Dopo un periodo di estrema volatilità e tensione per tutte le commodity agricole, si è entrati in una fase di rallentamento anche per l’avvicinarsi di un momento critico per la cosiddetta speculazione esogena di molti Fondi d’investimento che iniziano a monetizzare i margini acquisiti finora. I prezzi dei cereali a paglia registrano una flessione e con essi anche gli orzi che sulle piazze europee hanno rapidamente ripiegato dai recenti massimi di oltre 400 €/t. A motivare l’inversione una sensibile riduzione della domanda internazionale, soprattutto asiatica, con un aggiornamento delle stime di domanda cinese, che nonostante l’attesa sul 2022/23 di volumi in entrata di oltre 10 mln/t, sul breve latita imponendo debolezza alle quotazioni.
Comunque, in assenza dell’offerta australiana (ormai limitata) e con i perduranti dubbi sulla possibilità di vedere uscire cereali dall’Ucraina, la pressione commerciale andrà sulle origini europea (Francia in primis) e canadese. Se oggi la richiesta di orzo sul pronto è inferiore alle attese, lo è altrettanto la preoccupazione che sale in Centro Europa per quella carenza idrica nel terreno che potenzialmente limita i raccolti 2022. Negli ultimi giorni in Francia si sono verificati temporali, ma l’entità delle precipitazioni è stata troppo scarsa per risolvere il problema e soprattutto a macchia di leopardo; il verdetto finale nelle prossime settimane, con le fonti statistiche che riducono lo stato “ottimo” delle colture dal 79% all’attuale 70%. Parafrasando Vincenzo Monti si potrebbe dire che se l’Europa è seria, il Canada non ride. In queste settimane il clima eccessivamente piovoso ha di fatto bloccato a percentuali sotto al 10% le semine nelle “prairies” Nordamericane, con il Manitoba al 5% e il Saskatchewan sotto il 30%; molto meno del 50% raggiunto al 25 maggio del 2021.
Da mesi si ripete che alle produzioni 2022 non è consentito fallire e un qualsiasi incidente meteo porterebbe nuovamente gli orzi (e non solo) nel baratro anche per le minori scorte presenti nei magazzini al termine della campagna scorsa che statisticamente si andrà a chiude il 31 maggio. Oggi si fatica a trovare venditore e le quotazioni restano tenute, con la domanda che si mantiene cauta nell’accettare i prezzi correnti per consegne oltre l’estate. Da settembre in poi, salvo ulteriori tsunami politico/commerciali (dazi e blocchi dell’export) o bellici (anche a Taiwan la “temperatura” sale), gli operatori sono possibilisti su un mercato più stabile, che però non è automaticamente sinonimo di ribassista.