Quasi non si è parlato d’altro, tra gli stand e ai convegni dell’ultima edizione della Fiera di Cremona: il costo di produzione del latte oggi è troppo lontano da livelli accettabili di redditività. Per esempio all’European Dairy Forum, meeting organizzato in fiera dalla Libera associazione agricoltori cremonesi, è stato sottolineato che il prezzo alla stalla del latte in Lombardia oggi è sceso, dai 44 cent/litro di giugno 2014, a soli 33-34 cent. E che le prospettive sono di un ulteriore calo.
In Piemonte addirittura siamo ancora più sotto, riferisce Ildebrando Bonacini, direttore di Libera e organizzatore del Forum: 31,7 cent. «Ed è ovvio che questi livelli dei ricavi unitari, se paragonati ai livelli dei costi di produzione del latte, finiscono per creare malumori, malessere, pessimismo. Infatti si lavora in perdita: un recente studio compiuto su sei allevamenti di bovine da latte della provincia di Cremona, infatti, ha definito un costo di produzione medio pari a 55,61 cent/litro. Per coprire anche soltanto le spese vive servirebbe un prezzo pari ad almeno 40 centesimi di euro a litro».
In occasione dello stesso forum il Crpa ha presentato anche un’analisi del costo di produzione del latte di un campione di aziende venete con una media 86 bovine, destinazione grana padano e latte alimentare. E anche in Veneto il costo di produzione è risultato dello stesso ordine di grandezza: 54,07 cent/litro, Iva inclusa.
Dolenti note da altri incontri della Fiera di Cremona, come il convegno Milk.it organizzato dall’Aita. Qui il docente della Cattolica Renato Pieri, responsabile dell’Ompz (Osservatorio sul mercato dei prodotti zootecnici, della scuola di management Smea), ha mostrato i dati del grafico pubblicato nella pagina accanto, che quantificano la discesa inarrestabile del prezzo del latte alla stalla in Lombardia.
O come la Invivo Filozoo Conference, dove l’allevatrice francese Katrine Lecornu, presidente dell’associazione Edf, European Dairy Farmers, ha ricordato che il problema della riduzione dei ricavi è comune agli allevatori di bovine da latte di tutt’Europa. Per esempio, anche in un’annata buona dal punto di vista del prezzo come la 2013/2014 gli allevatori soci di Edf hanno registrato una perdita media di 1,5 cent/kg latte, provocata da costi di produzione sui 47,6 cent e da prezzi (il resto erano altre entrate) sui 39,2 cent.
I termini di questa difficile situazione non sono emersi soltanto nelle fredde analisi economiche dei convegni. Ma anche nella ben più calda assemblea di protesta svoltasi sempre durante la Fiera di Cremona, organizzata da gruppi di produttori “autoconvocati”, non associati a precise organizzazioni, ma indipendenti. Un’assemblea molto partecipata, dove centinaia di allevatori hanno riempito il Palazzetto dello sport che fino a pochi minuti prima aveva ospitato mostre di bovini.
Molto partecipata anche da interlocutori del sindacato e della politica, che evidentemente hanno ben capito che era lì che pulsava il cuore della fiera e del settore allevatoriale lombardo. Tra questi interlocutori Angelo Zucchi, capo di gabinetto del ministro dell’Agricoltura, Gianni Fava, assessore all’agricoltura della regione Lombardia, Matteo Lasagna, presidente di Confagricoltura Lombardia, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, Maurizio Lolli, presidente della Op Mondo Latte, e altri.
In questa assemblea gli allevatori hanno manifestato la propria rabbia per l’attuale situazione di mancata redditività nella produzione del latte; e in particolare per il mancato confronto sul prezzo con la controparte industriale, per esempio denunciando l’inconcludenza del Tavolo latte presso il Mipaaf, che è saltato. Ha parlato anche Matteo Lasagna, che ha proposto agli allevatori di far pressione sugli industriali interrompendo per 2 o 3 giorni le consegne di latte, ma la cosa non è passata. Sempre in questo incontro Prandini ha lanciato un’altra idea: cercare, con l’appoggio di Fava e di Martina, di varare una legge che stabilisca che le industrie casearie che producono dop non possano produrre anche formaggi bianchi.
L’assessore Fava, a sua volta, durante l’assemblea ha dichiarato: «O la trattativa sul prezzo del latte torna in Lombardia o non si va da nessuna parte. È necessario spiegare agli industriali che devono siglare un contratto, oppure non si va da nessuna parte e le stalle chiudono. E la Regione Lombardia impedirà all’agroindustria che non si comporta eticamente di accedere alle misure del Psr».
Ha continuato Fava: «A fronte dell’immobilismo del Mipaaf, la primavera scorsa avevo convocato un tavolo interprofessionale. Avevo proposto l’indicizzazione con un valore di riferimento dal quale far partire le oscillazioni in maniera automatica, senza ricorrere a una contrattualistica ingessata. Mentre oggi gli allevatori vivono una situazione surreale, con un soggetto che invia lettere in cui comunica in maniera unilaterale il prezzo di acquisto del latte». Raggiunta l’intesa sul format da applicare, con le sindacali e Assolatte che avevano condiviso la divisione in due panieri e le regole d’ingaggio, «a fine luglio avevo convocato il tavolo a Milano per la firma. Ma due giorni prima il Mipaaf ha scelto di avocare a Roma la trattativa, facendo saltare tutto».
Le risposte
Passando dalle denunce e le proteste alle possibili risposte, sul piatto per il momento c’è ancora molto poco, come ha lasciato intendere, intervenendo sempre durante la Fiera di Cremona, il ministro Maurizio Martina. Il quale, in merito alla questione prezzo del latte, ha affermato testualmente: «Non posso nascondere la mia preoccupazione. Chiedo all’industria di battere un colpo, di passare dalle parole ai fatti. Chiedo all’industria lattiera di non voltarsi dall’altra parte ma di svolgere quella funzione di equilibrio, a favore di tutto il comparto, che le è propria».
In altre parole Martina ha fatto capire che la politica può fare ben poco sul fronte del prezzo del latte, e che finchè non ci sarà un passo in avanti da parte degli industriali la situazione non cambierà. Ha continuato il ministro: «È venuto il tempo che gli industriali ci dimostrino che sanno svolgere questa funzione, a favore dell’intero sistema zootecnico nazionale. Spero che possano trovare un modo. Quello che posso fare io come ministro lo faccio, non mi sono mai tirato indietro».
Un altro tipo di risposta potrebbe esser costituita dagli aiuti pubblici, ma qui è stato molto critico l’assessore Fava: «La situazione è molto pericolosa per le stalle lombarde e padane, perché, se non ci saranno investimenti forti e immediati, e non pannicelli caldi come quei 25 milioni di euro che l’Ue ha dato come elemosina all’Italia, le disdette di stalle a fine anno saranno molte».
Negativo il giudizio di Fava (posizione condivisa dal presidente Confagricoltura Mario Guidi) anche sull’operato del governo in vista di una prevedibile operazione di acquisto di centomila forme di grana e parmigiano per gli indigenti, secondo lui è una quantità insufficiente: «Sembra che venga adottata la formula dell’acquisto di forme per gli indigenti – ha detto Fava – ma si arriverà ad acquistare solo 100mila forme circa di Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Però la produzione complessiva è di 8 milioni di forme. E intanto, mentre in Italia le risorse latitano, la Francia ha fatto un piano da 1 miliardo e 150 milioni».
La Fiera però ha messo a fuoco altri tipi di risposte al problema della redditività della produzione del latte. Risposte che sono apparse sicuramente di scala ben minore, interessando nicchie come il biologico o come la trasformazione aziendale, e quindi non certo risolutive per la maggioranza degli allevatori, ma che in ogni caso sono apparse nel loro piccolo efficaci.
Biologico e minicaseifici
La zootecnia biologica per esempio, protagonista in fiera di un convegno Mipaaf -Ismea, rappresenta soltanto ridottissime percentuali della zootecnia nazionale, o del mercato lattiero caseario, più ridotte fra l’altro rispetto a quanto avviene in Germania o in Francia. Per dire, le cifre esposte a Cremona dal ricercatore Ismea Enrico De Ruvo sono quelle che riassumiamo nello schema pubblicato qui sopra.
Ma per qualche azienda la produzione di latte biologico può effettivamente costituire una risposta al problema della redditività della produzione del latte, se l’allevatrice cremonese Alessandra Lazzari, conduttrice di un allevamento non certo piccolo, 300 bovine, ha comunicato di riuscire a ottenere per un litro del proprio latte biologico circa 50 centesimi di euro. Poi, è anche vero che l’allevamento biologico comporta anche costi di produzione maggiori.
E a proposito dell’idea di integrare il reddito mediante la trasformazione aziendale del latte, Cremonafiere ha sottolineato come in Italia da diversi anni stia crescendo la moda dei minicaseifici, 3.000-3.500 quelli attivi nel nostro Paese. Una realtà che si sta allargando anche alla ristorazione e al turismo (resort): locali attrezzati con piccoli laboratori capaci di produrre e servire formaggi in tempo reale, mostrandone tutte le fasi di lavorazione.
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