Pene per complessivi sei secoli di carcere, 91 imputati condannati, dieci assolti, decine di aziende e società agricole confiscate per un valore di milioni di euro. È una sentenza durissima quella pronunciata dal tribunale di Patti nei confronti della mafia dei Nebrodi, le cosche del messinese che oltre a controllare i terreni agricoli e i pascoli della zona avrebbero messo a segno una truffa milionaria ai danni dell'Unione europea. Un maxiprocesso con 101 imputati, celebrato in tempi record, scaturito dall'Operazione "Nebrodi" che ha sgominato i clan della fascia tirrenica del messinese, quello dei Batanesi e quello dei Bontempo Scavo. I giudici del tribunale, rimasti in camera di consiglio per una settimana, hanno impiegato 35 minuti per leggere il dispositivo della sentenza.
La complicità dei funzionari dei Caa
La Dda di Messina ha impiegato 20 mesi per ricostruire l'organigramma dei clan svelando la complicità di prestanome e insospettabili professionisti. La "mafia dei pascoli" non c'è più, hanno sostenuto i pm. Al suo posto c'è una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi, capace di sfruttare le potenzialità offerte dall'Unione europea all'agricoltura. Prevalentemente su base familiare, in rapporti con Cosa nostra palermitana e catanese, la mafia dei Nebrodi ha continuato a usare vecchi metodi come la minaccia e la violenza, ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all'accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari.
Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, "rientrare in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce". I clan grazie all'aiuto di professionisti puntavano all'accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell'economia legale e - spiegò il gip - "depredandolo di ingentissime risorse". Sotto processo c'erano i capi clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. A fiutare l'affare milionario sono stati loro che, anche grazie all'aiuto di un notaio e di funzionari dei Caa che istruiscono le pratiche per l'accesso ai contributi europei erogati da Agea.
Soddisfatte le parti civili
Parti civili nel processo l'assessorato regionale Territorio ambiente, le associazioni Addiopizzo e Sos imprese, il Parco dei Nebrodi, il centro studio Pio Lo Torre, Agea, il Comune di Tortorici. Le indagini sono state inizialmente avviate su input anche dall'ex procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia ora procuratore a Palermo. In aula ad assistere alla lettura della sentenza anche Giuseppe Antoci, presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi, sfuggito miracolosamente a un agguato nel 2016. Era stato lui a denunciare il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei. «È un momento importante – ha commentato – abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia».
Grande soddisfazione per la sentenza è stata espressa anche dal direttore di Agea Gabriele Papa Pagliardini: «Questa affermazione della legalità dà più forza agli agricoltori e agli allevatori onesti».