Nel corso degli ultimi dieci anni, fra le diverse innovazioni che stanno contribuendo a cambiare il volto della viticoltura da tavola, un ruolo di primo piano, oltre al rinnovo varietale, rivestono le tecniche di gestione del suolo. Infatti inerbimenti, sovesci e apporto di ammendanti sono risultati ottime strategie per apportare sostanza organica al suolo, sottrarre anidride carbonica e migliorare la struttura del terreno. Per approfondire, in particolare, le opportunità, le modalità e le conseguenze dell’inerbimento nei vigneti a uva da tavola Fruit Communication, Associazione regionale pugliese tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra) e Ordine degli Agronomi di Taranto hanno organizzato l’incontro “Coltivazione del suolo nel vigneto a uva da tavola”.
Inerbimento, vantaggi e svantaggi
«L’inerbimento consiste nel lasciare crescere un tappeto erboso, che può essere spontaneo o appositamente seminato, da controllare mediante sfalci o trinciature – ha introdotto Luigi Tarricone, ricercatore del Crea-Utv di Turi (Ba) –. Comporta numerosi vantaggi: transitabilità del terreno anche in condizioni di bagnato e maggiore portanza dello stesso con minore compattamento; formazione di sostanza organica dovuta alla vegetazione lasciata in loco; contenimento dell’erosione; traslocazione in profondità di fosforo e potassio contenendo tra l’altro il dilavamento dei nitrati; economicità di intervento per la velocità di esecuzione delle trinciature (4-5 volte in una stagione). Ma anche alcuni svantaggi: sottrazione idrico-nutrizionale, impossibilità di interrare i concimi e i residui di potatura».
L’inerbimento può essere: in riferimento alla composizione del cotico erboso, naturale o artificiale; riguardo alla durata, permanente o temporaneo; rispetto all’entità della superficie inerbita, totale o interfilare.
«L’inerbimento naturale consiste nel far sviluppare un tappeto erboso spontaneo da controllare a mezzo di trinciature prevedendo di lasciare i residui sul posto. Quello artificiale prevede invece di far sviluppare un tappeto erboso derivante da semina del seme o del miscuglio a fine inverno-inizio primavera su terreno opportunamente preparato, provvedendo successivamente allo sfalcio della vegetazione erbacea a 25-30 cm di altezza, alle concimazioni fosfatiche e magnesiache prima dell’inverno e alle concimazioni azotate (più abbondanti nei primi 2-3 anni, 120-150 unità/ettaro) prima del germogliamento (55-60%) e a fine primavera (40- 45%). In alcune aree si attua l’inerbimento temporaneo spontaneo nel periodo invernale (da settembre a marzo), cui fa seguito, nel corso della stagione vegetativa, l’interramento della biomassa prodotta mediante lavorazioni. In altre si fa l’inerbimento permanente con semina di miscugli che si caratterizzano per facilità e rapidità di insediamento, resistenza al calpestamento e alla colonizzazione di flora spontanea, basse esigenze di sfalcio, produzione di poca biomassa, competitività idrica e nutrizionale ridotta».
L’inerbimento, forma di agricoltura conservativa
L’inerbimento, cioè il passaggio dalla lavorazione convenzionale alla non lavorazione, è una forma di agricoltura conservativa, perciò rappresenta un cambiamento strutturale importante nell’agroecosistema, ha evidenziato Antonio Mastropirro, agronomo di Agriproject Group srl. «Non è possibile valutare l’effetto dell’inerbimento lasciando immutate tutte le altre pratiche, perciò è importantissimo “riconsiderare e rimodulare” tutta la gestione agronomica del vigneto a uva da tavola. L’inerbimento naturale si realizza lasciando insediare liberamente la flora spontanea, che verrà poi controllata, quando la sua presenza sarà ritenuta non più utile e/o dannosa per la coltura, mediante poche e mirate lavorazioni (temporaneo) o con la trinciatura (permanente)».
Per Mastropirro è preferibile l’inerbimento naturale perché le varietà il cui seme è disponibile sul mercato sono state ottenute in ambienti diversi da quello in cui si opera. «È verosimile pensare che l’esecuzione di prove di materiale genetico locale possa portare alla costituzione di varietà/ecotipi o loro miscugli maggiormente adatti ai nostri ambienti. I nostri ambienti (naturali e antropizzati) costituiscono un bacino di fitodiversità notevole. La nuova frontiera sarà il recupero di questo patrimonio genetico, sicuramente più adatto delle sementi costituite altrove e per altre finalità».
Tecnica agronomica sempre applicabile?
Ma l’inerbimento è una tecnica agronomica sempre applicabile? Per Giacomo Mastrosimini, agronomo di Graper srl, «la lavorazione del terreno è sempre stata vista come una operazione per mettere ordine, rendere tutto più “pulito”. La realtà è che l’ordine che si vuole creare, attraverso le lavorazioni del terreno, non è compatibile né con un modello di agricoltura sostenibile né con quanto accade quotidianamente in natura. A tale modello risponde molto meglio l’inerbimento, coerente con quanto accade ogni giorno in natura».