
Negli ultimi anni l’agricoltura biologica in Italia ha registrato una crescita notevole, sia in termini di superfici coltivate che di operatori coinvolti. Secondo il Sistema informativo nazionale sull’agricoltura biologica del ministero dell’agricoltura, dal 2014 al 2023 le superfici a biologico sono aumentate del 77%, raggiungendo circa 2,5 milioni di ettari. Nello stesso periodo, il numero di operatori è cresciuto del 70%, superando quota 94mila.
Nonostante questa espansione, sul piano agronomico le rese per ettaro in agricoltura biologica restano mediamente inferiori rispetto all’agricoltura convenzionale, con ricadute sulla competitività delle aziende e sull’accessibilità dei prodotti per una buona fetta di consumatori. È noto che il valore dell’agricoltura biologica vada ben oltre la sola produzione di alimenti: se ben eseguite, le pratiche bio permettono di tutelare la salute degli ecosistemi, riducendo l’impatto ambientale della produzione agricola e generando benefici per l’intera società. La sfida che abbiamo davanti dunque è la seguente: come incrementare le rese senza rinunciare a questi benefici sociali e ambientali?
Rese basse, margini sotto pressione

Per lungo tempo il modello economico del biologico si è basato su rese mediamente inferiori – non senza eccezioni – compensate da prezzi di vendita generalmente più alti e contributi pubblici. Questo equilibrio oggi mostra segni di fragilità. Come osserva Elisa Lorenzetti, ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: «I veri beneficiari di questo schema non sono sempre gli agricoltori, ma spesso i grandi operatori che controllano la distribuzione e godono delle economie di scala. Nel frattempo, per consumare prodotti più sostenibili i consumatori si trovano a sostenere costi sempre più elevati».
Per minimizzare il divario bisogna intervenire sul principale fattore agronomico limitante. Quale sia questo fattore, chiaramente, dipende dal singolo caso. In Italia la situazione è molto variabile: in alcune aree la priorità è migliorare la fertilità del suolo, in altre scegliere varietà più adatte ai contesti pedoclimatici locali. In generale, a livello di sistema agroalimentare, emerge l’urgenza di creare filiere più corte e integrate – per esempio, applicando i principi dell’economia circolare – capaci di garantire maggiore redditività agli agricoltori.
Il contributo della ricerca
Un contributo per minimizzare il divario delle rese tra bio e convenzionale arriva dal progetto europeo Organic Yields Up (Oyup - Migliorare le rese nei sistemi di coltivazione biologica), coordinato da Fibl Europe e composto da 17 partner internazionali, tra cui la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, l’Università di Pisa ed EcorNaturaSì. L’obiettivo è ambizioso: individuare strategie efficaci per aumentare le rese nel biologico, mantenendo gli standard di sostenibilità.
Tra i risultati più significativi finora ottenuti da Oyup c’è la creazione di un mega database, con oltre 60mila osservazioni raccolte negli ultimi vent’anni in diversi Paesi europei, focalizzate sulle pratiche utili per migliorare la produttività in biologico. La costruzione del database è stata un’impresa complessa, ottenuta grazie a un processo collaborativo che ha coinvolto dieci partner del progetto.
I dati grezzi sono stati recuperati da prove sperimentali a breve e lungo termine, indagini aziendali e prove varietali, ognuno con propri codici e formati. «Non esistono due dataset con identica struttura – spiega Lorenzetti – quindi il nostro compito è stato armonizzarli e tradurli in un linguaggio comune per renderli confrontabili. Un lavoro lungo e meticoloso, ma prezioso, perché permette di capire dove investire e su quali aspetti concentrare al meglio le risorse per la ricerca, massimizzandone l’efficacia».
Le colture più rappresentate in questo mega database, aventi oltre 2mila osservazioni ciascuna, sono grano duro, grano tenero e miscugli di erba medica e trifoglio. Altre colture largamente rappresentate – con oltre 500 osservazioni ciascuna, sono alcune leguminose (fave, lenticchie, piselli, soia), patate e cereali minori. A livello italiano, le colture più rappresentate sono grano tenero, lenticchia e pomodoro.
È inoltre presente un’ampia rappresentazione delle strategie di fertilizzazione, con fino a 36 diversi trattamenti di fertilizzazione. La maggior parte degli esperimenti compresi nel database contiene informazioni molto dettagliate sulla sequenza delle operazioni di gestione, nonché dati meteorologici molto dettagliati, consentendo un’ampia gamma di possibilità di analisi.

Foto di Being Organic in EU
In aggiunta, il database delle prove di campo a lungo termine è stato arricchito con dati estratti e adattati da 69 pubblicazioni scientifiche sottoposte a revisione paritaria, riguardanti strategie di incremento delle rese nei sistemi colturali biologici estensivi in Europa e in aree con condizioni climatiche simili. L’attenzione si è concentrata in particolare su prove in campo, esperimenti di lungo periodo e casi studio. L’obiettivo era quello di integrare i dati già raccolti dalle prove di lungo termine, colmare le lacune conoscitive e ampliare la base empirica su cui si fonda il database con tutta la letteratura disponibile.
Tutti i dati sono disponibili in open access sulle piattaforme Zenodo, OpenAire e Organic EPrints; ricercatori, tecnici e agricoltori sono liberi di utilizzarli per validare ipotesi e adattare strategie alle proprie realtà aziendali.
Strategie in cantiere
Questo database ha riorganizzato una grande mole di dati in un quadro coerente, che costituisce la base per analizzare e confrontare diverse strategie di aumento della resa per più colture a livello europeo. L’analisi approfondita dei dati inizierà a cavallo tra 2025 e 2026, dunque non è ancora possibile dipingere un quadro delle migliori strategie per incrementare le rese in bio. «Tuttavia – aggiunge Lorenzetti – l’esperienza maturata suggerisce già alcune misure promettenti»:
- miglioramento della fertilità del suolo tramite rotazioni colturali diversificate, colture di copertura, sovesci mirati e minima lavorazione;
- scelte varietali mirate, orientate a cultivar più performanti in biologico e adattate alle condizioni pedoclimatiche locali;
- uso di miscugli colturali per aumentare la resilienza e ridurre la pressione di malerbe e organismi dannosi;
- controllo biologico con insetti utili, strisce fiorite e rifugi per gli antagonisti naturali;
- integrazione tra le colture e la zootecnia per chiudere i cicli dei nutrienti e mantenere una fertilità del suolo stabile.
«In passato abbiamo già sperimentato con successo queste buone pratiche. Ora stiamo continuando il lavoro tramite Oyup e tanti altri progetti paralleli, come ad esempio NeutraWeed: una ricerca intercontinentale focalizzata sull’uso di robot per il diserbo selettivo e la creazione di comunità di erbe infestanti non dannose per le colture» aggiunge Lorenzetti.
Un potenziale da liberare
Migliorare le rese richiede conoscenze tecniche, investimenti e tempo. Alcune tecniche sono efficaci solo in determinate condizioni e altre necessitano di macchinari o competenze non ancora diffusi su larga scala. Un altro nodo è l’analisi socioeconomica: le aziende biologiche più sostenibili spesso sono più complesse da gestire, con filiere articolate e un’organizzazione del lavoro più impegnativa.
Il lavoro del consorzio Oyup è un passo importante per il futuro del biologico in Italia e in Europa. Oltre alle analisi, il progetto prevede lo svolgimento di workshop, visite incrociate tra aziende agricole, momenti di confronto con le istituzioni a Bruxelles e la redazione di raccomandazioni politiche per unire approccio dal basso e decisioni top-down. Come conclude Lorenzetti: «Le conoscenze ci sono, le tecnologie pure. Ora dobbiamo farle dialogare, adattarle ai territori e metterle nelle mani giuste: quelle degli agricoltori».
Fare rete per innovare il biologico europeo
di Gabriele Ridolfi, coordinatore del progetto Oyup, FiBL Europe
Oltre ad agevolare l’aumento delle rese in biologico, il progetto Oyup mira a rafforzare e strutturare le reti regionali dei partner, oggi spesso informali, trasformandole in collaborazioni organizzate e stabili. L’obiettivo è mettere in connessione agricoltori, ricercatori, consorzi, associazioni e istituzioni, favorendo il lavoro congiunto per sperimentare e sviluppare soluzioni innovative direttamente nelle aziende agricole e nei territori rurali. Questo approccio, noto come living lab, rappresenta il cuore del progetto e vuole gettare le fondamenta di quelli che, in futuro, potranno diventare veri e propri laboratori viventi a supporto dell’agricoltura biologica.
Come consorzio, riconosciamo che molte pratiche dell’agricoltura biologica possono essere rese più semplici ed efficaci, sia a livello della singola coltura sia nell’ambito delle rotazioni colturali. Tuttavia, le sole soluzioni agronomiche non bastano sempre a incrementare le rese in biologico, soprattutto quando gli operatori del settore si trovano a lavorare in contesti normativi sfavorevoli, caratterizzati da eccessiva burocrazia, o all’interno di filiere che non rispondono alle reali esigenze degli agricoltori biologici. È il caso, ad esempio, di consorzi che non ritirano determinate varietà, che non accettano miscugli colturali o che impongono costi aggiuntivi per la gestione dei prodotti biologici.
In molte regioni europee, tra cui l’Italia, il settore biologico appare frammentato e formato prevalentemente da piccoli agricoltori che, da soli, faticano ad affrontare le numerose sfide del comparto. Una delle missioni principali di OYUP è quindi individuare gli ostacoli e le criticità non solo a livello agronomico, ma anche sul piano normativo e dell’innovazione sociale, stimolando nuove collaborazioni e relazioni tra gli attori dei territori. Così facendo si potranno sviluppare strategie condivise capaci di rendere le rese biologiche più stabili e competitive.
Tale lavoro confluirà in rapporti orientativi destinati ai decisori politici per favorire il miglioramento delle politiche agricole europee, nella costruzione di filiere modellate sulle reali esigenze degli agricoltori biologici e nella definizione di un piano strategico di ricerca e innovazione, in linea con un settore in rapida evoluzione di fronte ai cambiamenti climatici e geopolitici.












