Come sta il biologico in Italia? È un vero boom? Ci si può aspettare che cresca ancora? Possiamo essere entusiasti della crescita o semplicemente contenti o addirittura dovremmo essere delusi dai risultati raggiunti?
Partiamo quindi dal contesto. Il biologico è nato nel 1991 come sistema normato e certificato. Inizia a lasciare traccia statistica da quella data. Fino ad allora le aziende bio c’erano, ma non erano identificabili e quindi non esistevano statistiche.
Da quella data inizia un percorso di comunicazione, di diffusione del sistema, di politiche per sostenerlo, di riconoscimenti non solo in termini produttivi, ma anche ambientali e di mercato.
Siamo al tempo “zero”, quando le prime poche centinaia di aziende per ogni regione di Italia entrano nel sistema certificato, ma fanno fatica a vendere un prodotto che nessuno conosce. Il messaggio è quello di prima della certificazione: il prodotto del contadino che ci mette la faccia e garantisce che al prodotto “non ci dà nulla”.
Il cittadino intanto non sa neppure cosa sia il “qualcosa” che può essere dato a una coltura, quindi fatica a capire la differenza tra bio e non bio. Ma si fida e si affeziona.
Con il biologico parte anche il finanziamento per la “lotta integrata” attraverso il reg. 2078/92. Dopo i primi 7 anni abbiamo 54mila aziende biologiche, il che ci fa pensare che il sistema sia cresciuto molto. Ma potremmo anche guardare quante aziende invece hanno beneficiato del reg. 2078 e vediamo che le aziende in lotta integrata sono circa 2,4 milioni.
Questo vuol dire che solo il 2% delle aziende ha scelto di fare biologico: un risultato deludente per un regolamento europeo che doveva stimolare un’agricoltura sostenibile.
Poi gli anni a venire fanno un po’ da altalena tra picchi di crescita e leggere flessioni. Anche qui il commento cambia in base a quali numeri leggiamo.
Se gli ettari aumentano più degli operatori, significa che molte piccole aziende lasciano il bio, ma in cambio si certificano alcune di quelle più grandi.
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