Il giudizio è secco e arriva dalla Corte dei
conti: la gestione della spesa dell’Unione
europea non è del tutto efficace. Il sistema
del bilancio è troppo incentrato sulla spesa
dei fondi, mentre bisognerebbe porre più
enfasi sui risultati, ovvero sul rapporto costibenefici.
Il giudizio si riassume in un numero
che valuta l’entità dei fondi non impiegati in
conformità alla normativa dell’Ue e che quindi
non avrebbero dovuto essere imputati al bilancio.
È il cosiddetto tasso di errore, che per i
pagamenti del 2013 viene stimato al 4,7%, vicino
ai livelli del 2012 (4,8%), però nettamente
sopra la soglia di rilevanza del 2%.
La “bolletta” Ue
Nel 2013 la spesa complessiva a carico del
bilancio dell’Ue è stata di 148,5 miliardi di euro,
circa 290 euro per ogni cittadino.
La voce più cospicua fa capo al settore “agricoltura
e sviluppo rurale”, che ha totalizzato
58,3 miliardi di euro, il 39% del totale.
Seguono la “politica regionale”, con 43,5 miliardi
(29%), e “occupazione e affari sociali”,
con 14,1 miliardi (10%). Insieme i tre settori
rappresentano oltre i tre quarti dei pagamenti
dell’Unione.
Il bilancio dell’Ue sostiene la spesa per la
politica agricola comune (Pac) tramite due
fondi. Da un lato, il Fondo europeo agricolo
di garanzia (Feaga) che finanzia integralmente
gli aiuti diretti e le misure a sostegno dei
mercati; dall’altro, il Fondo europeo agricolo
per lo sviluppo rurale (Feasr) che cofinanzia
i programmi di sviluppo rurale (Psr) insieme
agli Stati membri.
Il peso degli aiuti diretti
Guardando bene i conti (tab. 2) a fare la parte
del leone sono gli aiuti diretti, con 41,7 miliardi,
e in particolare il Regime di pagamento
unico (Rpu). Decisamente secondarie le altre altre
voci. Agli “interventi sui mercati agricoli”,
quelli che finanziano l’Ocm sono andati in tutto
meno di 3,2 miliardi, impiegati per erogare
aiuti specifici ai settori vitivinicolo e ortofrutticolo,
sussidi per il latte e la frutta nelle scuole,
programmi di aiuto alimentare, sostegno
dei prezzi nell’ambito del programma Posei
(relativo a regioni ultraperiferiche), scorte
d’intervento e restituzioni all’esportazione.
Per quanto riguarda invece lo sviluppo rurale,
circa 13,2 miliardi di euro sono andati a finanziare
46 misure, basate sulla superficie (come
nel caso dei pagamenti agroambientali e dei
pagamenti compensativi agli agricoltori nelle
zone con svantaggi naturali) oppure no (in genere
misure d’investimento, ad esempio per
l’ammodernamento delle aziende agricole e
l’istituzione di servizi essenziali per l’economia
e la popolazione rurale).
Sovradichiarazioni e condizionalità
Partendo da questa struttura della spesa,
per la parte del sostegno al mercato e degli
aiuti diretti molti degli errori riscontrati dalla
Corte consistevano nella sovradichiarazione
delle superficie agricole da parte dei beneficiari,
oppure nella violazione degli obblighi
della condizionalità. Debolezze sono state riscontrate
anche nelle procedure dei sistemi
integrati di gestione e controllo (Sigc).
Punti critici dello sviluppo rurale sono risultati
invece i controlli sulle condizioni di ammissibilità,
il rischio di doppi finanziamenti, una
valutazione insufficiente della ragionevolezza
dei costi, nonché carenze nelle verifiche
della condizionalità e nei controlli sul rispetto
delle norme in materia di appalti.
Insomma, anche in vista della nuova programmazione
della Pac, il messaggio della
Corte è chiaro: l’Ue deve puntare a ottenere
risultati migliori dai fondi spesi. L’azione
correttiva e di recupero della Commissione
e delle autorità nazionali ha sicuramente
contenuto il tasso di errore per la spesa, ma
sussistono ancora margini per ridurlo ulteriormente,
attraverso un miglior uso dei sistemi
di controllo e delle misure correttive
esistenti.
(*) Ismea
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