Le esportazioni di frutta e verdura made in Italy, purtroppo, continuano a segnare il passo. Lo rivelano le elaborazioni di Fruitimprese sui dati Istat relativi al commercio estero ortofrutticolo italiano nel 2018.
L’export perde quasi 447.000 tonnellate di prodotto (-11,2%) e si ferma in valore appena sotto 4,6 miliardi (-6,3%) Anche l’import frena, ma con perdite più contenute (-0,4% in quantità e -0,9% in valore). E, anche se il saldo economico resta positivo, si allontana dal record del 2017 (1 miliardo di euro) per fermarsi a 781 milioni (-26,2%). Tutte negative le voci del nostro export, tranne gli agrumi (+7,1%). Il calo più rilevante riguarda la frutta fresca che perde 400mila tonnellate di prodotto e in valore oltre 300 milioni (-11%). Le quantità di prodotti importati ed esportati si equivalgono, anzi l’import è di poco superiore (6.671 tonnellate). A fronte di un calo dell’export di frutta fresca c’è un aumento dell’import in valore (+4,6%).
«Il quadro, inutile nasconderselo, è molto preoccupante», esordisce Michelangelo Rivoira vicepresidente nazionale di Fruitimprese, patron dell’omonimo gruppo piemontese. «E, quel che è peggio, le cose stanno ancora peggiorando. La Russia è un mercato perso che non recupereremo mai più, anzi forse diventeranno in futuro nostri concorrenti. Nei Paesi del Nord Africa, che erano nostri buoni clienti, le primavere arabe sono sfociate in una spaventosa crisi economica e in una pericolosa instabilità politica. Intanto in Europa ci si fa concorrenza tra partner, ma i Paesi dell’est sono avvantaggiati perché ricevono più aiuti da Bruxelles, hanno meno costi produttivi e molta meno burocrazia della nostra, che ha raggiunto livelli asfissianti per le imprese. La nostra qualità e il nostro servizio sono migliori, ma i concorrenti si stanno organizzando».
«Le 400mila tonnellate di export di frutta fresca perse da un anno all’altro ci colpiscono al cuore perché rappresentano una perdita grave per tutto il made in Italy e sono tanto più gravi se consideriamo che nei mercati del Far East e del Medio Oriente mancava il prodotto americano, che quest’anno tornerà. Ad esempio in India nel 2018 abbiamo esportato bene le nostre mele con la concorrenza Usa ridotta al lumicino, ma quest’anno la musica cambia», continua Rivoira.
La politica, il Governo non possono stare a guardare: «Non c’è altro rimedio che cercare nuovi sbocchi, aprire nuovi mercati. Perché la Cina può esportare in Europa la sua frutta e noi non possiamo portare le nostre pere e mele in Cina? Non ha senso. Ci sono enormi possibilità in Paesi che ci chiedono il nostro prodotto, come Thailandia e Vietnam, dove però sono scaduti, o mancano, i protocolli sanitari. Abbiamo fatto accordi commerciali con gli Usa che non hanno funzionato perché erano (e sono) nostri concorrenti. Tempo perso. Dobbiamo puntare solo sui mercati che non possono produrre la nostra frutta».
«Servono Tavoli dove le imprese e la politica lavorino insieme per aprire nuovi mercati. Non c’è altra via. Siamo penalizzati da costi energetici, del lavoro, del fisco, della previdenza più alti degli altri, da una burocrazia che è una vera palla al piede delle imprese. Impensabile che la situazione cambi, sono battaglie perse. Solo allargando la platea dell’export daremo un futuro alla nostra ortofrutta, inutile pensare a km zero o vendita diretta, misure non in grado incidere. Qui rischiamo una reale emarginazione su mercati e su prodotti dove eravamo leader. Sento parlare in questi giorni di Via della seta. Mettiamoci anche le nostre mele, la nostra frutta su questa Via e faremo un reale servizio al Paese», conclude Rivoira.
Agrumi in controtendenza
Salvo Laudani, membro del Consiglio di Fruitimprese e vicepresidente di Freshfel, si dice soddisfatto per la performance degli agrumi: «Indubbiamente la campagna 2017/18 ha visto una buona disponibilità di prodotto e di ottima qualità, così siamo stati in grado di presidiare efficacemente il mercato italiano e i mercati esteri, spuntando buoni prezzi. Abbiamo esportato di più e la capacità di rifornire il mercato interno ha fatto calare drasticamente le importazioni. Le destinazioni estere prevalenti delle nostre arance sono Germania, Svizzera e Francia; per i limoni i primi tre mercati sono Germania, Francia e Austria. E comunque l’Europa resta la destinazione prevalente del nostro export».
Sul settore restano però irrisolti la questione Tristeza e il nodo del rinnovamento varietale: «Le nuovi cultivar - aggiunge Laudani - specie quelle pigmentate, su nuovi portinnesti tolleranti al virus, offrono grandi opportunità. Ma gli ettari riconvertiti sono ancora una piccola percentuale. Se la nostra filiera agrumicola non accelera, con un piano che stimoli e aiuti gli imprenditori agricoli a investire, rischiamo seriamente di non cogliere queste opportunità».