Ogni anno fa storia a sé, non c'è più un decorso stagionale “ordinario” e questo mette in discussione le strategie consolidate.
In parole povere non si può più dire «abbiamo sempre fatto così». Con i cambiamenti climatici cambia anche il lavoro degli agronomi e le tecniche colturali si devono adeguare. Mutamenti analizzati e discussi durante il Forum Cdo Agroalimentare di Milano Marittima (Ra).
Interventi fuori sincrono
Alice Pollicardo, agronoma libera professionista da sempre impegnata nell'agricoltura biologica, in particolare seminativi in pieno campo e vigneti, ricorda i parametri che testimoniano meglio l’impatto del climate change: temperature medie, piovosità e concentrazione atmosferica di anidride carbonica.
«Agiscono – spiega - direttamente e indirettamente sulla produttività delle colture e quindi sulla redditività. Dal 2012 in avanti abbiamo avuto una successione di annate climatiche anomale: significa che ci siamo trovati ad agire in campagna dovendo adottare strategie, piani di concimazione, rotazione e meccanizzazione, riferendoci ad un orizzonte temporale di una sola annata agraria».
«Le alte temperature fuori stagione – insiste- influiscono in modo molto negativo sulle piante, determinando un anticipo e una contrazione delle fasi fisiologiche. Nei cereali autunno-vernini si assiste a una mancata vernalizzazione che si traduce nella perdita dei ⅔ di produttività».
«È fondamentale – raccomanda Pollicardo- reintegrare la sostanza organica nei suoli, per aumentare la fertilità e sul medio periodo anche la resa produttiva, ma soprattutto per incrementare la naturale capacità di ritenzione idrica del suolo – ha concluso Pollicardo - diminuendo così la siccità percepita dalle colture nel momento del fabbisogno idrico».
Piove quando non serve
Sergio Costa, responsabile tecnico di Scarabelli Irrigazione, ha posto l'accento sulla variabilità dei cambiamenti climatici. L'esperto ha evidenziato come sia diminuita la quantità di pioggia e come si sia spostata nel periodo: mentre un tempo avevamo acqua nel periodo primaverile e quindi favorevole alla coltivazione, oggi l'abbiamo in periodi non propizi. Questo comporta problematiche di gestione del terreno e del sistema irriguo: «I laghetti di accumulo – rimarca- e l'irrigazione di precisione devono diventare dei cardini del settore, ma l'Agricoltura 4.0 non è sufficiente».
«È necessario ragionare in maniera diversa: i sistemi satellitari ci permettono di avere un monitoraggio giornaliero e preciso delle condizioni del nostro campo. I dati devono essere interpretati con l'intelligenza artificiale e gli agricoltori avranno così un supporto che li guida in questa funzione. L'acqua sarà data solo alle parti di impianti che ne hanno bisogno per i volumi necessari».
Tre obiettivi per gli agricoltori
«Nel nostro settore è molto importante il rapporto che si ha con gli agricoltori –aggiunge Andrea Pietrobelli, responsabile del Dipartimento Agronomico di Cereal Docks Group -».
«L’imprenditore agricolo – continua- deve avere tre obiettivi da raggiungere: aumentare la redditività dell’azienda agricola, diminuire la propria impronta ambientale e aumentare la propria conoscenza e quella dei dipendenti. Nel primo caso deve ottimizzare gli input e ridurre i costi, cercando di analizzare precisamente le spese e aumentare o mantenere le produzioni e il livello quali-quantitativo».
Carbon farming, i nodi da sciogliere
L'agricoltura può essere protagonista nella lotta ai cambiamenti climatici con il sequestro di anidride carbonica nel suolo. Su questo è intervenuto Bruno Basso, professore della Michigan State University. «Negli Usa c'è molto interesse e scaturisce dalla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, aumentare la sostenibilità, ma anche da strategie di mercato, finanza-Environment, Social e Governance (ESG)».
«Gli agricoltori – informa Basso - possono certificare crediti che poi possono essere scambiati liberamente sul mercato, come se fossero azioni. Tendenzialmente vengono acquistati dalle aziende che per legge devono compensare le proprie emissioni».
«La proposta - ricorda Sofia Maria Lilli dell’Università degli Studi di Perugia - del carbon farming nelle politiche europee punta a promuoverlo come una nuova fonte di reddito per gli agricoltori». «Tra le pratiche più diffuse connesse al carbon farming ci sono la lavorazione conservativa e le colture intercalari e di copertura, l’imboschimento e il rimboschimento secondo principi ecologici, la conversione mirata a maggese di terreni coltivati o la conversione di superfici messe a riposo in prato permanente nonchè l’agroforestazione».
Al momento il carbon farming presenta però alcune criticità da risolvere: l’onere finanziario connesso ai costi di gestione e l’incertezza circa le opportunità di guadagno, l’affidabilità delle norme che disciplinano i mercati del carbonio ma anche l’assenza, i costi elevati e la complessità dei sistemi di monitoraggio, comunicazione e verifica. «Ma sono molti i benefici che può portare – descrive Lilli-: una maggiore biodiversità, la riduzione dei gas serra, maggiore capacità di ritenzione idrica, contrasto all’erosione, terreni più resilienti e suoli più fertili oltre ad essere una nuova fonte di reddito per gli agricoltori».