La Pianura Padana offre al mais condizioni di crescita ideali: suoli profondi e fertili, abbondanza d’acqua, primavere miti ed estati calde. Non a caso, questa coltura è tra le più diffuse nella regione, per la produzione di granella per uso alimentare e zootecnico, sostenuta anche dalla presenza di numerosi allevamenti che ne richiedono ingenti quantità di foraggio.
Nel tempo, il mais è diventato molto più di una semplice coltura: è oggi un elemento cardine che connette agronomia, zootecnia e industria agroalimentare, contribuendo a plasmare il paesaggio agricolo della regione più produttiva d’Italia.
Tuttavia, negli ultimi vent’anni, la maiscoltura italiana ha subito una contrazione significativa delle superfici coltivate, con una riduzione che ha interessato sia il mais da granella sia il mais da insilato. La Pianura Padana ha registrato, di conseguenza, riduzioni nette dovute a un mix di fattori economici, politici e agronomici.
Cosa è cambiato
Negli ultimi anni, in particolare, i fenomeni meteorologici estremi legati al cambiamento climatico (ondate di calore, siccità, piogge concentrate) hanno aggravato la situazione, influenzando le rese e incrementando i fabbisogni irrigui e i rischi fitosanitari. Oltre alle alte temperature estive registrate sempre al di sopra della media degli ultimi 30 anni (1990-2020), sono state le precipitazioni che più hanno inciso sulla produttività: siamo passati nel periodo marzo – settembre dai 113 mm del 2022 ai 1146 mm del 2024 (dati riferiti all’areale est di Milano).
In questo scenario, in cui si rende necessario individuare strategie adeguate per mantenere elevati livelli produttivi a garanzia della sicurezza alimentare, si affianca un quadro normativo e ambientale sempre più stringente. A livello nazionale ed europeo, le nuove regolamentazioni puntano a ridurre l’importazione di prodotti ad alta intensità carbonica e a contenere le elevate emissioni di ammoniaca (NH₃) e di gas serra come il protossido di azoto (N₂O). Obiettivo che viene perseguito attraverso un doppio approccio: da un lato, introducendo restrizioni sempre più severe; dall’altro, promuovendo pratiche agronomiche innovative orientate alla sostenibilità integrata.
Il mais è tra le colture più coinvolte, fortemente dipendente dalla fertilizzazione azotata che è uno dei principali punti critici della sua gestione agronomica. L’impiego di fertilizzanti minerali a base di azoto — in particolare l’urea — comporta due tipi di emissioni: da una parte le elevate emissioni di CO₂ dovute alla sua sintesi, dall’altra consistenti rilasci di ammoniaca (NH₃) e protossido di azoto (N₂O) in atmosfera, generati dalle trasformazioni biochimiche dell’urea in campo.
Sviluppi normativi
I recenti sviluppi normativi che impattano in modo diretto sull’uso dell’urea agricola sono rappresentati dal Cbam (Carbon border adjustment mechanism) operativo dal 2026, che introdurrà un sistema di adeguamento del carbonio alle frontiere, penalizzando i prodotti a elevata intensità emissiva. I fertilizzanti azotati tradizionali, tra cui l’urea, rientrano appieno in questi nuovi scenari normativi. Inoltre, l’Italia con il Piano Nazionale per il Miglioramento della Qualità dell’Aria imporrà a partire dal 2028 il divieto di impiego dell’urea tal quale in tutto il bacino padano, a causa del suo elevato contributo alle emissioni di ammoniaca, uno dei principali precursori delle polveri sottili (PM10).
Di fronte a queste sfide, l’agricoltura è chiamata a ripensare profondamente le strategie di fertilizzazione azotata, individuando soluzioni capaci di ridurre in modo significativo le perdite di azoto e di migliorarne l’efficienza d’uso, mantenendo livelli produttivi adeguati a sostenere le esigenze delle filiere agroalimentari e zootecniche.
Un progetto vincente
Il progetto Combi Mais nato 12 anni fa, nel cuore della Pianura Padana, presso la società agricola Folli, ha dimostrato lo stretto rapporto tra produttività e sanità del mais ottenuti con un approccio agronomico sostenibile e rigenerativo, pianificando in modo coordinato e razionale le migliori tecniche colturali disponibili in un sistema produttivo integrato e in continua evoluzione.
La strategia condivisa dai vari partner del progetto – coordinata dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, sotto la guida scientifica del prof. Amedeo Reyneri – prevede l’adozione delle migliori tecniche colturali, con un forte orientamento alla riproducibilità. L’obiettivo è trasferire il protocollo alle aziende maidicole dell’areale padano, offrendo loro un modello concreto di intensificazione sostenibile, ponendo grande attenzione agli indicatori ambientali: efficienza dell’azoto (NUE Nitrogen Use Efficiency), impronta carbonica per unità di granella, efficienza d’uso dell’acqua (WUE), ore di manodopera. Tutti dati che vengono poi confrontati con sistemi produttivi tradizionali per valutare l’efficacia del protocollo in termini di sostenibilità.
Efficienza e sostenibilità
All’interno del protocollo Combi Mais, l’impiego dei fertilizzanti Unimer si conferma pienamente coerente con gli obiettivi di sostenibilità, efficienza agronomica e replicabilità del progetto. L’elevata efficienza del protocollo di concimazione Unimer è stata confermata dai riscontri produttivi che si sono succeduti negli anni, nonostante le condizioni non sempre favorevoli (fig. 1).

Sono state registrate importanti rese di granella sia per uso alimentare che per uso zootecnico, con picchi che hanno superato le 18 tonnellate a fronte di una somministrazione media negli anni di 235 unità di azoto per ettaro, ben al di sotto (-22%) dei quantitativi ammessi dal decreto interministeriale 5046 del 25/02/2016, che per le rese medie Combi Mais, calcolate in tutti gli undici anni e nelle varie combinazioni tecniche (16,5 tons/ha al 15,5% di umidità), fissa il limite massimo di 300 unità di azoto per ettaro.
I fertilizzanti Unimer consentono un rilascio modulato dell’azoto, riducendo le perdite per lisciviazione e volatilizzazione rispetto alle sole fonti minerali a pronto effetto, come l’urea. Questo aspetto si è rivelato di fondamentale importanza in annate caratterizzate da precipitazioni eccessive e prolungate, durante le quali la frazione azotata minerale tende a essere rapidamente dilavata e, quindi, non disponibile per il mais. Hanno assicurato un apporto continuo e sincronizzato con i fabbisogni del mais, anche in condizioni meteorologiche avverse, conferendo al sistema colturale una maggiore resilienza nutrizionale, riducendo il rischio di carenze nei momenti critici di accrescimento e ottimizzando l’assorbimento da parte della pianta nei periodi favorevoli. L’utilizzo dei fertilizzanti organo-minerali Unimer non solo ha contribuito a mantenere elevati livelli produttivi del mais, ma ha favorito il mantenimento della fertilità del suolo e la riduzione dell’impatto ambientale legato in particolare alla gestione della nutrizione azotata.
I fertilizzanti Unimer
La concimazione di fondo con Microforce, prodotto ad azione specifica, apporta micorrize e batteri della rizosfera capaci di migliorare l’assorbimento dei nutrienti, valorizzando anche gli elementi già presenti nel suolo come il fosforo, e acqua anche in condizioni climatiche estreme.
Per la preparazione del letto di semina, l’utilizzo di Flexifert concime organo-minerale N-K (Ca) 10-0-20 (12) con manganese e zinco, grazie alla presenza di resine a scambio ionico, aumenta la disponibilità dei nutrienti migliorando notevolmente l’efficienza nutritiva, fondamentale per una coltura esigente come il mais.
In alternativa Winner NP, concime organo-minerale (Mg) 11-25 (2) con zinco che, con la sua elevata efficienza nutrizionale, consente di contenere gli apporti di unità fertilizzanti, contribuendo concretamente agli obiettivi del Green Deal e della Pac. Il prodotto è certificato dallo studio LCA (Life Cycle Assessment – Archita Engineering 2023) che ne documenta rigorosamente una riduzione del 46% della carbon footprint rispetto ai concimi tradizionali (fosfato biammonico).
Infine, la concimazione azotata, effettuata con Super Azotek N32, concime organo-minerale azotato, con zolfo e carbonio organico umificato, certificato dallo studio LCA (Life Cycle Assessment – Archita Engineering 2023), registra rispetto all’urea una diminuzione del 27,1% delle emissioni di gas serra, offrendo una soluzione efficace e sostenibile per il fabbisogno azotato del mais.
Hanno detto
«...L’impronta carbonica legata alla concimazione, specialmente quella azotata, vale più del 50%; per cui, se noi siamo in grado, con un fertilizzante organo-minerale, di dimezzare questa voce, vuol dire incidere in modo molto importante sul bilancio complessivo, in termini ambientali…» (prof. Amedeo Reyneri – Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (Disafa), Università di Torino)













