Il messaggio era la bottiglia. Di vino italiano naturalmente. La 50° edizione del Vinitaly spinge a tavoletta sul tema dell’internazionalizzazione trovando il testimonial più insospettato.
Trentasette anni dopo il grande successo dei Police (Message in a bottle, appunto), Sting si è ormai ripreso dal naufragio e ha trovato approdo tra le colline del Chianti, a Figline Valdarno, dove è diventato un motivato produttore di vino.
Nella sua azienda-rifugio“Tenute Il Palagio” ha recuperato 300 ettari di vigneti abbandonati e la sua etichetta top Sister moon, un blend a base Sangiovese, è secondo la rivista cult americana Wine Enthusiast tra i 100 migliori vini del Belpaese. Un riconoscimento che è valso a lui e alla moglie Trudy Styler la convocazione a Opera wine, manifestazione con i migliori produttori italiani che ha fatto da prologo alla kermesse veronese.
Un esempio calzante, che ha dato ancora più forza al messaggio inaugurale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quello della “parabola delle frontiere”. «Il vino è impresa e professionalità – ha detto – è cultura, ospitalità, amicizia e la capacità di penetrazione nei mercati esteri come apripista del made in Italy è la migliore dimostrazione che il destino dell’Italia è legato al superamento delle frontiere».
Quasi una constatazione per un settore che fattura 9.7 miliardi di euro di cui 5,4 all’estero (+5%), che però ha assunto un significato politico nel momento in cui Stati confinanti come l’Austria tornano ad innalzare nuove barriere al Brennero, non lontano da Verona.
Le rotte del web
Dove la filiera del vino celebra i suoi record. Il primato produttivo di 47,4 milioni di ettolitri davanti ai cugini francesi, gli oltre 500 vitigni coltivati che ci rendono la patria della biodiversità viticola, gli exploit delle bollicine, il cui export è aumentato nel 2015 addirittura del 17% (arrivando a 985 milioni di euro), non solo per la crescita travolgente del Prosecco, ma ora anche delle politiche di promozione di TrentoDoc e Franciacorta. La sfida più impellente ora è quella del valore.
«In 10 anni – ha riconosciuto Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole – abbiamo dimezzato il divario di prezzo medio con la Francia, che però rimane. Possiamo fare di più parlando la lingua della qualità, puntando sui controlli, una nostra specificità, per proteggere le denominazioni anche sul web, rafforzando l’innovazione, e sfruttando al meglio i fondi per la promozione».
Insomma, la bottiglia del vino italiano va indirizzata bene: chi rimane nelle placide acque del mercato interno rischia di impantanarsi, perchè è tendenzialmente in calo, mentre chi affronta gli oceani del commercio internazionale trova correnti tumultuose, increspate, ad esempio dalle forti richieste in termini di sostenibilità, oppure deve indovinare rotte sconosciute, come quelle del commercio digitale.
E anche in questi casi le opportunità migliori arrivano da alleanze e sinergie transfrontaliere. Lunedì a Verona, nella seconda giornata del Vinitaly, il premier Matteo Renzi ha siglato un sorta di patto con Jack Ma, fondatore di Alibaba il più grande ecommerce del pianeta per conquistare il mercato cinese, che è quello più in crescita, ma dove il nostro vino registra i maggiori ritardi.
«L’Italia – ha detto il premier – è il Paese che dalla globalizzazione può staccare il dividendo più alto: vogliamo portare l’export di vino a 7,5 miliardi e a 50 miliardi quello agroalimentare entro il 2020». «Nelle ultime settimane – ha informato il tycoon cinese – abbiamo venduto 25 milioni di bottiglie, ma solo il 6% è italiano: ci sono tutte le potenzialità per fare meglio».
Sos da non trascurare
Il “soccorso” sul fronte dell’ecosostenibilità arriva invece da Nord. L’Italia è la patria del vino bio (anche se come estensione dei vigneti siamo superati dalla Spagna), ma sul mercato interno valiamo solo lo 0,5% (68 milioni di euro, ma 137 arrivano dall’export, dato Wine monitor Nomisma) della domanda complessiva nazionale. In mercati di riferimento come la Germania questa quota arriva invece al 7% e in Svezia addirittura al 10%. «Il monopolio svedese – ha riferito Federico Ceretto, produttore delle Langhe, nel corso del convegno organizzato lunedì da Federbio – ha fissato la nuova assicella del 20% da raggiungere entro tre anni e per questo “coccola” i produttori italiani in grado di fornire i volumi di vino bio necessari per raggiungere il target». Oppure organizza seminari di “conversione” in regioni a forte vocazione bio come la Sicilia («ma in cui – ha evidenziato Roberto Pinton di Federbio – una buona fetta del vino bio non viene ancora venduto come tale »). A fianco della sostenibilità ambientale, nonostante i record, il settore vitivinicolo non deve però smettere di preoccuparsi di quella economica. Lontano dai riflettori del Vinitaly c’è infatti una fetta consistente del settore in difficoltà. Tutte le cantine che per limiti strutturali o territoriali non possono raggiungere i mercati esteri. Ma anche nomi di grido come Biondi Santi, l’azienda che ha inventato il Brunello, la cui crisi dipende probabilmente anche dai risultati poco lusinghieri di alcune vendemmie condizionate dal global warming.
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