La questione del necessario sviluppo dei rapporti di filiera rappresenta certamente uno dei punti di maggior rilevanza dei miei prossimi due anni di presidenza di Italmopa. Esso costituisce, a mio parere, elemento indispensabile per garantire una maggior competitività delle filiere nazionali frumento tenero e duro e di tutti gli attori che la compongono garantendo loro una redditività che si situa ormai, nel migliore dei casi, su livelli del tutto marginali.
Non nascondo tuttavia che la strada che dovrebbe portare a un confronto sereno e costruttivo – già comunque difficile da ipotizzare per l’insana abitudine, da parte di alcuni attori, di individuare sempre e comunque negli altri le uniche cause delle difficoltà nelle quali si dibattono – è diventata, ultimamente, sempre più ripida e tortuosa.
Certamente, gli andamenti, nel corso dell’ultima campagna di commercializzazione, dei mercati internazionali e nazionali del frumento, e di conseguenza anche dei prodotti della prima trasformazione farine e semole, non hanno incoraggiato lo sviluppo di un clima sereno.
E cosi l’industria molitoria e le indispensabili importazioni di materia prima alle quali essa fa obbligatorio ricorso per ovviare al deficit quantitativo (e nel 2016, quanto meno nel comparto del frumento duro, anche qualitativo) della produzione sono state identificate, da taluni, come l’unica causa delle indubbie difficoltà nella quale si dibatte la produzione agricola. Una convinzione, consentitemi di evidenziarlo, errata sia perché ignora le difficoltà, meno declamate, nella quale si dibatte l’industria molitoria italiana, che non si distingue dall’andamento poco rassicurante dell’intero comparto manifatturiero, sia perché allontana ogni forma di indispensabile autocritica.
Il Piano Cerealicolo Nazionale aveva chiaramente delineato le numerosi criticità della produzione cerealicola nazionale. Un elenco già stillato da Italmopa da oltre 25 anni ma rimasto colpevolmente senza alcuna decisiva risposta. E siamo così nell’obbligo, cosi come 25 anni fa, di confrontarci sulle stesse tematiche – dalla mancata aggregazione dell’offerta all’inadeguatezza dello stoccaggio, dall’assenza di strumenti efficaci di gestione dei mercati alla programmazione delle compravendite – in un contesto, tuttavia, totalmente diverso. La globalizzazione degli scambi avrebbe potuto costituire un’enorme opportunità per la produzione primaria. È diventata invece, e non certo per colpe da imputare all’industria della trasformazione, un ulteriore elemento di incertezza e di difficoltà per gli imprenditori agricoli.
Qualcuno, erroneamente, ha pensato che lo sviluppo di un’abile e tambureggiante politica di comunicazione volta, da un lato, a magnificare, senza se e senza ma, le presunte superiori caratteristiche qualitative delle materie prime nostrane e, dall’altro, a confondere i consumatori diffondendo un sentimento di sospetto sulle materie prime d’importazione sarebbe stato sufficiente a ovviare l’evidente, ma certamente non irrimediabile, perdita di competitività di alcune filiere, quali quella cerealicola. Un errore grave in un contesto di apertura dei mercati internazionali e di progressivo smantellamento delle tutele precedentemente garantite a tutti gli operatori delle filiere.
Ed è per questo motivo che ritengo opportuno ribadire l’utilità di un confronto costruttivo tra tutte quelle rappresentanze della filiera disponibili a privilegiare il pragmatismo a ogni forma di protagonismo mediatico. Nel corso della mia presidenza, appena avviata, questo aspetto costituirà certamente una priorità sulla quale concentrare i nostri sforzi e non posso augurarmi, ovviamente, che questo approccio possa essere largamente condiviso dai nostri interlocutori di filiera.
Cosimo De Sortis
Presidente di Italmopa - Associazione Industriali Mugnai d’Italia