Serve un intervento definitivo del legislatore sulla canapa per tutelare i cittadini senza compromettere le opportunità di sviluppo di un settore in cui hanno investito centinaia di aziende agricole (leggi qui tutte le esperienze di rilancio in corso pubblicate dal nostro sito). Lo afferma la Coldiretti nel commentare le motivazioni, pubblicate oggi, della sentenza emessa a fine maggio dalle Sezioni Unite della Cassazione sui limiti della legge 242 del 2016.
Superfici boom
«I terreni coltivati in cinque anni a canapa, ricorda la Coldiretti, sono aumentati di dieci volte, passando dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 stimati per il 2018».
E questo in tutte le regioni, dalla Puglia al Piemonte, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna.
La fantasia dei produttori
«Si tratta di coltivazioni, precisa infine la Coldiretti, che riguardano anche diverse esperienze innovative, con produzioni che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall'olio antinfiammatorio alle bioplastiche, fino a pasta, biscotti e cosmetici».
L'interpretazione di Assocanapa
All'indomani della sentenza del 30 maggio Assocanapa affermava che il preciso riferimento della Corte a foglie, infiorescenze, resina e olio (ammesso che non si intenda l'olio di semi di canapa che è un prodotto alimentare ma il cosiddetto olio di CBD) lasciava aperta la possibilità di commercializzare prodotti derivati considerati alimenti e cosmetici e gli altri elencati dalla legge purché derivanti da varietà iscritte nel catalogo comune (tenendo comunque conto che è soprattutto il boom del prezzo delle infiorescenze ad uso ludico che sta sostenendo la forte crescita delle superfici, leggi qui). Ora la pubblicazione delle motivazioni rende quanto mai necessario un intervento chiarificatore da parte di Governo e Parlamento.
La posizione della Cassazione:
«No a infiorescenze, foglie, olio e resina»
«Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie, infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)» e quindi vendere derivati della cannabis sativa è illegale. Lo spiega la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del 30 maggio scorso sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis sativa. Con sentenza depositata il 10 luglio 2019, le Sezioni Unite hanno affermato che è "illecita" la "cessione", la "messa in vendita", la "commercializzazione al pubblico" a "qualsiasi titolo" di "foglie, infiorescenze, olio e resina" derivati dalla coltivazione della cannabis light.
Il nodo giuridico
Così la Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 30 maggio, le sezioni unite penali della Corte hanno sciolto il “nodo” sui derivati della cannabis light, affermando che il commercio di questi prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti. La Corte richiama in proposito la giurisprudenza «che da tempo ha valorizzato il principio di concreta offensività della condotta, nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti oggetto di cessione», come ad esempio nei casi di "coltivazione domestica" di cannabis per cui è stato sancito che «è indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta», con principi ribaditi di recente anche dalla Consulta.
La valutazione degli effetti psicotropi
«Ciò che occorre verificare - si spiega nella sentenza - non è la percentuale di principio attivo contenuta della sostanza ceduta, bensì l'idoneità della medesima sostanza a produrre in concreto un effetto drogante». È un reato «l'offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati della coltivazione della Cannabis sativa», ma il giudice che si trova ad esaminare tali situazioni deve «verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione».
Lo scrivono ancora le sezioni unite penali della Cassazione, nella sentenza sulla cannabis light, spiegando che «si impone l'effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all'attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi». Il Testo unico sugli stupefacenti "incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis, senza operare alcuna distinzione rispetto alla percentuale di Thc che deve essere presente in tali prodotti».
«L'effettuata ricostruzione del quadro normativo di riferimento conduce ad affermare che la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis sativa - si legge ancora nella sentenza - che pure si caratterizza per il basso contenuto di Thc, vale ad integrare il tipo legale individuato dalle norme incriminatrici».