Il corineo è una malattia crittogamica comune a tutte le drupacee ma in grado di causare danni di una certa entità in particolare su pesco e albicocco, specialmente nei frutteti trascurati o mal curati.
Pertanto, dove vengono applicate le strategie di difesa corrette e pratiche di potatura rigorose la malattia si presenta solo sporadicamente. Su pesco le infezioni più pesanti si verificano nei mesi autunnali, mentre l’albicocco risulta maggiormente suscettibile alle infezioni primaverili.
Articolo pubblicato sulla rubrica L’occhio del Fitopatologo di Terra e Vita
Abbonati e accedi all’edicola digitale
Impostare la difesa
La lotta contro questa avversità si attua, in primis, attraverso la riduzione delle fertilizzazioni azotate e delle irrigazioni (in quanto rallentano il processo di lignificazione dei getti rendendoli maggiormente suscettibili alle infezioni) e una buona potatura per eliminare i rami dell’anno colpiti.
Nei casi in cui gli impianti siano stati colpiti dalla malattia in forma grave, i momenti ottimali per eseguire i trattamenti sono “al bruno” in autunno, dopo la caduta delle foglie, e prima della ripresa vegetativa, verso il mese di febbraio con l’innalzarsi della temperatura. I principi attivi maggiormente efficaci sono ziram, captano e dodina, ma anche i Sali di rame (poltiglia bordolese, l’ossicloruro e l’idrossido di rame) possono essere di valido aiuto, specialmente su albicocco e ciliegio.
I Sali di rame possono essere usati fino al limite di 4 kg di ione rame per ettaro all’anno. Gli stessi trattamenti che di norma vengono effettuati per ridurre il potenziale di inoculo di altri importanti agenti patogeni delle drupacee come per esempio la bolla, il nerume e le batteriosi, sono altrettanto validi nel contenere gli attacchi del corineo.
Come si diffonde la malattia
Agente casuale della malattia è il fungo Stigmina carphophyla, in passato conosciuto come Coryneum beijerinkii, che esplica la sua attività patogenetica in concomitanza di prolungati periodi di bagnatura o alta umidità relativa e un range di temperature abbastanza ampio (5-26 °C) ma con valori ottimali di 15 °C. L’attività del patogeno si ferma solamente nei mesi estivi. Al contrario, nei nostri areali, raggiunge la sua massima attività in corrispondenza della primavera e in autunno, stagioni umide e piovose.
Il fungo è grado di colpire le foglie, i rami e i frutti. Sulle foglie compaiono delle tacche rosso violacee che, col tempo si allargano, ma mantenendo sempre una netta separazione con i tessuti sani. Successivamente la parte di lembo colpita tende a distaccarsi lasciando la foglia come fosse stata impallinata. Sui rametti si producono lesioni brunastre allungate, talvolta infossate che possono trasformarsi in veri e propri cancri. Infine, sui frutti l’infezione di corineo si manifesta con piccole tacche rossastre di pochi millimetri di diametro che col tempo progrediscono ricoprendosi di incrostazioni gommose. I frutticini in accrescimento assumono pertanto un aspetto butterato mentre sui frutti maturi l’infezione di corineo si presenta solamente con macchie rossastre circondate da un alone più scuro. In entrambi i casi tuttavia l’infezione rende i frutti non commercializzabili,
La perpetuazione della malattia nei diversi anni avviene solitamente ad opera del micelio presente in corrispondenza delle lesioni sui rametti dell’anno o tra le perule delle gemme. La presenza di acqua libera è il fattore più importante sia per la sporulazione che per la germinazione dei conidi come anche per la penetrazione di questi nella cuticola. Una volta penetrato il fungo produce sugli organi vegetali un micelio sotto-epidermico i cui filamenti talvolta si riuniscono in veri e propri “stromi” dai quali, se le condizioni climatiche permangono favorevoli, si originano rami conidiofori alla cui estremità è portato un singolo conidio. A queste spore è affidata la diffusione della malattia quando viene veicolato dal vento o dall’acqua piovana sui circostanti tessuti sani suscettibili.