Si parla tanto delle virtù morali della cooperazione, del suo concetto di reciprocità, dei suoi scopi mutualistici e del suo forte radicamento territoriale.
Sono valori congeniti ed esistenziali per noi, che vanno di pari passo con una solida strutturazione economica e con il nostro core-business: quello di fare impresa nell’agricoltura e nell’agroalimentare.
Per questo parto dalla fine: dai risultati.
In piena crisi (2011-2013), la cooperazione agroalimentare italiana ha registrato una crescita del proprio fatturato quasi doppia rispetto all’industria alimentare del Paese (+9% contro + 5%), per un giro d’affari di 36,1mld di euro l’anno.
Si tratta del 24% della quota complessiva dell’agroalimentare nazionale e del 36% degli approvvigionamenti della materia prima agricola. E gli indicatori registrano un’ulteriore crescita nel 2015, specie nelle esportazioni.
La cooperazione agroalimentare “interessa” per questo ai produttori: per i risultati che essa aiuta a conseguire in un sistema altrimenti frammentato in centinaia di migliaia di piccolissime imprese. Per rispondere alla storica domanda posta dall’economista Stefano Zamagni, quella cooperativa non è un’impresa che ha una sua ragion d’essere solo in contesti di lotta alla povertà ma un’organizzazione pragmatica che mira al profitto, che innova e che orienta. E questo pragmatismo è ciò che chiedono gli oltre 815mila soci di un’Alleanza – quella delle Cooperative italiane – che conta 92mila occupati e una struttura organizzativa che sta radicalmente mutando.
Ora, appurato come il sistema della cooperazione abbia tenuto in un periodo di grossa difficoltà del nostro primario, serve rilanciare.
Occorre innanzitutto omogeneizzare il sistema cooperativo su tutto il territorio italiano, con il Nord che da solo genera l’82% del fatturato nazionale; serve anche insistere sul processo di muscolarizzazione delle imprese, con meno centrali ma più grosse, più organizzate.
Perché se è vero che siamo il Paese con il maggior numero di cooperative, in Europa in termini di fatturato valiamo ancora molto meno rispetto a Francia e Germania.
Serve, in una parola, affermare definitivamente in ambito internazionale il modello italiano della cooperazione. Negli ultimi anni si sta riscontrando questa evoluzione, che porterà inevitabilmente a una maggior presenza sui mercati internazionali e all’ottimizzazione di risorse e know how fondamentali in chiave di redditività. L’Osservatorio sulla cooperazione agricola italiana realizzato da Nomisma segnala infatti come le coop con un fatturato oltre i 40mln di euro segnino incrementi in media 3 volte superiori rispetto a quelle con un giro d’affari tra i 2 e i 7 mln di euro.
Al di là dei trionfalismi di giornata e al netto del record storico del nostro export del settore, l’agricoltura italiana fatica ancora a esprimere le proprie potenzialità, con una redditività agricola che negli ultimi 15 anni è cresciuta oltre tre volte meno rispetto alla media europea, un valore della produzione che ancora stenta a decollare e diverse filiere in difficoltà.
Difficoltà che l’Alleanza delle Cooperative è convinta di poter superare attraverso il proprio modello, nato 150 anni fa come strumento di auto-organizzazione per rafforzare il proprio profilo competitivo e ora in grado di rispondere meglio di altri alle sollecitazioni dei mercati.
di Giorgio Mercuri
Presidente Alleanza delle cooperative agrolimentari