L’8 e 9 giugno si vota per rinnovare i nostri rappresentanti al Parlamento europeo. Il contesto geopolitico è teso. Da una parte la crisi climatica, dall’altra i conflitti ai confini dell’Europa. Se lo scenario internazionale è instabile, una cosa è certa: il bisogno di nutrirsi. In un XXI secolo inedito sul piano agroalimentare, l’attività agricola ricopre una dimensione geografica ma anche, e soprattutto, sociale. Infatti, gioca un ruolo decisivo nelle relazioni tra gli individui: come consumatori dipendiamo dagli agricoltori per il nostro cibo. È di certo un’attività economica, ma soprattutto umana.
Il cibo è vita e l’agricoltura è essenziale per la vita. Ma nel corso del tempo, oltre a quella sociale ne ha assunta una politica. Nessun Paese, nessuna comunità, può essere davvero sana e stabile in termini politici e nutrizionali senza sicurezza alimentare, e quindi senza un’agricoltura organizzata.
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Sicurezza alimentare, sostenibilità ambientale e salute, per il pianeta e per gli individui, sono i tre pilastri ai quali l’agricoltura è legata. Nutrire e “riparare” il pianeta sono le enormi e virtuose missioni affidate al settore primario, con l’obiettivo di rimanere forte in termini di produttività (nel 2050 bisognerà sfamare dieci miliardi di persone), e, al contempo, estremamente efficiente in termini ambientali. Logico quindi che i governi lo pongano al centro della loro strategia sul piano nazionale ed europeo. Che le imprese lo considerino la forza trainante del loro impegno e che gli attori che inizialmente erano lontani da questo settore vedano nell’agroalimentare un futuro possibile.
In questo difficile contesto, l’Europa deve tornare a lavorare, e quindi a produrre, in tutti i settori in cui gli interessi degli Stati membri sono strategici, perché riguardano la società nel suo complesso. Non si tratta di perseguire la globalizzazione liberale né di cedere al nazionalismo. Ed è proprio qui che entra in gioco l’agricoltura. Perché garantisce cibo alla popolazione, partecipa allo sviluppo delle energie rinnovabili, determina l’economia circolare, funge da laboratorio di anteprima per le innovazioni, preserva l’occupazione e la vitalità delle zone rurali e attraverso pesca e acquacultura ci permette di consumare i prodotti di mare.
Non può esserci sicurezza alimentare senza agricoltura. E non possono esserci elevati standard qualitativi in termini di produzione e consumo senza la garanzia di redditi sufficienti per i produttori. Il dibattito di oggi non deve essere incentrato sulla messa in discussione della Pac, ma piuttosto sulla necessità di riuscire a tenere l’agricoltura al centro del progetto d’integrazione europeo, soprattutto in questo momento storico. Perdere gli investimenti e parte del budget destinato al settore agricolo è un rischio non solo per i produttori, ma per la sicurezza alimentare di tutti i cittadini europei.
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Anche per questo gli agricoltori sono chiamati alle urne per difendere il proprio settore, i valori e principi dell’Unione europea. Dobbiamo scegliere se unirci per cambiare, in uno spirito europeo da riconquistare e rafforzare, o arrenderci al “ciascuno per sé”, dove il senso comune svanisce e il nazionalismo avanza senza freni. La sovranità solidale, essere forti sul piano nazionale ma allo stesso tempo cooperare con i Paesi che ne hanno più bisogno, ha sempre funzionato meglio, e oggi, davanti a un contesto geopolitico instabile e al cambiamento climatico che avanza, è ancora più necessario.
di Sébastien Abis
Direttore generale Club Demeter
www.clubdemeter.com