La quinoa potrebbe presto diventare un prodotto "made in Italy".
Lo pseudocereale delle Ande sta infatti diventando sempre più comune sulle nostre tavole per le sue elevate qualità nutraceutiche e perché priva di glutine, ma la sua coltivazione è oggi frenata dalla mancanza di varietà adatte alle nostre condizioni colturali e soprattutto al fotoperiodo delle nostre latitudini. A risolvere il problema ci ha pensato l’Università di Firenze con la messa a punto di "Quipu" una varietà adattabile alle nostre condizioni climatiche di quinoa.
Diritti depositati
L’Ateneo toscano ne ha depositato i diritti presso il Community Plant Variety Office per sfruttarne commercialmente l'utilizzo.
La quinoa è al centro dell’attività di ricerca a Firenze dal 1999 quando cioè il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI) ha assunto il coordinamento del programma “FAO-UNA-PERU American and European Test of Quinoa (Chenopodium quinoa)”.
Dalle Ande alla Valdarno
In questi anni sono stati condotti degli studi presso il “Centro per il Collaudo ed il Trasferimento dell’Innovazione” di Terre Regionali Toscane, a Cesa, in provincia di Arezzo fino alla messa a punto del “Quipu”, la prima quinoa italiana. Tutte le altre, coltivate nel nostro Paese e finora disponibili sul mercato, hanno avuto origine da varietà importate soprattutto dal Nord-Europa.
Ciclo precoce, tolleranza a siccità
«L’introduzione di questa specie – spiega Paolo Casini, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee – non è esclusivamente affidata all’utilizzo di varietà importate dall’Altopiano delle Ande, in quanto incapaci di adattarsi al nostro fotoperiodo». Il miglioramento genetico ha ridotto al massimo alcuni gravi problemi come l’incompleta maturazione, che altera inoltre la qualità nutrizionale della pianta e rende più difficoltose tutte le operazioni di post raccolta.
«Quipu – prosegue Casini – è caratterizzata da un ciclo precoce e da una buona tolleranza alla siccità. Caratteristica, questa, che la rende particolarmente interessante come coltura da introdurre, in semina di fine inverno, nelle rotazioni degli ordinamenti colturali non irrigui».