Evolvere significa trasformarsi gradualmente, progredire, raggiungere un livello più elevato, e la ristorazione in questo senso, sta evolvendo e crescendo: con 41 miliardi di euro di valore aggiunto, è il settore trainante della filiera agroalimentare italiana, complessivamente più rilevante di Agricoltura e Industria Alimentare. Dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi - si evince che bar e ristoranti si confermano il volano della ripresa dei consumi delle famiglie italiane che nel 2017 hanno speso, per mangiare fuori casa, oltre 83 miliardi di euro, il 3% in più dell’anno scorso.
Si esce di casa per mangiare, ma non si va al ristorante per nutrirsi. Oggi viviamo una dimensione che supera il mero soddisfacimento dei sensi, per giungere al bisogno di godere dei contenuti immateriali del prodotto, quelli che attraverso la narrazione delle componenti storiche, territoriali, culturali e paesaggistiche soddisfano il desiderio di “autenticità” che compensa il senso di alienazione che nella moderna civiltà industriale fa sentire le persone lontane dalle proprie radici: si ricerca in ogni elemento di consumo una identità.
I nuovi bisogni legati ai mutati stili di vita si possono declinare nei diversi requisiti della qualità di un alimento: salute, naturalità, storia, sincretismo, sensorialità. Denominatore comune di queste declinazioni è il sapere, la necessità di conoscere ed essere consapevole che alberga in ogni consumatore contemporaneo. Tra gli alimenti che meglio di tutti potrebbero soddisfare questi cinque requisiti della qualità, contribuendo a migliorare il marketing nella ristorazione, senza ombra di dubbio c’è l’olio extra-vergine d’oliva, relegato ancora ad elemento indistinto “incluso nel prezzo”. Condire è una azione nobile, significa rendere piacevole, arricchire di profumi e sapori un piatto, e lo si può fare solo con un olio fresco e di alta qualità. L’extra-vergine di oliva è l’unico olio ricco di antiossidanti e che fa bene alla salute, naturale perché estratto solo con mezzi meccanici, ricco di migliaia di anni di storia, in grado di fondere in sé elementi sacri e profani e di evocare, con le sensazioni vegetali che sprigiona, ricordi, memorie, emozioni, aspettative di gusto.
L’olio è davvero gratis?
Oggi nella ristorazione l’olio è gratis. È chiaro che la gratuità di un alimento è paradossale in un ambiente in cui neanche l’acqua è gratis, ed è, di fatto, il limite maggiore all’imposizione di una forte e radicata cultura di prodotto capillarmente diffusa tra i consumatori. La gratuità pone il ristoratore nella posizione di garantirsi il profitto che ritiene equo, scegliendo prodotti a basso costo, ed il consumatore nella condizione di tollerare anche ciò che non gradisce sula scorta del retaggio per cui “a caval donato non si guarda in bocca!”. Il consumatore si persuade che tutto ciò che si riceve in regalo è qualcosa di guadagnato e, di conseguenza, non si deve essere troppo schizzinosi sulla qualità del dono. Ma c’è da chiedersi: l’olio al ristorante è davvero gratis? Parafrasando Michael Pollan che ci ricorda che il cibo a basso prezzo è un’illusione - il cibo gratis non esiste il vero costo del cibo alla fine viene pagato da qualche parte – e se non si paga alla cassa lo si paga dopo con l’ambiente e la nostra salute - dovremmo ricordare a tutti che gli oli di bassa qualità sono meno dotati di sostanze benefiche e più ricchi di molecole ossidate, a loro volta pro-ossidanti e in grado di promuovere nel nostro corpo la formazione di radicali liberi che possono danneggiare e compromettere la funzionalità delle membrane delle nostre cellule, degli enzimi e del Dna promuovendo i fenomeni di invecchiamento e incrementando il rischio di malattie.
L’intransigenza che il cliente mostra nei confronti del servizio di una bottiglia d’acqua non sigillata non dovrebbe essere ancora maggiore nei confronti di un olio, il cui consumo può influenzare nel lungo periodo la nostra salute?
Chi più spende meno spende
Un olio scadente può far diventare mediocre anche un grande piatto. L’idea che risparmiare sull’olio possa essere economicamente vantaggioso naufraga pensando che gli oli cattivi spesso possiedono pessimi difetti olfattivi, che vengono percepiti dal cliente prima ancora di assaggiare. Poiché l’olfatto è il senso della memoria, e gli odori che percepiamo sono sempre carichi di emotività, un cattivo odore può suscitare stati d’animo associabili all’esperienza del disgusto o del pericolo legato all’ingestione dell’alimento. Non basterà la migliore presentazione a compensare la delusione olfattiva. Lo stesso potere evocativo dei profumi può essere sfruttato per rafforzare il desiderio di assaggiare e di godere della pietanza.
Aggiungere un buon olio, naturalmente quando il piatto è giunto a tavola, significa donare, a chi è in attesa di mangiare, uno straordinario viaggio di immaginazione che attraverso la successione di note odorose che si liberano per contatto con gli ingredienti tiepidi o caldi, fondendosi e armonizzandosi con gli altri elementi, preannuncia il gusto e la gratificazione che deriveranno dal successivo assaggio. Aggiungere l’olio in cucina significa defraudare gli ospiti della porzione più effimera ed ineffabile del condimento, che fuggendo nell’atmosfera non potrà essere apprezzata come elemento in grado di creare una nuova ritualità.
Miti e riti
Il rito è una consuetudine, una cerimonia che celebra istanti importanti e che hanno valore. L’olio per più di cinquemila anni è stato parte integrante dei riti religiosi. Dalle civiltà pagane all’odierno cattolicesimo l’olio di oliva è stato considerato elemento di unione dell’umano col divino: era utilizzato per ungere le statue, preparare unguenti e per glorificare gli eroi. Oggi è un alimento profugo della sua sacralità, e lo scempio di oliere unte e bisunte e bottiglie rabboccate, nonostante le leggi in vigore, sviliscono il suo valore agli occhi di chi lo consuma, trasferendo anche in ambito domestico lo stesso vilipendio. Il nuovo altare per il sacro condimento dovrebbe essere proprio il ristorante, luogo di scoperta gastronomica dove chef e responsabili di sala, sacerdoti della religione gastronomica, possono ambire al massimo ruolo di celebranti del gusto, ambasciatori del prodotto e dei sui impieghi, dai più tradizionali ai più innovativi. Come si può assistere a tanta ostentata solennità nei confronti del vino e altrettanta indifferenza per l’olio?
Olio e vino: le affinità elettive
Goethe nel romanzo “Le affinità elettive” parla delle differenza tra olio e vino: «Alcuni si incontrano come amici e vecchi conoscenti che subito si uniscono e si accordano senza mutarsi reciprocamente in nulla, così come si mischiano l’acqua e il vino. Altri invece restano estranei uno accanto all’altro e non si congiungono neppure quando siano mescolati e strofinati meccanicamente; così come l’olio e l’acqua che, agitati assieme, tornano immediatamente a separarsi». Differenze insormontabili, che nell’antichità vedevano favorito, in termini di valore, l’olio: “Mercante di vino, mercante poverino, mercante d’olio, mercante d’oro”. Nell’ultimo secolo numerose condizioni positive ma anche vicende avverse, come lo scandalo del metanolo, hanno costretto il consumatore a porre attenzione alla scelta del vino, con una progressiva crescita del livello qualitativo globale del prodotto ed una migliore diffusione della sua cultura.
Seppure sia vero che ogni parallelismo tra il mondo del vino e quello dell’extra-vergine d’oliva dovrebbe essere accuratamente evitato per la differente storia e la diversità nelle modalità d’uso dei due prodotti a tavola, piani di confronto possono essere individuati per generare opportunità di mercato per una valorizzazione dell’olio che possa assicurare sostenibilità economica e sociale per i diversi attori della filiera.
Due mondi in antitesi possono convergere?
I numerosi aspetti contrapposti tra i due prodotti, olio e vino, non lascerebbero margini di confluenza nei modelli di consumo, eppure c’è un settore nel quale l’extra-vergine dovrebbe “imitare” la bevanda alcolica: il mondo della ristorazione.
La bottiglia d’olio, come il vino, deve essere aperta a tavola, celebrando gli elementi distintivi del prodotto che si sta servendo, che sarà possibile apprezzare grazie al fatto che, nella bottiglia sigillata, gli aromi e i sapori saggiamente plasmati dal sapiente frantoiano si preservano per offrirsi, intatti, all’incontro con i sensi. Il momento migliore ed irripetibile, dal punto di vista della gratificazione edonistica, corrisponde a quei brevi secondi in cui le prime gocce d’olio cadono sul piatto e le molecole volatili a basso peso molecolare si liberano investendo il volto e penetrando nelle narici. È lì che nel cervello si crea una aspettativa avida di gusto che desidera essere soddisfatta attraverso l’assaggio. Se chi serve l’olio saprà narrare il prodotto, riuscirà a creare lo spazio silenzioso dell’attenzione del cliente che si concederà il tempo per ascoltare un racconto, osservare il piatto nei suoi volumi, forme e colori, pregustare il sapore in un crescendo di desiderio stimolato dalla percezione dei profumi che si sprigionano ed infine soddisfare l’attesa attraverso l’assaggio che concederà al gusto ed al tatto, nella bocca, di essere enfatizzati dal condimento oleoso che è veicolo e amplificatore di sapori. L’esclusività dell’apertura di una bottiglia (o più) per tavolo richiede che le bottiglie d’olio siano di piccole dimensioni, non più di 100 millilitri, con il vantaggio che un piccolo prezzo per la singola bottiglia si traduce in un valore interessante al litro per il produttore (se la bottiglia d’olio da 100 ml si vendesse a 3 euro, significherebbe raggiungere un valore di circa 30 euro a litro). Una piccola bottiglia, a dimensione di borsetta, potrà essere portata anche a casa, consentendo all’azione di marketing di proseguire anche in ambito domestico, influenzando gli acquisti successivi.
L’importanza della motivazione
L’innovazione nei processi commerciali passa per la necessità di soddisfare bisogni espliciti o inespressi. Per modificare la modalità di servizio e introdurre innovazioni nel modello di marketing dell’olio extra-vergine d’oliva al ristorante, a partire dalla necessità di trasformare il condimento da costo in profitto, occorre trovare le giuste leve per convincere il consumatore dell’opportunità del cambiamento, spingendolo all’esterno della “zona di comfort” del “prodotto incluso nel prezzo” e individuando le giuste motivazioni.
Nuovi bisogni generano inevitabilmente nuovi servizi, e rappresentano il fattore stimolante che produce cambiamenti. Le motivazioni possono spaziare dal più elementare bisogno di igiene, garantita solo dalla bottiglia chiusa, che non sia stata già maneggiata da altri e che nella sua integrità può assicurare la corrispondenza tra contenuto ed etichetta, alle più evolute necessità di tutela delle molecole antiossidanti ad azione salutistica, e al bisogno di gratificazione che può derivare dalle diversificate proprietà organolettiche frutto della variegata biodiversità olivicola e delle differenti tecnologie di produzione, apprezzabili a pieno solo se la bottiglia è appena aperta.
Nessuno al ristorante berrebbe con piacere se fosse servita una bottiglia di vino aperta da giorni, magari spostata da un tavolo all’altro alla mercé dei diversi avventori. Con ancora più sconcerto rifiuteremmo di bere dell’acqua sgasata da una bottiglia parzialmente svuotata.
Se l’olio è in una confezione aperta da tempo perde le molecole volatili perdendo la complessità del profilo olfattivo e, a causa dei più rapidi processi ossidativi, si addolcisce nel gusto e può manifestare difetti, anche assorbendo odori dall’ambiente circostante.
Accanto a questi bisogni che riguardano la sfera materiale del prodotto, nuove necessità immateriali possono motivare le scelte alimentari e modificare le modalità di acquisto e consumo dell’olio al ristorante; tra questi sicuramente il bisogno di mangiare consapevolmente, di conoscere ed apprendere informazioni su tutto ciò che si ingerisce. Il bisogno di conoscere nasce, infatti, quando altri bisogni sono già soddisfatti, e consente di essere consapevoli delle proprie decisioni attribuendo valore a ciò che si sceglie. La consapevolezza è il primo dei tre passi che un cliente deve compie per decidere se pagare o meno per un servizio o un prodotto. Acquisire le informazioni sull’olio extra-vergine d’oliva (unico olio derivante da frutto e non da seme, estratto solo con mezzi meccanici e non chimici, ricco pertanto di molteplici proprietà organolettiche e salutistiche ecc.) consente di valutare con obiettività il rapporto tra costi e benefici derivanti dall’acquisto e di decidere, senza remore, se ne valga la pena. Le persone che scelgono di mangiare fuori casa, e in particolare al ristorante, desiderano vivere un’emozione associata al cibo, un’esperienza da ricordare.
Carta degli oli: biodiversità e territori
La carta degli oli, declamata, desiderata, invocata, oggi è ancora una chimera, se non in qualche raro ristorante dove l’aspettativa creata dalle ricche descrizioni naufraga sul carrello degli oli composto da decine di bottiglie aperte da tempo indeterminato e probabilmente non più fedeli alla promessa fatta redigendo l’offerta.
L’idea della carta degli oli tuttavia non è affatto sbagliata. Il marketing della ristorazione ha moltiplicato i profitti editando le più svariate tipologie di carte per stuzzicare la curiosità dei consumatori più esigenti: acqua, thè e tisane, aceti, birre, caffè, pane, formaggi. La lista degli alimenti che si prestano ad avere una carta specifica si moltiplicano. Le diverse carte assolvono tutte al medesimo scopo: costituiscono uno strumento di vendita che offre al cliente l’opportunità di scegliere confrontando caratteristiche e prezzi. Finché l’olio sarà gratis non potrà permettersi di avere una sua carta perché il ristoratore è innanzitutto un imprenditore che ha deciso di investire del capitale nell’attività ristorativa, ovvero un’attività che risulta caratterizzata dal rischio, e ogni servizio aggiuntivo deve avere l’equo ritorno dell’investimento.
Nel caso del vino i prezzi riportati sulla carta hanno un ricarico medio di due volte e mezzo rispetto al prezzo di acquisto dal distributore. La cosa non deve stupire perché il ricarico è legato alla necessità di garantire una ampia scelta di etichette che si traduce nella esigenza di investire per assortire la cantina con il rischio di non vendere il prodotto.
Alla luce di quanto esposto la carta degli oli deve essere considerata il punto d’arrivo e non di partenza. Deve rappresentare la meta di un percorso che nasce dalla presa di coscienza da parte degli chef della capacità che ha l’olio di qualità di valorizzare un piatto e dalla cultura di prodotto che deve possedere il personale di sala per presentarlo adeguatamente, per arrivare alla creazione della consapevolezza, nel consumatore, del valore edonistico e salutistico dell’extra-vergine necessaria a determinare la disponibilità a pagare.
Alleato della carta degli oli non può certamente essere il carrello delle bottiglie. Se la carta ha lo scopo di esaltare le caratteristiche delle varietà, il produttore, il sistema di estrazione e le ricadute sull’esperienza di gusti, profumi e abbinamenti che possono scaturire, occorre costruire accanto alla carta un modello di conservazione e servizio che tengano l’olio extra-vergine d’oliva al riparo da luce, calore, ossigeno che ossidano e causano l’irrancidimento dell’olio. Tenendo conto della breve shelf life dell’olio, la creazione di una oleoteca nel ristorante si associa ad un rischio economico nell’investimento molto più alto che nel caso del vino, soprattutto se si amplia la varietà dell’offerta. Sarà opportuno scegliere contenitori di piccole dimensioni (100 ml) da conservare in ambienti al riparo dalle escursioni termiche, garantendo la catena del buio e l’assenza di umidità ed odori estranei.
Guardando a quanti sforzi sono stati compiuti negli ultimi anni per tentare di avvicinare il consumatore medio al riconoscimento delle qualità dell’olio extra-vergine di oliva, c’è da chiedersi se sia corretto utilizzare l’analisi sensoriale, intesa come metodo per la valutazione organolettica degli oli vergini d’oliva, quale strumento per introdurre il consumatore all’universo degli oli d’oliva. Se è vero, come è vero, che il consumatore cerca una esperienza gratificante, l’approccio con gli oli moderni e di qualità, ricchi di profumi equilibratamente amari e piccanti diventa ostico e complesso perché che poco hanno a che fare con il gusto degli oli che venivano consumati comunemente fino a poche decine di anni fa, frutto di obsolete tecniche estrattive e pratiche sconsiderate, ma che fanno parte dell’immaginario collettivo e rappresentano la pietra di paragone del confronto interiore. L’olio va presentato sempre in abbinamento a del pane, magari caldo per una entrée leggera mentre si attendono le portate principali già ordinate ed in preparazione.
Nessun ristorante è un’isola
Per il mondo della ristorazione il territorio non è uno spazio semplicemente contiguo al luogo nel quale il ristorante è collocato ma un è paesaggio e cultura all’interno dei quali esprimere il talento enogastronomico. Ogni buon ristorante dunque è una componente integrante di una comunità. Per i ristoranti nelle regioni a vocazione olivicola il ristoratore deve divenire alleato di frantoiani e olivicoltori promuovendo attivamente una vigorosa cultura di prodotto. Dall’alleanza con il frantoiano, il ristoratore guadagna la garanzia della costanza di standard elevati di prodotto; a sua volta il frantoiano ha interesse ad allearsi con l’olivicoltore perché la qualità dell’olio nasce in campo dalla cura dell’oliveto; il ristoratore deve allearsi con l’olivicoltore, perché è custode del territorio e del paesaggio, elementi inscindibili del prodotto e dell’offerta eno-gastronomica.
Allearsi significa garantire l’equo profitto a tutti i soggetti della filiera. Un olivicoltore che svolge un’attività non remunerativa perde interesse nella cura dell’oliveto. L’abbandono corrisponde alla distruzione della bellezza del paesaggio, che è parte del valore immateriale del prodotto servito a tavola. Se non c’è più spazio per una olivicoltura che garantisca reddito, presto non ci sarà spazio per il turismo e le attività ricettive coinvolte.
LA CARTA DEGLI OLI DEL FUTURO SARÀ SALUTISTICA
Un recente studio condotto dal gruppo del prof. Antonio Moschetta del Dipartimento Interdisciplinare di Medicina dell’Università degli Studi di Bari pubblicato sulla rivista Biochimica et Biophysica Acta (vol. 1861(11): pagg.1671-1680) dimostra che i polifenoli dell’extra-vergine hanno un potente effetto benefico sulla nostra salute, soprattutto un’azione antinfiammatoria e antitumorale. La ricerca nel settore della nutrigenomica, che ha per protagoniste due varietà pugliesi, Coratina e Peranzana, dimostra che oli extravergini d’oliva provenienti da cultivar diverse svolgono nell’organismo differenti azioni determinando l’espressione di geni specifici. Identificando geni e microRNA deputati al funzionamento delle cellule infiammatorie, ne è stata valutata, nei pazienti che hanno preso parte alla sperimentazione, l’espressione in funzione dell’assunzione di oli di cultivar differenti che si differenziavano principalmente per il profilo quanti-qualitativo dei polifenoli. È possibile prevedere che in un prossimo futuro ogni ristoratore dovrà avere, insieme alla carta dei vini, anche quella degli oli, e che la scelta di questi ultimi sarà basata sull’origine, sulle cultivar e relative caratteristiche organolettiche ed infine sulle proprietà nutrigenomiche: un olio giusto per ogni patologia.
TAPPO ANTIRABBOCCO
Con l’entrata in vigore della legge comunitaria 2013-bis (articolo 18, legge 161/2014) è obbligatorio dal 25 novembre 2014 che l’olio extra-vergine di oliva, e anche il vergine, venga proposto al consumatore con il tappo antirabbocco. Pena una sanzione da 1000 a 8000 euro. Eppure al ristorante sono fuorilegge tre contenitori di olio d’oliva su quattro.
È quanto emerge da un’indagine della Coldiretti: il 76% delle oliere non rispetta infatti l’obbligo del tappo antirabbocco entrato in vigore da più di quattro anni. Secondo la stessa indagine nel 33% dei casi sulla tavola al ristorante c’è un’oliera senza alcuna indicazione sul contenuto, nel 43% delle volte una bottiglia di olio con etichetta, ma con tappo che permette il rabbocco, e solo nel 24% dei casi viene servita una bottiglia di olio con etichetta e tappo antirabbocco a norma di legge.
Il tappo antirabbocco è una tutela per produttori, consumatori e ristoratori nei confronti della concorrenza sleale di chi spaccia come extra-vergine un prodotto di bassa qualità.