La campagna maidicola 2025 si è conclusa lasciando in eredità una produzione nella media e i consueti problemi sanitari che ne deprimono le quotazioni. In sostanza, la situazione resta invariata. La produttività non cresce per effetto di condizioni meteorologiche difficili, con estati sempre più calde, e per la semplificazione delle pratiche colturali dovuta alla scarsa redditività. La qualità permane critica nonostante i progressi nel controllo delle tossine. La presenza di aflatossine nel mais commercializzato rimane significativa, mantenendo elevata la percezione del rischio tra gli utilizzatori finali.
Il fatto che anche altri Paesi europei abbiano registrato problemi qualitativi e produttivi non è di sollievo. Aumenta l’incertezza e favorisce l’importazione da Paesi terzi anche d’oltreoceano, dove i vincoli ambientali sono più blandi e le economie di scala maggiori. Questo quadro, probabile anche nel prossimo futuro, impone alcune riflessioni per attenuarne le criticità.
Anzitutto, pur nel rispetto ambientale, l’uso dei fertilizzanti deve essere regolato con equilibrio, evitando misure che aumentino i costi e riducano ulteriormente produttività e redditività.
È il caso del divieto d’impiego dell’urea previsto dal Piano per il miglioramento della qualità dell’aria (Delibera del Consiglio dei ministri del 20 giugno 2025), che ne vieta l’utilizzo nel bacino padano dal 1° gennaio 2028 per favorire i fertilizzanti organici o di sintesi alternativi. Pur riconoscendo un costo aggiuntivo per le imprese agricole di almeno 150 €/ha, la norma colpisce duramente il mais, coltura che più di tutte utilizza l’urea, la forma azotata più economica. Occorre quindi individuare soluzioni in grado di ridurre le emissioni di ammoniaca consentendo l’impiego controllato dell’urea ed evitando divieti generici e miopi. Piuttosto, occorre ragionare su limiti stagionali di distribuzione, obbligo di interramento, uso di forme con inibitori o impiego in miscela nei concimi organo-minerali.
Un secondo tema riguarda i prodotti Dop zootecnici, che rischiano di non rispettare il Regolamento (Ue) n. 2024/1143, secondo cui almeno il 50% dell’alimentazione deve provenire dal territorio.
Il mais è quindi essenziale e non può essere completamente sostituito da importazioni. È necessario riconoscere e sostenere i maiscoltori nelle filiere di eccellenza, valorizzando l’origine nazionale a fronte di disciplinari opportuni per ridurre il rischio di contaminazioni. Nel disegno di legge “Misure di consolidamento e sviluppo del settore agricolo” questa esigenza deve essere esplicitamente menzionata, considerando il mais da granella una coltura strategica, ricordando che da questa dipende un valore aggiunto al sistema agricolo nazionale superiore agli altri cereali.
Infine, occorre affrontare la struttura dei costi, che in Italia penalizza la competitività.
Per ridurre i costi unitari serve favorire l’aggregazione aziendale, in forme cooperative o reti di imprese, per evitare che quelle piccole e medie escano dal mercato, incapaci di sostenere i costi delle innovazioni o del rinnovo dei macchinari. Nella prossima Pac sarà necessario rivedere la distribuzione dei contributi, concentrando il sostegno su chi investe in aggregazione e innovazione, evitando di mantenere artificialmente in vita realtà cerealicole prive di prospettive.
di Amedeo Reyneri
Università di Torino













