Mais da trinciato, come combinare rese elevate e alta digeribilità

    Foto Claas
    Massimizzare questi due parametri è assolutamente fattibile. Ne abbiamo parlato in occasione di un recente webinar organizzato in collaborazione con KWS Italia

    È un dato di fatto che il mais da trinciato sia oggi nella zootecnia da latte un foraggio base, in grado di apportare buona parte dell’energia necessaria. Ma perché possa continuare a giocare questo ruolo deve rispondere a precise caratteristiche qualitative, prima fra tutte quella della digeribilità, oltre ovviamente a garantire rese quantitative di un certo livello.

    Il tema della digeribilità del mais da trinciato è stato quindi l’oggetto di un webinar organizzato da Edagricole in collaborazione con KWS Italia, per delineare lo stato dell’arte e capire come massimizzare questo parametro. A partire dal campo, cioè dalla gestione agronomica della coltura del mais, che risente molto dei cambiamenti climatici degli ultimi anni.

    La gestione agronomica

    «Da un’analisi dell’andamento dei gradi di somma termica nel mais a partire dagli anni 80 – ha spiegato Giorgio Borreani dell’Università di Milano – la stagione vegetativa ha registrato una continua crescita, ovvero la stagione del mais si è ampliata di circa il 30% rispetto a quella negli anni 80, con un anticipo della fioritura addirittura di un mese. Lo stesso vale per la maturazione, per cui oggi si raccolgono dei trinciati giù a metà agosto, mentre il periodo classico era nel mese di settembre. Se questo trend comporta dei vantaggi, allo stesso tempo ha dei risvolti negativi, come ad esempio quello di rendere la pianta più suscettibile ad attacchi di Aspergillus flavus e quindi di aflatossine. O di rendere necessarie due irrigazioni in più rispetto a 36 anni fa, perché l’evapotraspirazione è aumentata di oltre 160 mm».

    Al di là dell’andamento meteo, altri fattori agronomici influiscono sulla resa produttiva del mais da trinciato. «Il controllo delle malerbe nel mais è fondamentale – ha proseguito Borreani – perché con l’aumentare del numero di piante infestanti per metro quadro, ovviamente diminuisce la potenzialità produttiva. E sempre più importanza riveste la rotazione colturale, in particolare se effettuata con leguminose, in termini di migliore gestione delle infestanti e maggiore resa per ettaro (+12/13%) rispetto a monosuccessioni lunghe».

    Ma l'aspetto agronomico più importante è la scelta dell'epoca di raccolta del mais. «Se si va verso maturazioni più avanzate per la valorizzazione dell'amido (60-70% di linea lattea) – ha proseguito Borreani – si può arrivare a un 25% in più di energia. Allo stesso modo anche l'epoca di semina, che negli anni si è spostata sempre più in avanti, influenza la produzione di trinciato, con un declino della potenzialità produttiva nel caso di semine dopo la seconda metà di maggio. Infine – ha concluso Borreani – la concimazione. Le dosi ottimali di azoto per trinciato e pastone vanno dai 180 ai 300-320 kg/ha in funzione delle potenzialità produttive del suolo.

    Apporti superiori non determinano aumenti produttivi e una concimazione calibrata con gli asporti permette di dimezzare l'urea in copertura e di ridurre il fosfato bioammonico e il cloruro di potassio, senza inficiare la resa produttiva. Recentemente abbiamo valutato l’effetto di consorzi microbici che contengono diversi microrganismi o batteri o funghi micorrizici, che pare più forte (8% in più di trinciato) sulle semine più avanzate e nelle aziende non zootecniche. Ma occorre ovviamente anche una valutazione economica per accertarne l’effettiva convenienza».

    La variabilità tra gli ibridi

    Altro parametro fondamentale nel successo della coltivazione di mais da trinciato è la scelta dell’ibrido più adatto. E in questo senso l’esperienza maturata nei tanti anni di prove degli ibridi svolte dal Crea-CI di Bergamo è un aiuto prezioso per un allevatore e/o maiscoltore. «La determinazione delle caratteristiche qualitative in termini di composizione chimica dei vari ibridi di mais da trinciato – ha spiegato Rita Redaelli del Crea di Bergamo – è un'attività che svolgiamo annualmente utilizzando i campioni che derivano dalle reti di prove nazionali degli ibridi commerciali da trinciato e alle reti di prove degli ibridi in iscrizione a registro. In pratica utilizziamo una curva di calibrazione che comprende tutti questi parametri: umidità, proteine, lipidi, amido, ceneri, fibra e in particolare le diverse frazioni neutrodetersa, acidodetersa e lignina, nonché la digeribilità della frazione NDF a 12 ore. Tutti questi parametri vengono poi utilizzati per determinare le unità foraggere latte (UFL), un parametro sintetico che dà un'idea del valore nutritivo del foraggio».

    In particolare, i dati ricavati sulla digeribilità della frazione NDF nell’arco di più anni offrono indicazioni interessanti. «Il range di variazione che abbiamo osservato tra gli ibridi è significativo ed è attribuibile a diversi fattori – ha spiegato Redaelli –. In primo luogo, il fattore genetico, cioè ogni ibrido ha una sua composizione chimica specifica, più o meno ricchi di amido, di proteine o di digeribilità della NDF o più ricchi di componenti della fibra». Ma il genotipo non è il solo responsabile della variabilità di questi dati.

    «Sono altrettanto importanti l’effetto ambientale e quello dell'anno di coltivazione – ha continuato Redaelli –. Ogni annata, in base alle caratteristiche meteorologiche, alla quantità di precipitazioni, all'epoca di distribuzione delle piogge, alle temperature massime e minime fino ai periodi di siccità, conferisce una variabilità nei dati chimici di questi materiali. E poi le località, a seconda della località di prova lo stesso ibrido può dare risultati diversi e questo dipende dalla composizione del terreno, dal procedimento colturale, dalle concimazioni, dall’epoca di raccolta ecc.».

    Infine, ci sono componenti che vanno a incidere maggiormente sulla determinazione del valore di UFL. «Ci sono correlazioni molto significative – in senso positivo con lipidi, amido e digeribilità della NDF e in senso negativo invece con le componenti della fibra, più complesse da digerire».

    Gli aspetti nutrizionali

    Alla parte più agronomica è seguita quella nutrizionale legata appunto alla digeribilità del trinciato, oggi visto come apportatore di nutrienti. «Oggi abbiamo incrementato la capacità di analisi di questo materiale – ha esordito Antonio Gallo dell’Università Cattolica di Piacenza – ma è importante conoscere i costi di questo materiale. Da una nostra analisi su 44 aziende all'interno di un Psr abbiamo riscontrato una grande variabilità, da 2.000 € per ettaro fino a 2.600 € per ettaro. Comunque, per quanto riguarda l’utilizzo del silomais nelle razioni, l'aumento della superficie aziendale a insilato di mais, trinciato di primo raccolto, togliendo spazio ad altre colture, ha permesso di produrre soprattutto più energia (+8,5%), ma soprattutto di limitare l'esternalizzazione di queste aziende sul mercato e perciò l'acquisto di materie prime, riducendo poi i costi alimentari di circa il 7%».

    Ma torniamo alla faccenda nutrizionale. «La partita grossa della degradabilità della NDF si ha nel rumine – ha continuato Gallo – dove viene degradato il 95%. Perciò aumentare questa degradabilità significa aumentare l'energia a disposizione dell'animale e svuotare prima il rumine e permettere a questo animale di mangiare di più. Allo stesso tempo si sta studiando l'effettiva esigenza dell'animale, per avere un buon funzionamento del rumine, di avere una certa quantità di fibre indigeribili, cioè c’è un fabbisogno in UNDF (8,5-9% della sostanza secca)».

    Anche l'amido gioca un ruolo fondamentale. «L'amido segue la stessa logica della fibra a livello del rumine reticolo – ha spiegato Gallo – e fortunatamente per noi la quota che bypassa il rumine reticolo non verrà più fermentata dai microrganismi ruminali, ma potrà essere digerita e idrolizzata dagli enzimi gastrointestinali. La tendenza è quella di tardare la raccolta per aumentare la quota di amido, ma attenzione perché questo amido deve essere poi utilizzato dagli animali e non finire nell'ultimo tratto delle feci dove potrebbe causare problematiche».

    Infine, Gallo ha presentato due novità. «In Wisconsin hanno pubblicato un nuovo indice (Milk 2024) dove hanno fissato la dieta nella quale avviene la comparazione tra gli ibridi di mais – ha concluso Gallo –. Questa dieta è composta per il 30% da insilato di mais e per il 70% da altri fieni, insilati, concentrati e così via. Con questo indice si è migliorata la conoscenza dei carboidrati, in modo particolare quelli non fibrosi, separando l'amido dalla sostanza organica residua. Rispetto al Milk 2006 la miglior differenziazione dei carboidrati non strutturali aumenta la valutazione energetica rispetto a prima.

    La seconda novità riguarda una collaborazione tra Photonics e Università Cattolica di Piacenza, per cui verrà prossimamente pubblicato un indice nel quale la lettura Nir darà in tempo reale anche un indice di qualità che va da 0 a 100 e una valutazione energetica».

    Le proposte KWS

    «Nel segmento della digeribilità – ha spiegato Daniel Grandis, responsabile del prodotto KWS Italia – le proposte KWS includono diverse tipologie di mais, una su tutti i precocissimi, che sono un marchio che KWS promuove ormai da molti anni ed è un segmento di prodotti in cui davvero crediamo molto. Si tratta di ibridi di mais molto precoci, Classe Fao 200 (85-88 giorni), con caratteristiche peculiari che ci consentono di inserirli in maniera molto proattiva in diverse tipologie di rotazioni. Il grande vantaggio agronomico è quello di raccoglierli 30 giorni prima rispetto ai mais tardivi nel caso di una prima semina, quindi entro la fine di luglio. Viste le ultime stagionalità sempre più estreme, avere il trinciato già al sicuro in trincea prima di Ferragosto è una garanzia di resa che non sempre riusciamo ad avere con una varietà tardiva. E poi c'è un elemento di sostenibilità economica e gestionale, perché un mais che viene raccolto prima viene anche irrigato prima, richiede un minore utilizzo di azoto e riduce la necessità di trattamenti contro la piralide. Insomma, è davvero un'innovazione che ci può aiutare, dal valore assolutamente interessante».

    Ma perché possiamo dire che un precocissimo è consistentemente più digeribile di un tardivo? «Per un semplice motivo – ha specificato Grandis –: la minor permanenza in campo di questi mais precoci riduce il tempo a disposizione per la lignina di incrostare gli altri componenti cellulari della pianta, quindi la cellulosa e l’emicellulosa, consentendo di avere a livello ruminale una maggiore digeribilità. Questo è un elemento quantificabile, che abbiamo portato avanti per molti anni nei nostri studi, dimostrando che i precocissimi sono mediamente il 15% più digeribili di un mais convenzionale di Classe Fao 700. Si tratta di un valore aggiunto importantissimo perché andiamo a raccogliere un prodotto che potrà essere migliore e più valorizzato in stalla».

    Oltre ai precocissimi, l’offerta KWS ha un vero e proprio asso nella manica tra gli ibridi, ovvero KWS Leonidas, «un Classe Fao 700 (135 giorni), precursore di una serie di ibridi che lanceremo nei prossimi anni – ha spiegato Grandis – che ha come peculiarità l'alta digeribilità. In termini di digeribilità NDF a 30 ore e di UNDF, KWS Leonidas si posiziona tra i precoci e tardivi dal punto di vista della qualità del trinciato, quindi un prodotto sempre tardivo con la potenzialità della piena stagione, ma con le caratteristiche più simili a un precocissimo».

    Nel catalogo KWS si segnala anche un’altra coltura che può tranquillamente convivere con il mais. «Si tratta del sorgo – ha rivelato Grandis – e a tale proposito abbiamo in atto un progetto (100 tonnellate) che coniuga i mais precocissimi con il sorgo, ovvero utilizzo di mais precocissimo in prima semina, raccolta di un alimento altamente digeribile a fine luglio, seguita da sorgo in seconda semina con varietà ad altissima digeribilità, per raggiungere appunto le 100 tonnellate di trinciato».

    La conclusione di Grandis ha riguardato l’annuncio di un progetto (internamente chiamato QTL, brevetto KWS) «con nuove linee che emergeranno nell'arco di uno/due anni. Si tratta di una caratterizzazione genetica nella quale l'elemento chiave è un Quantitative Trait Locus, ovvero un elemento del Dna della pianta stessa al quale è associata la caratteristica di alta digeribilità. In pratica si tratta di una differente distribuzione della lignina che in alcune tipologie di mais si posiziona soprattutto nella parte esterna dello stocco ed è meno presente nella parte interna. Di conseguenza queste piante saranno più digeribili. Questa è un'innovazione assoluta che vogliamo portare sul mercato e che potrà portare davvero molto valore aggiunto».

    Scarica la presentazione di Giorgio Borreani

    Scarica la presentazione di Rita Redaelli

    Scarica la presentazione di Antonio Gallo

    Scarica la presentazione di Daniel Grandis

     

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    Mais da trinciato, come combinare rese elevate e alta digeribilità - Ultima modifica: 2025-01-27T09:45:36+01:00 da Francesco Bartolozzi

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