Negli ultimi anni, grazie agli incentivi pubblici per la generazione di energia elettrica da fonte rinnovabile, la filiera della digestione anaerobica (Da) di biomasse agricole si è notevolmente diffusa. In Europa, 29 paesi prevedono forme di incentivazione per la generazione di elettricità da biogas, nella maggior parte dei casi si tratta di feed-in-tariffs. Nel 2014, secondo EurObserv’ER, circa 8,2 TWh di elettricità sono stati prodotti dai 1.713 impianti di biogas in funzione. Ciò pone l’Italia in seconda posizione per quanto riguarda lo sviluppo del biogas agricolo dopo la Germania, che, con 8.726 impianti, 3.905 MW di potenza elettrica installata e 29 TWh di elettricità prodotta è il primo produttore mondiale di energia elettrica da biogas.
Sebbene la Da di biomasse agricole e in particolare di matrici residuali come i reflui zootecnici e i sottoprodotti agro-industriali, sia stata riconosciuta in molti studi come una soluzione efficace per la riduzione delle emissioni di gas serra (Ghg) non è possibile generalizzare riguardo alla sua sostenibilità ambientale. Infatti, oltre alle emissioni di Ghg, altri impatti ambientali vanno valutati contestualmente. Sarebbe irrazionale, oltre che sbagliato, incentivare un impianto che da un lato riduce le emissioni di gas serra e dall’altro aumenta, ad esempio, l’acidificazione del terreno o l’eutrofizzazione delle acque. Soprattutto quando i digestori sono alimentati prevalentemente con insilati e non si ha la valorizzazione del calore prodotto, l’impatto dell’elettricità prodotta può, per alcuni effetti sull’ambiente, essere superiore a quello dell’elettricità prodotta da fonte fossile.
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