al danno sociale o alla scarsa accessibilità alle risorse. La sostenibilità secondo i miei intervistati italiani è la reazione a ciò che è stato provocato da una gestione considerata insostenibile.
Per quanto riguarda il terzo tema, l’agribusiness, la tesi arriva alla conclusione che le strategie alternative al mercato globale neoliberista dovrebbero mirare alla riduzione delle asimmetrie, cercando di perseguire un modello di produzione, distribuzione e consumo maggiormente rispettoso ed equo. Questa rimane una delle più grandi sfide del biologico in generale e del biodinamico in particolare.
In definitiva, il mio auspicio è che nasca un dialogo tra i saperi su un terreno comune di confronto e di mutuo arricchimento, lasciando da parte le idee preformate che troppo spesso inibiscono il raggiungimento di una concreta utilità collettiva».