La filiera italiana del luppolo è ancora in fase emergente, caratterizzata da una struttura prevalentemente orizzontale e frammentata, che comprende piccoli produttori, microbirrifici e un numero limitato di trasformatori specializzati. Le aree coltivate a luppolo rimangono di piccole dimensioni e gli attuali volumi di produzione, così come la qualità del prodotto finale, spesso non sono sufficienti a garantire ai birrifici un approvvigionamento continuo né una qualità merceologica stabile nel tempo, confinando spesso l’uso delle produzioni nazionali alla sfera delle “harvest beer”.
Tuttavia, il crescente apprezzamento dei consumatori per i prodotti Made in Italy, insieme alla possibilità di produrre birra interamente con materie prime italiane (limitatamente a casi e stili brassicoli specifici), offre ai birrifici l’opportunità di rafforzare il proprio marchio territoriale migliorando il proprio posizionamento sul mercato. Per le aziende agricole, ciò potrebbe rappresentare un’opportunità d’ingresso in un segmento di mercato di nicchia, ma ad alto potenziale.
Dopo una campagna 2023 da dimenticare, i dati più recenti dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura confermano una ripresa del sentiero di crescita per il settore nazionale (https://lobit.crea.gov.it/2024/10/03/infografiche-crescita-luppolo-italia/). Sotto il profilo temporale, la superficie coltivata è passata da 67 ettari nel 2020 a 91 ettari nel 2024, con un totale di 192 aziende agricole coinvolte (fig. 1), la cui dimensione media si aggira intorno ai 5.000 m².
La coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni centrali e settentrionali, in particolare in Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, che nel 2023 rappresentano insieme il 54,4% della superficie nazionale coltivata a luppolo (fig. 2). Queste zone sono caratterizzate da condizioni pedoclimatiche generalmente favorevoli alla coltivazione della pianta, anche se gli eventi climatici estemporanei molto spesso mettono a dura prova le produzioni. Inoltre, sono proprio queste le regioni che maggiormente hanno puntato sulla produzione di birra artigianale, annoverando alcuni fra i produttori più strutturati del settore, in grado, quindi, anche di investire nella produzione e trasformazione delle materie prime da brassare nei propri stabilimenti. Al contrario, le regioni meridionali devono affrontare sfide maggiori, legate principalmente alle condizioni climatiche locali. Tuttavia, i cambiamenti climatici hanno incoraggiato strategie di diversificazione, con gli agricoltori che sperimentano sempre più spesso il luppolo come coltura complementare. Studi recenti indicano che mostra una promettente adattabilità alle condizioni agroclimatiche italiane (Marceddu et al., 2022, 2024), producendo luppolo di qualità soddisfacente in alcune regioni, tra cui Toscana e Lazio (Carbone et al., 2021). Inoltre, non bisogna dimenticare i limiti di tipo strutturale, come quelli connessi alla produttività degli impianti, e gli aspetti organizzativi-manageriali legati, spesso, alla mancanza di conoscenze tecniche per un’opportuna scelta varietale e management colturale professionale.
Per il 2025 non sono disponibili stime ufficiali, ma è verosimile una sostanziale stabilità dell’areale di produzione: i nuovi impianti crescono lentamente e le rese restano variabili, legate a fattori tecnici e climatici. La sfida, per i produttori italiani, potrebbe essere quella di puntare su varietà di nicchia più che sulla quantità.
In termini di produzione e di consumo, i dati diffusi nell’ultimo Annual Report da AssoBirra (2025) indicano che la produzione italiana di birra è stata pari a 17,2 milioni di ettolitri nel 2024, dato sostanzialmente in linea con l’anno precedente seppur in lieve flessione (-1,27%), ma in calo del 6% rispetto ai 18,3 milioni di ettolitri del 2022, quantitativo che ha rappresentato il volume più alto raggiunto nell’ultimo decennio. Tuttavia, gli attuali volumi di produzione rimangono sostanzialmente in linea con quelli osservati nel periodo pre-pandemia. In termini di consumo, il mercato interno ha assorbito 21,5 milioni di ettolitri di birra, corrispondenti a 36 litri pro capite. Nonostante il trend di crescita del consumo di birra, il consumo pro capite in Italia permane al di sotto della media Ue di 69 litri, evidenziando i limiti del mercato nazionale.
Europa colosso in contrazione
A livello globale, nel 2024 la superficie a luppolo ha raggiunto un’estensione di 55.715 ettari e una produzione vicina alle 113.500 tonnellate (BarthHaas, 2025). Dopo l’annus horribilis per il settore, il 2024 registra un’ulteriore riduzione delle superfici, in calo del 7,7% rispetto all’anno precedente, quando la contrazione era stata nell’ordine del 3,7%. I volumi di produzione, anch’essi negativi (-3,9%), segnalano una maggior tenuta rispetto a quanto osservato nel 2023, anno in cui il dato mondiale negativo ha superato gli undici punti percentuali.
Il continente americano, con oltre 40mila tonnellate prodotte e una superficie di circa 19.000 ettari, resta, insieme all’Europa, il polo principale per la produzione di luppolo. Il vecchio continente, in particolare, si conferma il cuore pulsante della produzione mondiale, con circa 32mila ettari coltivati nel 2024 e una produzione complessiva attorno alle 63mila tonnellate. Occorre tener presente che diversamente dall’America, dove calano sia le superfici che la produzione, in Europa si rileva una sostanziale tenuta delle superfici (-1,4% rispetto al 2023) e un aumento dei volumi prodotti (+7%). Nell’ambito dell’Unione europea, Germania e Repubblica Ceca guidano la classifica dei principali produttori, seguite da Slovenia, Polonia e Francia.
Per il 2025, l’International Hop Growers’ Convention stima un’ulteriore riduzione delle superfici, segnale di un mercato che sta cercando un nuovo equilibrio dopo anni di espansione eccessiva. Il ridimensionamento risponde a un contesto di surplus globale e a un rallentamento della domanda, soprattutto da parte dei birrifici artigianali, che negli anni scorsi avevano trainato la crescita. Le proiezioni indicano una produzione mondiale intorno a 108-110mila tonnellate, se le rese si confermeranno simili a quelle dell’ultimo raccolto.
Barriere all’ingresso
Ad ostacolare lo sviluppo della filiera del luppolo in Italia contribuiscono anche gli elevati costi iniziali richiesti per l’impianto di un luppoleto specializzato, a cui si aggiungono quelli relativi alla manodopera e le spese di gestione ordinaria. Un investimento iniziale considerevole, raramente supportato da politiche di sviluppo regionale adeguate, essendo il luppolo considerato una produzione agricola alternativa, a cui si aggiunge la necessità di disporre di impianti di trasformazione e stoccaggio per preservare qualità e conservabilità del prodotto, elementi imprescindibili e, spesso, non alla portata delle piccole aziende che vogliono inserirsi nel mercato. La situazione è ulteriormente aggravata dalla scarsa disponibilità di tali infrastrutture sul territorio, riflesso di una filiera nazionale ancora in fase di sviluppo e non pienamente consolidata.
Tali condizioni configurano una vera e propria barriera all’ingresso per i piccoli produttori, che raramente riescono a raggiungere economie di scala tali da ridurre i costi di avvio e raggiungere/superare il Break even point in pochi anni. La sostenibilità economica della coltura appare, quindi, più alla portata di operatori dotati di strategie di integrazione verticale come, ad esempio, i birrifici agricoli, o comunque orientati a investimenti di lungo periodo. In questa prospettiva, politiche agricole volte al sostegno della filiera, affiancate dall’adesione a forme di cooperazione o consortili che favoriscono la condivisione di investimenti e infrastrutture, si configurano come una delle leve più efficaci per favorire lo sviluppo di un settore ancora emergente.
Per i produttori italiani, una chiave per lo sviluppo della filiera potrebbe indentificarsi, dunque, sulla differenziazione del prodotto, privilegiando varietà di nicchia e produzioni di qualità, anche a discapito della quantità.
Nuove prospettive per l’Italia
Che cosa significa tutto questo per il nostro Paese? Se da un lato la produzione italiana è marginale nei numeri, dall’altro può beneficiare della fase di riassestamento globale: i piccoli produttori locali, grazie alla vicinanza ai birrifici artigianali e alla possibilità di offrire varietà particolari e far leva sulla territorialità del prodotto, possono ritagliarsi nicchie interessanti.
In un momento in cui i grandi Paesi produttori riducono le aree di coltivazione, valorizzare gli elementi qualitativi delle nostre produzioni e il legame con il territorio, potrebbe rappresentare una leva strategica per la crescita delle piccole aziende italiane, che potrebbero decidere di posizionarsi su nicchie di mercato ad alto valore aggiunto.
Inoltre, la possibilità di puntare su filiere corte e varietà aromatiche distintive potrebbe diventare un vantaggio competitivo per i produttori italiani, soprattutto per i birrifici che vogliono differenziare l’offerta nazionale e valorizzare l’identità territoriale. Oltre ai benefici diretti per i birrifici, questa dinamica rafforza anche le filiere agroalimentari, favorendo legami più stretti tra produttori agricoli e trasformatori, promuovendo così la resilienza economica locale e l’innovazione. Per le aziende agricole, la domanda emergente rappresenta non solo l’accesso a un segmento di mercato di nicchia ad alto potenziale, ma anche un percorso per contribuire allo sviluppo rurale attraverso la diversificazione dei sistemi di produzione, la conservazione del valore all’interno dei territori locali e il potenziamento della multifunzionalità in agricoltura.
Contributo realizzato nell’ambito del progetto LOB.IT
(Masaf, D.M. n. 667550; 30/12/2022)
Aggiornate le norme sulla certificazione
Con l’anno agricolo 2024 sono entrate in vigore le nuove normative europee sulla certificazione del luppolo e dei suoi derivati (Regolamenti di esecuzione Ue n. 2024/601 e n. 2023/2835 del 14 dicembre 2023), recepite dagli Stati membri produttori. È in corso il processo di digitalizzazione delle procedure, con l’obiettivo di semplificare il percorso dei certificati di accompagnamento: dalla prima certificazione del luppolo in coni fino alla successiva certificazione dei prodotti trasformati.













