I volti cambiano, ma l'anima e l'orizzonte dell'organizzazione resta immutata. Perché la Coldiretti non è solo una rappresentanza sindacale, ma una «comunità fatta di uomini e donne che non ha mai perso la sua identità, che ha saputo dotarsi di una struttura organizzativa forte per realizzare azioni concrete sul territorio, con ricadute positive per la società». Parola di Roberto Moncalvo, 33 anni, il neo leader della Coldiretti, già presidente di Coldiretti Piemonte, eletto con il 99% dei voti dall'assemblea nazionale dell'associazione.
Moncalvo è il più giovane presidente tra tutte le organizzazioni di rappresentanza, laurea in Ingegneria dell'autoveicolo al Politecnico di Torino, insieme alla sorella è titolare dell'azienda agricola SettimoMiglio, 15 ettari a Settimo Torinese (To), che punta sulla multifunzionalità e la vendita diretta.
Storicamente a indirizzo cerealicolo (grano, mais e orzo), l'azienda nel 2005 ottiene il riconoscimento di “fattoria didattica” e dal 2007 inizia a produrre ortaggi e fragole per la vendita diretta con l'apertura di un nuovo punto vendita aziendale. Di prossima apertura un laboratorio per la trasformazione di ortofrutta e cereali aziendali e una piccola attività agrituristica.
Oggi il neo leader è chiamato a guidare l'organizzazione in una fase particolarmente delicata per l'agricoltura italiana ed europea. La sua ricetta si riassume in due parole: radicalità intelligente. «Una formula che non significa perseguire obiettivi estremi o ideologici o mostrare scarsa attitudine al dialogo e all'inclusione. Significa semplicemente mantenere fede ai nostri impegni, non deflettere mai dagli obiettivi che ci siamo posti, non accomodarci mai nelle pieghe di un tempo sospeso o di un vano procrastinare». E poco male se lungo questo percorso si incontreranno «non pochi nemici, perché i nemici scaldano il cuore facendoci capire quello che non siamo e non vogliamo diventare».
La linea d'azione dell'organizzazione resta dunque ancorata a due scopi: cambiare il modello di sviluppo italiano e rafforzare il progetto economico basato sulla filiera agricola italiana. «Abbiamo un modello di sviluppo deleterio che dobbiamo combattere e sostituire; abbiamo potenzialità e forza, territori straordinari che ci rendono unici, apprezzati e ricercati, come dimostrano gli investimenti degli stranieri, che sembrano aver capito meglio di noi le potenzialità della nostra agricoltura».
Secondo il rapporto Coldiretti “Terre d'Italia in mani straniere”, oggi 17.286 imprenditori non italiani operano nel settore primario, con una crescita del +11% dal 2007. A credere di più nelle potenzialità del nostro agroalimentare sono soprattutto gli svizzeri (16%), i tedeschi (15%) e i francesi, ma non mancano investitori da oltre Oceano (4% statunitensi). Tanti i “vip” ma anche “giovani” sotto i 50 anni, che rappresentano il 61% del totale.
Ma se le potenzialità esistono, bisogna lavorare per renderle concrete, restituendo reddito all'agricoltore socio. E qui entra in gioco il progetto di filiera tutta italiana, che dev'essere corta, unica strada per dare il giusto valore al lavoro del produttore senza ricadute sul prezzo finale e quindi sul consumatore.
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